Hannah Arendt :Responsibility and Judgment ,Responsabilità e giudizio, Vita Activa ; Estraniazione e solitudine

 Arendt, Hannah, Responsabilità e giudizio.

Hannah Arendt Responsibility And Judgment Schocken 2003 : Free …

PDF) Hannah Arendt: On judgment and responsibility

Recensione di Paolo Vernaglione – 07/06/2005

  • Il fatto che l’uomo sia capace d’azione significa che da lui ci si può attendere l’inatteso, che è in grado di compiere ciò che è infinitamente improbabile. E ciò è possibile solo perché ogni uomo è unico e con la nascita di ciascuno viene al mondo qualcosa di nuovo nella sua unicità”. Hannah Arendt, Vita Activa

Etica, Filosofia politica

L’incremento in questi anni degli inediti di Hanna Arendt dimostra un interesse per la grande filosofa e la rispondenza dei suoi temi all’attuale del dibattito pubblico, ma anche, con la pubblicazione di alcuni carteggi privati, un interesse al gossip, più che all’ approfondimento del suo pensiero.

Con sollievo scopriamo che non è questo il caso di Responsabilità e giudizio, una raccolta di scritti, lezioni, interventi, curata da Jerome Kohn, assistente di Arendt alla School for Social Research di New York. Lo scritto più lungo del volume, Alcune questioni di filosofia morale, è la trascrizione del corso del 1965, qui integrato da alcune note tratte dal corso del 1966 all’Università di Chicago, intitolato Basic Moral Propositions. Ricordiamo che dalle lezioni alla School del 1970 sono state tratte le Lectures on Kant’s Political Philosophy, che, come ha scritto Alessandro Dal Lago nell’introduzione all’edizione italiana de La vita della mente (Bologna, 1987), avrebbero rappresentato «il nucleo di Judging, terzo volume di The Life of the Mind». Le lezioni si possono dunque considerare come l’antecendente strutturato e dilatato delle Lectures, in cui Arendt traccia l’ipotetica filosofia politica di Kant a partire dalla Critica del Giudizio e dalle differenze tra l’applicazione del giudizio di gusto e del giudizio in questioni morali.

Il nucleo di Responsabilità e giudizio è infatti il rapporto tra morale e politica, pensiero e agire, condizioni di possibilità della norma e fenomeni storici e sociali. E’ un momento decisivo della riflessione dell’autrice di Vita activa perché evidenzia il gesto del pensare come antidoto al torpore morale e intellettuale che genera e accompagna le dittature. La preoccupazione di rendere visibile il male radicale di Auschwitz è qui intrecciata alla ricerca delle origini e della possibilità della filosofia morale.

Nel doppio enunciato della responsabilità e del giudizio si dispiegano sia la passione per il pensiero che l’interpretazione della storia e della politica, tematizzate nell’arco temporale che va dai processi ai criminali nazisti degli anni Sessanta (Heichmann, processo di Francoforte) alla guerra in VietNam al Watergate, alla metà degli anni Settanta. Il pregio del testo consiste nel mostrare in controluce l’accidentato percorso di vita della Arendt e di farlo indicando quell’epoca recente come un passaggio epocale (l’epoca è un passaggio epocale?)che conduce alla soglia della post-modernità.

Alla fine della guerra la riflessione sulla morale, come Arendt dice in La responsabilità personale sotto la dittatura (edito su «The Listener» in versione ridotta nel 1964), si impose con la scoperta dell’orrore nazista, che travolse le norme convenzionali con cui la generazione degli anni Venti aveva vissuto: «crescevamo con la convinzione che (…) in materia di morale le cose andassero da sé…» (pag.19). Questo automatismo del comportamento non solo escluse ogni considerazione intorno alla responsabilità personale, ma indusse gli stessi oppositori di Hitler a evitare il giudizio sui crimini nazisti e a sostenere che chiunque fosse vissuto sotto una dittatura avrebbe agito in modo da salvarsi. Le considerazioni intorno alla rimozione della responsabilità individuale provengono in buona parte dalla polemica che esplose prima della pubblicazione de La banalità del male (1963) intorno al comportamento degli ebrei di fronte alle persecuzioni e alla “normale” personalità di Heichmann, e proseguì con le lettere di Gershom Scholem (vedi in Ebraismo e modernità).

Mentre nella descrizione dell’integrazione ebraica nella Germania weimariana in Le origini del totalitarismo Arendt aveva infatti dimostrato che gran parte delle personalità ebraico-tedesche avevano molto da perdere in prestigio e posizione sociale e sottovalutarono l’escalation del nazismo, nel testo qui raccolto e in quello intitolato La responsabilità collettiva (intervento ad un convegno dell’American Philosophical society nel 1968), la filosofa puntualizza che solo l’attiva partecipazione ad un atto compiuto in gruppo può definirsi collettiva. Come ribadisce anche in Il delegato: colpevole di silenzio? (1964) e Auschwitz sotto processo (1966), l’atteggiamento generalizzato di indicare una vaga responsabilità della Germania per un passato che non può passare, contrasta con con il principio cardine del diritto secondo cui esiste solo una responsabilità personale, quella che il dispositivo processo-sentenza può mettere in luce. L’innegabile grandezza del diritto è che «esso ci costringe (…) a focalizzare la nostra attenzione sull’individuo, sulla persona, anche nell’epoca delle società di massa, un’ epoca in cui tutti si considerano (…) ingranaggi di una grande macchina…»(Alcune questioni, pag.48). Nella nozione di responsabilità personale Arendt vede il nesso tra morale e diritto, individuato nella «facoltà del giudizio» (pag.19). E’ intorno al nucleo di ogni comportamento morale, il giudizio, che ruota la riflessione sulla filosofia morale, il cui punto di partenza possono essere alcune promettenti asserzioni. Se infatti si accetta il presupposto che l’etica e la morale, considerate nell’antichità come il comportamento in base ai costumi accettati, non si basano su regole e norme immodificabili, si può dire che, almeno fino al XVIII secolo, non esiste una filosofia morale. I famosi precetti di Socrate “ E’ meglio patire che fare il male” e “E’ meglio essere in disaccordo con gli altri che con se stesso”, chiariscono la concezione del “conosci te stesso” come indagine sulla persona. Questa indagine, ricostruita sinteticamente nell’altro testo teorico del volume Il pensiero e le considerazioni morali (1971), porta a scoprire la singolarità umana come “due-in-uno”. Infatti quando Socrate e poi Platone asseriscono che il pensiero è colloquio con se stessi nasce quel dialogo tra sè e sè in cui l’individuo si scinde per dar vita alla riflessione. La sfera personale in contrasto con gli affari della polis, segnala Arendt, è evidenziata al massimo e la scoperta del due-in-uno produrrà indirettamente il processo e la morte di Socrate. Per inciso, prima che negli scritti qui raccolti, la tematica del due-in-uno come differenza dalla politica è presente nel parziale inedito del 1954 Philosophy and Politics: The problem of action and thought after the French Revolution, un insieme di lezioni tenute alla Notre Dame Universitiy, di cui ha di recente parlato Aldo Meccariello al convegno Hannah Arendt (1975-2005): percorsi di ricerca tra passato e futuro.

E’ con il Cristianesimo che a questa concezione “privata” delle massime morali si sostituisce la coscienza, dapprima pensata come capacità di conoscere, co-scientia, quindi intesa nella modernità come facoltà di scelta tramite il pensiero (cosciousness). In questo secondo senso emerge il rapporto tra pensiero e morale, per cui in assenza di pensiero il male indicibile è destinato ad affermarsi: mentre infatti il due-in-uno socratico non valeva come precetto morale, la coscienza «si presume che ci dica che cosa fare e di che cosa pentirci: è la voce di Dio, che poi si trasformerà nel lumen naturale e nella ragion pratica di Kant.» (pag.161). Il pensiero allora non si ridurrà alla vita contemplativa, ma comprenderà anche la ponderazione e farà spazio ad un’altra facoltà umana, scoperta da Agostino: la volontà «anch’essa divisa in due» (pag.105), non perché in dialogo con se stessa, bensì in lotta.

Da Gesù a Nietzsche la volontà come libertà e insieme necessità è stata il principale argomento contro il relativismo che condurrebbe all’abolizione dei valori. Ma Nietzsche ha criticato la volontà come “aspirazione” e “desiderio”: «Da questi il volere si distingue in virtù dell’inclinazione al comando…» (pag.113); fuoriuscendo dalla tradizionale interpretazione di Paolo e Agostino, afferma che «noi siamo al tempo stesso chi comanda e chi ubbidisce e come parte ubbidiente, conosciamo le sensazioni del costringere, dell’opprimere, del comprimere” (Al di là del bene e del male, citato a pag.114). In questa analisi c’è un’importante fattore di novità – il fattore del piacere – che Nietzsche interpreta come «un sentimento di potenza nei confronti degli altri.» (pag.115). Volontà come volontà di potenza. In tal caso, prima che gli effetti pubblici del volere, va considerato quel «surplus di forza, che non ci indica alcun obiettivo determinato da raggiungere» (pag.116). Nietzsche, prosegue Arendt, ha scoperto la doppia funzione (della volontà) di comando e arbitrio; ciò porta alla filosofia kantiana del giudizio, in cui esso è, «l’autentico arbitro tra bene e male» (pag.116).

La differenza in Kant tra giudizio di gusto e morale consiste nel fatto che nel primo è difficile distinguere il bello dal brutto perchè non esistono «regole o norme fisse da applicare», mentre nel secondo la ragione è dotata della capacità pratica di conoscere «la legge morale dentro di me» (pag.119). Tuttavia le cose non sono così semplici. Infatti il difetto di giudizio «si verifica comunque in tutti i campi» (ibd.) ed è insito nell’atto di giudicare, cioè sussumere «il particolare sotto un’appropriata regola universale»(ibd.); però «non essendoci regole per la sussunzione, questa va decisa liberamente» (ibd.). Alla luce di questa conclusione Arendt descrive quel «totale collasso degli standard morali e religiosi tra gente che (…) aveva fermamente creduto in essi (…) e del fatto innegabile che i pochi ad essersi sottratti a questa tromba d’aria non furono certo i “moralisti” (…) ma al contrario gente che (…) non era affatto convinta anche prima della débacle, della validità oggettiva di questi standard»(pag.120).

Insomma, la riflessione arendtiana tende a farci percepire la fallacia di qualsiasi regola, norma o principio imposto dall’esterno al comportamento umano. Tanto più quando ogni singolo deve esercitare il giudizio. Le atrocità naziste, l’ indifferenza di Pio XII al massacro degli ebrei nel dramma di Ralf Hochhuth The Deputy, le leggi anti-discriminazione a Little Rock, la politica di potenza statunitense: è necessario giudicarle invece che trincerarsi nel luogo comune del “chi sono io per giudicare“ o di una responsabilità generale, per cui se tutti sono colpevoli non lo è più nesuno.

Nei casi che Arendt ci sottopone emerge l’abolizione della distanza tra sfera privata e pubblica che segna il passaggio dalla modernità alla post-modernità, laddove la legislazione statale sui diritti fondamentali interviene nella società o dove la sfera pubblica politica, a causa dei processi di manipolazione, si riduce a “immagine” da proiettare all’esterno. Il discorso per il conferimento del premio Sonning per la cultura europea (1975) e le Riflessioni su Little Rock (1959) si possono leggere come descrizioni dei mutamenti della tradizione giuridico-politica dello stato-nazione e dell’emergenza di comunità con pretese di riconoscimento legittime alla fine degli anni Cinquanta, ma che oggi provengono per lo più da chiusure etniche e ricerca spasmodica di identità attraverso l’appartenenza. Nell’un caso e nell’altro lo spazio pubblico non può e non deve identificarsi con lo Stato, pena la scomparsa della sfera privata e della società. Agli inizi degli anni Sessanta l’imposizione di misure anti-discriminazione nelle scuole del Sud, contrastava con la libertà di appartenere ad una comunità e con la libertà di decidere l’istruzione pubblica (e non privata) dei figli, soprattutto laddove la discriminazione era legge di Stato. Quella libertà fondamentale ci fa riconoscere la differenza tra singolarità e spazio pubblico e ci fa disobbedire a leggi ingiuste o che impongono alla società criteri di valore opprimenti in nome di una malintesa difesa della vita (come in questi giorni nel caso della legge sulla fecondazione assistita, da abolire con referendum). Perchè si tratta in ogni caso di quella differenza che « può solo farci riconoscere per quello che noi, essenzialmente, non siamo» (pag.12).

http://www.recensionifilosofiche.it/crono/2006-03/arendt.htm

Hannah Arendt. Vita activa – La condizione umana (1958)

hannah_arendt“Con il termine “vita activa” propongo di designare tre fondamentali attività umane: l’attività lavorativa, l’operare e l’agire; esse sono fondamentali perché ognuna corrisponde a una delle condizioni di base in cui la vita sulla terra è stata data all’uomo.
L’attività lavorativa corrisponde allo sviluppo biologico del corpo umano, il cui accrescimento spontaneo, metabolismo e decadimento finale sono legati alle necessità prodotte e alimentate nel processo vitale dalla stessa attività lavorativa. La condizione umana di quest’ultima è la vita stessa.
L’operare è l’attività che corrisponde alla dimensione non-naturale dell’esistenza umana, che non è assorbita nel ciclo vitale sempre ricorrente della specie e che, se si dissolve, non è compensata da esso. Il frutto dell’operare è un mondo «artificiale» di cose, nettamente distinto dall’ambiente naturale. Entro questo mondo è compresa ogni vita individuale, mentre il significato stesso dell’operare sta nel superare e trascendere tali limiti. La condizione umana dell’operare è l’essere-nel-mondo.
L’azione, la sola attività che metta in rapporto diretto gli uomini senza la mediazione di cose materiali, corrisponde alla condizione umana della pluralità, al fatto che gli uomini, e non l’Uomo, vivono sulla terra e abitano il mondo. Anche se tutti gli aspetti della nostra esistenza sono in qualche modo connessi alla politica, questa pluralità è specificamente “la” condizione – non solo la “conditio sine qua non”, ma la “conditio per quam” – di ogni vita politica. Così il linguaggio dei romani, forse il popolo più dedito all’attività politica che sia mai apparso, impiegava le parole «vivere» ed «essere tra gli uomini» (“inter homines esse”), e rispettivamente «morire» e «cessare di essere tra gli uomini» (“inter homines esse desinere”) come sinonimi. Ma nella sua forma più elementare, la condizione umana dell’azione è implicita anche nella “Genesi” («Egli “li” creò maschio e femmina»), se accettiamo questa versione della creazione del genere umano e non quella secondo cui Dio originariamente creò solo l’Uomo (“Adam”, «lo» e non «li»), così che la moltitudine degli esseri umani è il risultato di una moltiplicazione. L’azione sarebbe un lusso superfluo, una capricciosa interferenza con le leggi generali del comportamento, se gli uomini fossero semplicemente illimitate ripetizioni riproducibili dello stesso modello, la cui natura o essenza fosse la stessa per tutti e prevedibile come quelle di qualsiasi altra cosa. La pluralità è il presupposto dell’azione umana perché noi siamo tutti uguali, cioè umani, ma in modo tale che nessuno è mai identico ad alcun altro che visse, vive o vivrà”.

http://giuseppecapograssi.wordpress.com/2013/08/20/hannah-arendt-vita-activa-la-condizione-umana-1958/

Arendt Hannah The Human Condition 2nd 1998 : Free Download …

Hannah Arendt – The Human Condition

16-III-2017: Vita activa di Hannah Arendt : fondazione basso : Free …

The “Vita activa

Hannah Arendt – Estraniazione e solitudine

L’estraniazione non è solitudine. La solitudine richiede che si sia soli, mentre l’estraniazione si fa sentire più acutamente in compagnia di altri. A parte alcune osservazioni di sfuggita – usualmente formulate in tono paradossale, come la frase di Catone (riferita da Cicerone, De republica I, 17): «mai ero meno solo di quando ero solo» o, meglio, «mai era meno estraniato di quando si trovava in solitudine» – sembra che Epitteto, lo schiavo filosofo di origine greca, sia stato il primo a distinguere tra estraniamento e solitudine. La sua scoperta fu in un certo senso accidentale, dato che il suo interesse era rivolto principalmente non alla solitudine o all’estraniazione, bensì all’essere da solo (monos) nel senso dell’indipendenza assoluta. Stando a Epitteto (Dissertationes 3, 13), l’uomo estraniato (eremos) si trova circondato da altri con cui non può stabilire un contatto o alla cui ostilità è esposto. L’uomo solitario, invece, «può essere insieme con se stesso», perché gli uomini hanno la capacità di «parlare con se stessi». Nella solitudine, in altre parole, sono con me stesso, e perciò «due-in-uno», mentre nell’estraniazione sono effettivamente uno, abbandonato da tutti. La riflessione, in senso stretto, si svolge in solitudine ed è un dialogo fra me e me; ma questo dialogo del «due-in-uno» non perde il contatto col mondo dei suoi simili, perché essi sono rappresentati nell’io con cui conduco il dialogo del pensiero. Il problema della solitudine è che questo «due-in-uno» ha bisogno degli altri per ridiventare uno: un individuo non scambiabile, la cui identità non può mai essere confusa con quella altrui. Per la conferma della mia identità io dipendo interamente dagli altri; ed è la grande grazia della compagnia che fa del solitario un «tutto intero», salvandolo dal dialogo della riflessione in cui si rimane sempre equivoci, e ridandogli l’identità che gli consente di parlare con l’unica voce di una persona non scambiabile.
La solitudine può diventare estraniazione; ciò avviene quando, chiuso completamente in me stesso, sono abbandonato dal mio io. I solitari corrono sempre il pericolo dell’estraniazione, quando non possono più trovare la grazia redimente della compagnia che li salva dalla dualità, dall’equivocità, dal dubbio. Storicamente è come se soltanto nel XIX secolo questo pericolo fosse tanto aumentato da farsi notare. Esso è venuto in piena luce quando i filosofi, per i quali soltanto la solitudine è un modo di vita e una condizione di lavoro, non si sono più accontentati del fatto che «la filosofia è solo per pochi» e hanno cominciato a ripetere che nessuno li comprendeva. Caratteristico a tale riguardo è l’aneddoto che riporta le parole di Hegel sul letto di morte, parole che non si sarebbero potute mettere in bocca a nessun grande filosofo prima di lui: «Nessuno mi ha compreso tranne uno; e anche lui mi ha frainteso». Per contro, c’è sempre la possibilità che un uomo estraniato ritrovi se stesso e cominci il dialogo della solitudine. Ciò capita, sembra, a Nietzsche, a Sils Maria, quando concepì Zarathustra. In due poesie («Sils Maria» e «Aus hohen Bergen») egli parla della vuota attesa e dell’ansia dell’abbandonato, finché d’improvviso «um Mittag war’s, da wurde Eins zu Zwei… / Nun feiern wir, vereinten Siegs gewiss, / das Fest der Feste; / Freund Zarathustra kam, der Gast der Gäste!» (Era mezzogiorno quando Uno divenne Due… / Ed ora celebriamo, certi della vittoria unita, / la festa delle feste; / venne l’amico Zarathustra, l’ospite degli ospiti!).
Quel che rende l’estraniazione così insopportabile è la perdita del proprio io, che può essere realizzato nella solitudine, ma confermato nella sua identità soltanto dalla compagnia fidata e fiduciosa dei propri simili. In tale situazione l’uomo perde la fede in se stesso come partner dei suoi pensieri e quella fiducia elementare nel mondo che è necessaria per fare delle esperienze. Io e mondo, capacità di pensiero ed esperienza vengono perduti nello stesso momento.
L’unica capacità della mente umana che non ha bisogno dell’io, dell’altro o del mondo per funzionare e che è indipendente dall’esperienza come dalla riflessione è il ragionamento logico che ha la sua premessa nell’evidente. Le norme elementari dell’evidenza cogente, la tautologia della proposizione «due più due fanno quattro», non possono essere snaturate neppure in condizioni di assoluta estraniazione. È l’unica «verità» sicura su cui gli esseri umani possono ripiegare una volta persa la reciproca garanzia, il senso comune, di cui hanno bisogno per fare esperienza, vivere e conoscere la loro via in un mondo comune. Ma questa verità è vuota o, meglio, non è affatto verità, perché non rivela alcunché. (Definire la coerenza come verità, alla maniera di certi logici moderni, significa negare l’esistenza della verità.) Nell’estraniazione l’evidente non è più quindi un semplice mezzo dell’intelletto e comincia a essere produttivo, a sviluppare proprie linee di «pensiero». Che i processi mentali caratterizzati da una rigorosa logicità evidente, da cui non c’è manifestamente via di scampo, abbiano qualche attinenza con l’estraniazione, è stato già osservato da Lutero (che non era probabilmente secondo a nessuno in fatto di esperienza nei fenomeni della solitudine e dell’estraniazione, e una volta ha osato affermare che «ci deve essere un Dio perché l’uomo ha bisogno di un essere in cui confidare») in una nota poco conosciuta al passo della Bibbia in cui si dice che non è bene che l’uomo sia solo. Un uomo estraniato, osserva Lutero, «deduce sempre una cosa dall’altra e pensa tutto per il peggio». L’estremismo dei movimenti totalitari, lungi dall’aver qualcosa a che fare col vero radicalismo, consiste in effetti in questo pensare «tutto per il peggio», in questo processo deduttivo che giunge sempre alle peggiori conclusioni possibili.
Quel che prepara così bene gli uomini moderni al dominio totalitario è l’estraniazione che da esperienza limite, usualmente subita in certe condizioni sociali marginali come la vecchiaia, è diventata un’esperienza quotidiana delle masse crescenti del nostro secolo. L’inesorabile processo in cui il totalitarismo inserisce le masse da esso organizzate appare come un’evasione suicida da questa realtà. La «freddezza glaciale del ragionamento» e il «poderoso tentacolo» della dialettica che «vi afferra come in una morsa» si presentano come l’ultimo punto d’appoggio in un mondo dove non ci si può fidare di niente e di nessuno. È l’intima coercizione, il cui unico contenuto consiste nell’evitare rigorosamente le contraddizioni, che sembra confermare l’identità di un uomo al di fuori di ogni rapporto con altri. Essa lo adatta al ferreo vincolo del terrore anche quando è solo, e il dominio totalitario non prova mai a lasciarlo solo tranne nella situazione estrema della reclusione cellulare. Distruggendo ogni spazio fra gli individui, comprimendoli l’uno con l’altro, si annientano anche le potenzialità creative dell’isolamento; insegnando ed esaltando il ragionamento logico dell’estraniazione, in cui l’uomo sa di essere completamente perduto se lascia andare la prima premessa da cui prende l’avvio l’intero processo, si eliminano le già scarse probabilità di una trasformazione dell’estraniazione in solitudine e della logica in pensiero. Se si confronta questa pratica con quella della tirannide, si ha l’impressione che si sia trovato il modo di mettere in moto il deserto, di scatenare una tempesta di sabbia capace di coprire ogni parte della terra abitata.

http://gliocchidiblimunda.wordpress.com/2011/02/17/hannah-arendt-estraniazione-e-solitudine/

Donatella Di Cesare: Stranieri residenti post n.2 by doppiozero– Hannah Arendt i post …

http://www.controappuntoblog.org/2019/06/13/donatella-di-cesare-stranieri-residenti-post-n-2-by-doppiozero-hannah-arendt-i-post/

Hannah Arendt : The Human Condition pdf , Condition de l’homme moderne – Von Trotta film

http://www.controappuntoblog.org/2017/05/20/hannah-arendt-the-human-condition-pdf-condition-de-lhomme-moderne-von-trotta-film/

Donatella Di Cesare: Stranieri residenti video – Hannah Arendt i post …

Se Auschwitz è nulla : Contro il negazionismo- Robert Faurisson …

Hannah Arendt : The Human Condition pdf , Condition de l’homme …

“We Refugees” – Hannah Arendt pdf | controappuntoblog.org

Amare. Ieri. Annotazioni sulla storia della … – controappunto blog

Hannah Arendt ~ Du devoir de la désobéissance civile video : Hannah …

Hannah Arendt :Responsibility and Judgment

Hannah Arendt Tra Passato E Futuro 1991 – controappuntoblog.org

1 – 2 – 3 ; Young GILELS plays RAMEAU La rappel des oiseaux

Le origini del totalitarismo: Hannah Arendt

Hannah Arendt e l’antropologia filosofica MARIA TERESA PANSERA -the life of the mind – La vita della mente

A propos du film “Hannah Arendt”, de Margarete Von Trotta …

Milgram Experiment by Gabriella Giudici – documentaire complet …

Lacan, Il seminario VII + post correlati | controappuntoblog.org

Agostino d’Ippona e Hannah Arendt

Descartes Epistolae, partim Latino , partim ex Gallico …

Cartesio, Cosa si può revocare in dubbio …

Les meditations metaphysiques de Rene Descartes

Discours de la méthode : René Descartes -Rene Descartes …

Fisiologia e stoicismo ne «Le passioni dell’anima» di Cartesio

René Descartes Les passions de l’âme (1649

Regola di Cartesio o DEL GRANDE METODO DI …

CARTESIUS Roberto Rossellini. | controappuntoblog.org

Roberto Rossellini – Cartesius (1974) – controappuntoblog.org

L’esempio di Attilio Regolo…E allora coloro che oltraggiano , riflettano e stiano zitti.

argomenti difficili : acido, la madre, il neonato tolto : non vorrei essere un gudice ; Agostino d’Ippona libro XIII

Agostino d’Ippona e Hannah Arendt | controappuntoblog.org

A propos du film “Hannah Arendt”, de Margarete Von Trotta .

Lacan, Il seminario VII + post correlati | controappuntoblog.org

Così venne a dire che un giorno, a Treviri, si persero di vista. ….

Se il fatto che io indosso la tunica che tu avevi tessuta per tuo fratello ti dà un qualche conforto

Gli imperi e le due metropoli. Atene fra Minerva e Nettuno.

Le due città in Caino e Abele. | controappuntoblog.org

Dèi eletti e infamati.

remota itaque iustitia…agostino, santo + Trasimaco, Anti

La mistica comunista – Libro decimo la città di Dio Agostino …

avere un “debole “per Agostino d’Ippona …

Agostino d’Ippona : De Magistro sintesi ; AUGUSTINE OF …

Stromboli Final Scene | controappuntoblog.org

Мессия / Il Messia (1975) (субтитры ) Rossellini, , unusual …

Que grande es el cine : EUROPA 51 ! Rossellini

Solo così, dunque, la mente umana percepisce lo stesso corpo umano

Se il proletariato eleva a principio della società solo ciò che la società ha elevato…..

Hannah Arendt – Simona Forti video – Hannah Arendt i post …

LA FRODE | controappuntoblog.org

Questa voce è stata pubblicata in cultura e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.