Arnold Schönberg: l’Espressionismo nella musica – Schoenberg Kandinskij

Arnold Schönberg: l’Espressionismo nella musica

Il movimento d’avanguardia che si sviluppa a Monaco, attorno al 1910, è più sereno e più disposto a scambi di tipo formale con gli artisti francesi del tempo rispetto alla Brücke, di più forte impatto polemico e di rottura con la tradizione.

Qui il clima culturale è ricco e vivace e porta alla nascita di un espressionismo anche di tipo musicale, soprattutto grazie agli stimoli provenienti dal gruppo del Blaue Reiter. Il desiderio di questi artisti, infatti, era quello di stabilire delle relazioni continue con la nuova musica e la nuova arte del balletto, con problemi politici, con i grandi temi del rapporto tra arte e scienza, filosofia e religione.

Attorno al 1909-1910, si crea una densa e fitta relazione tra Arnold Schönberg, musicista ebreo dal carattere tormentato, e Vasilij Kandinskij, pittore russo d’indole più scaltra e rigorosa.

Con il testo Lo Spirituale nell’Arte del 1911, Kandinskij fonda la sua teoria dell’astrattismo e sancisce, così, la dissoluzione del vecchio legame tra pittura e natura; nello stesso anno Schönberg, con il Trattato di armonia, compie la medesima operazione in ambito musicale, teorizzando la nuova musica atonale.

Per un certo periodo di tempo Schönberg e Kandinskij si illudono di parlare la stessa lingua: Kandinskij fa continui riferimenti alla musica nelle sue opere e Schönberg stesso comincia a dipingere. Entrambi compongono un dramma, Il suono giallo di Kandinskij e La mano felice di Schönberg, un’opera d’arte totale che cerca di forzare tutte le arti oltre il proprio limite, cosa questa che si scontrò, negli esiti, con il limite effettivo della rappresentabilità, risultando, così, composizioni strazianti, difficili e incomprensibili rispetto alle abitudini visive ed auditive del pubblico.

Schönberg e Kandinskij proseguono la loro relazione artistica muovendosi tra Vienna e Berlino: Schönberg si mostra sempre poco sereno e solitario, soffrendo anche la sua condizione di ebreo, Kandinskij, invece, sbandiera un temperamento più vivace e mistico, alla costante ricerca della profondità della realtà e dell’essere.

Attorno agli anni ’20 del Novecento, entrambi gli autori rivedono le loro posizioni, crisi questa tipica di tutti gli artisti e i movimenti di avanguardia durante il primo dopoguerra: Schönberg svilupperà così la dodecafonia dal linguaggio atonale e Kandinskij perverrà ad un astrattismo costruito geometricamente e privo di riscontro spiritualistico.

La fase più propriamente espressionista di Schönberg si colloca tra il 1908 ed il 1913, quando prese a produrre una musica che, partendo da un linguaggio tonale tradizionale, arrivava ad una vera e propria sospensione della tonalità. Egli non è un musicista di formazione accademica, fu un precocissimo talento musicale, sviluppato in modo autonomo, che giunse a rinnovare la musica del Novecento.

Con Il trattato di armonia del 1911, Schönberg contesta le accuse di incompetenza che gli venivano mosse dalla critica e teorizza una certa visione della storia della musica, secondo la quale all’artista creatore spetta il ruolo di produrre uno stato di coscienza superiore rispetto alle età che lo hanno preceduto: la storia della musica è, così, vista come un progresso verso l’acquisizione dell’opera d’arte e il disarticolarsi della tonalità come la logica conseguenza di un processo di cui Schönberg stesso ne è l’erede.

La musica di Schönberg manifesta una decisa rottura e presa di posizione rispetto alla tradizione precedente, arrivando al punto di scardinare e modificare il linguaggio della musica colta occidentale, che da sempre si era attenuto alle rigorose regole della scala e dell’accordo. Egli colpisce la struttura stessa della musica giungendo ad una soluzione di tipo atonale di forte impatto per gli effetti di straniamento, d’incompiuto e di irrisolto che produce; una lingua non lingua che rappresenta la risposta non risposta alle inquietudini dell’uomo moderno.

“Se è arte non può essere popolare se è popolare non può essere arte.” (Arnold Schönberg)

http://barbarainwonderlart.com/2012/11/19/arnold-schonberg-lespressionismo-nella-musica/

Il grande musicista ha lasciato anche una sorprendente produzione pittorica dai forti toni espressionistici.

La sorpresa di scoprire che un grande maestro della musica è anche un grande pittore. L’attività di Arnold Schönberg come musicista è universalmente nota: la dodecafonia è stata una rivoluzione assoluta che ha aperto le strade a suoni, metri musicali, costruzioni sonore impensabili pochi anni prima. Ma, in particolare nei primi vent’anni del Novecento, Arnold Schönberg ha anche lasciato un’impronta importante nell’arte contemporanea, seppur in realtà la sua attività pittorica iniziò per scopi molto pratici: leggasi sbarcare il lunario.

L’impatto, la resa, la potenza espressionistica sono assolutamente coinvolgenti: basta vedere un’opera come Lo sguardo rosso, una specie di urlo allucinato, con quegli occhi di bragia lisergici, abbaglianti, aperti in una meraviglia chimica, la bocca distorta in una paresi innaturale, il colore a piovere scomposto dall’alto. Un’opera dirompente nella sua semplicità e nel suo essere così naturalmente diretta.

Schönberg pittore pare cercare lo scandaglio tipico dell’analista: i ritratti si caricano di aspetti caratteriali, le smorfie del viso sono tanti tratti dell’anima che la parte razionale non controlla. Il ritratto di Gustav Mahler è emblematico: capelli appiccicati, bocca rigida, occhi fissi, uno gigante e uno strizzato, fronte frankensteiniana. Sembrano tavole lombrosiane dove i profili volutamente accentuati scavano nell’intimo, scavalcando le barriere e diventano quasi oltraggiosi. I molti autoritratti non sono meno impietosi: colpiscono questi occhi irrimediabilmente sbarrati, quasi una raffigurazione di febbrile insonnia, sopracciglia alzate, sguardi persi nel vuoto che fissano un punto che non si muove mai.

Un’allucinazione da cui nemmeno l’infanzia riesce a sfuggire e che anzi ne è ancora più imprigionata: il ritratto di Getrud Schönberg, figlia dai lineamenti molto dolci, donna estremamente piacente da adulta, diventa un personaggio di David Linch, buio, pietoso e pauroso insieme.

Accanto a questa vena Schönberg ne mostra però un’altra, quasi idilliaca e bozzettistica: i suoi paesaggi spesso hanno la quieta placidità del sonno, la natura diventa riposante e dove non ci sono umani il tratto diventa disteso e fluido. I cestini di frutta, le nature morte, assumono un che di precario e infantile, perdono la tridimensionalità, sono schizzi di tempo libero distesi e distaccati.

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