L’extase des damnés, Frantz Fanon et la vio­lence – Introduction aux troubles de la sexualité chez le Nord Africain

Quando la gente apprezza il mio lavoro, me lo dice a dispetto del mio colore. Quando non lo fa, non dice che la causa è il colore. In entrambi i casi sono chiuso in un circolo vizioso. Frantz Fanon (1925 – 1961), psichiatra e scrittore francese.

Elsa Dorlin. L’extase des damnés, Frantz Fanon et la vio­lence

Actualités de l’émancipation et métamorphoses de la critique sociale.
Colloque organisé les 23 & 24 septembre 2011 dans le cadre des activités à la fois du Sophiapol et d’ACAE, un collectif de jeunes chercheuses et chercheurs qui travaillent depuis un an déjà sur l’actualité des concepts d’aliénation et d’émancipation.

L’objectif principal du colloque est de questionner, à partir des notions de critique sociale et d’émancipation, le renouvellement des « pratiques théoriques » des sociologues et des philosophes, qui cherchent à construire leurs théories en dialogue avec les discours des acteurs sociaux ; c’est-à-dire à articuler expériences politiques et activité de recherche.

Adopter une attitude critique, c’est disposer d’un certain nombre de critères d’évaluation et de jugement, et plus globalement de ressources à la fois langagières, émotionnelles ou corporelles, qui varient sensiblement selon les courants, expériences et pratiques politiques. Elle s’enracine en effet souvent dans des motifs d’indignation, de colère ou de révolte. la critique sociale ne se limite pas à la critique académique de l’ordre établi.

Ces critiques peuvent s’articuler à des théories sociologiques ou philosophiques de la domination, de l’exploitation, de l’exclusion, de la vulnérabilité, de la souffrance sociale, et/ou de l’émancipation (comme conquête de nouveaux droits, sociaux ou politiques, luttes de reconnaissance identitaire ou culturelle, luttes pour des changements révolutionnaires etc.). Or, ces théories impliquent des positions, et des attitudes, divergentes. Ainsi, une opposition désormais classique distingue-t-elle, par exemple, le paradigme du dévoilement, qui suppose une forme d’aveuglement des acteurs sociaux à ce qu’il s’agit de dénoncer, à celui de la critique immanente, qui compte au contraire sur l’apport des critiques émergeant du monde social pour donner sens à son travail.

Pourtant convoquer la notion d’émancipation aujourd’hui ne vas pas forcément de soi. Elle a ces dernières décennies, été souvent remise en cause et parfois disqualifiée ; avant de faire, plus récemment, un retour remarqué dans le champ de la pensée critique. De même, dans le champ militant, de nouvelles formes de luttes, de revendications, de discours et d’usage de ce terme sont apparus ces dernières années, en s’appuyant sur le sens moral, juridique, salarial ou politique du concept.

Les usages théoriques et militants, de traditions différentes, de cette notion peuvent-ils dialoguer, sont-ils complémentaires ou radicalement divergents ? En outre, quel est le sujet de l’émancipation ? Peut-il y avoir une émancipation individuelle ou marginaliste, et que penser dès lors de l’émancipation intellectuelle ? À l’inverse, l’émancipation est-elle toujours collective, de classe ou universelle, passe-t-elle nécessairement par la constitution de collectifs de luttes ?

C’est justement parce que la notion de critique sociale et celle d’émancipation peuvent prétendre révoquer ou au moins questionner la césure entre discours critique sur le monde social et sphères de l’intervention, de l’action, de la mobilisation, qu’elle questionne aussi la place du chercheur. Elle peut être appréhendée à travers les figures de l’intellectuel, du porte parole, du/de la militant-e politique, de l’entrepreneur-e de mobilisation, ou encore de l’expert. Elle conduit également à interroger les pratiques des sociologues ou philosophes qui cherchent à articuler expériences politiques et activité de recherche, et à trouver de nouvelles formes de coopération en dehors de l’université. Mais cette attention aux luttes sociales en cours n’est bien entendu jamais unilatérale : la notion de « critique sociale » invite également à interroger la manière dont les discours et les pratiques de recherche se renouvellent, se reconfigurent, s’éprouvent au contact de pratiques de luttes et de mobilisation.

Il s’agira donc de savoir si les discours critiques contemporains développent une réflexion stratégique véritablement nouvelle sur les moyens de produire des effets politiques émancipateurs.

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Intervention d’Elsa Dorlin  – « L’extase des damnés. Frantz Fanon et la violence »
(Professeur de sciences politiques à l’Université Paris 8 / LABTOP)

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Cesare Bermani

Questo lavoro è stato reperito da Giovanni Pirelli nel corso di ricerche sugli scritti psichiatrici di Fanon, condotte ad Algeri e Tunisi nel novembre del 1957. Si tratta di un dattiloscritto in francese di undici pagine dal titolo Introduction aux troubles de la sexualité chez le Nord Africain. Su di esso appaiono i nomi degli autori: Jack Azoulay, François Sanchez, Frantz Fanon. Pirelli l’ebbe da Josie Fanon e seppe da Jack Azoulay che si trattava della prima provvisoria redazione di un testo mai pubblicato.

Esso venne steso a Blida tra il 1954 e il 1955 e si può pensare che non sia stato portato a termine a causa dell’espulsione dall’Algeria di Fanon, incappato nell’indiscriminata repressione scattata alla vigilia dello sciopero generale del gennaio 1957, proclamato dal Fronte di liberazione nazionale algerino in vista dell’apertura della sessione dell’Onu che doveva affrontare il problema in Algeria.

Scriveva nella sua prefazione alle opere scelte di Fanon, curate da Pirelli, Giovanni Jervis: «Fanon ricercò e sperimentò forme di assistenza psichiatrica molto avanzate sia a Blida, sia soprattutto a Tunisi, con la coraggiosa e difficile gestione di un «ospedale da giorno» presso questa città. I suoi sforzi si rivolsero alla costruzione di una nuova psichiatria non oppressiva, legata alla vita delle masse e utilizzabile nella realtà africana postcoloniale, in polemica e in alternativa alla psichiatria manicomiale europea. Il valore di quelle esperienze è certamente grandissimo, soprattutto se si considerano da un lato l’epoca e i paesi in cui avvennero (caratterizzati da un’impostazione estremamente arretrata e autoritaria dell’assistenza), e da un altro lato lo stretto rapporto fra questi tentativi e il clima politico e civile provocato dalla rivoluzione algerina. Purtroppo ben poco ne è rimasto: sia di scritto, che nelle esperienze e nelle testimonianze; e ben poco ne è rimasto anche per quanto concerne l’assistenza psichiatrica in Algeria e in Tunisia».

Giovanni Pirelli, come scriveva in testa a un inventario-progetto nel febbraio 1968, aveva peraltro pensato alla pubblicazione di «un volume di scritti di Fanon di carattere medico e nei quali il discorso dello psichiatra conduce al discorso teorico politico e si fonde con esso», ma ritardò la pubblicazione perché sperava di trovare il testo delle lezioni dei corsi di «socio psicologia» che Fanon aveva tenuto all’Università di Tunisi nel 1958-59, i cui nastri erano andati dispersi e le cui dispense non erano state rintracciate.

Poiché le sue ricerche non dettero risultati e parve a Giovanni Jervis che il pensiero di Fanon psichiatra andasse ricercato «in altri aspetti, non sempre i più evidenti, degli scritti generalmente considerati come “politici”», l’idea di una raccolta dei suoi scritti più propriamente psichiatrici venne accantonata.

Decolonizzare la follia. Scritti sulla psichiatria coloniale (ombre corte 2011), è un’esaustiva antologia di essi, che vede ora la luce a cura di Roberto Beneduce, che l’ha fatta precedere da un suo bel saggio dal titolo La tormenta onirica. Fanon e le radici di un’etnopsichiatria critica, che sottolinea tutta l’importanza storica che questi scritti hanno da questo punto di vista.

Tali scritti erano stati tutti raccolti anche da Pirelli, ma Beneduce non ne ha consultato l’archivio e li ha invece avuti da Agostino Pirella, Pierre Chaulet e Martine Journeau. Anzi, nel volume curato da Beneduce non si menziona neppure Pirelli, sebbene sia stato lui a far conoscere per primo il pensiero di Fanon in Italia.

L’inedito che pubblico mette in luce un aspetto particolare delle ricerche condotte a Blida: quello del vivo interesse per il mondo religioso e magico dei Nordafricani, quale elemento specifico della società nella quale si voleva realizzare idonee forme di socioterapia.

A Blida, allora il più importante ospedale psichiatrico in territorio africano, tra il 1954 e il 1956 venne affidato a Fanon un reparto che comprendeva inizialmente una sezione con centosessantacinque donne europee e un’altra con duecentoventi uomini musulmani. Qui Fanon cercò di introdurre le tecniche di socioterapia sperimentate con Tosquelles a Saint-Alban; sennonché esse si confermarono valide per le donne europee ma andarono incontro a un disastroso insuccesso tra i musulmani. D’altra parte i tentativi di applicare il Tat (Thematic apperception Test) a donne musulmane ricoverate presso il reparto aperto dell’ospedale metteva in luce un loro atteggiamento totalmente diverso rispetto alle donne europee.

Di qui l’acquisizione del principio che – come scriveva Jack Azoulay – «per realizzare la socioterapia bisogna muovere dagli elementi specifici della società in esame» e l’inizio di ricerche anche sul mondo religioso e magico dei musulmani algerini tanto più necessario in un momento in cui – come scriveva Fanon nella sua Lettera al ministro residente – «l’arabo, alienato permanente nel suo paese, vive in uno stato di spersonalizzazione totale», cioè nella situazione del demartiniano rischio continuo di perdita della presenza.

La medicina tradizionale si trovava ormai nell’impossibilità di rifiutare totalmente la medicina dei colonialisti (gli ospedali, le ambulanze e le infermerie); ma il fatto che quest’ultima fosse spesso chiamata a farsi complice di chi praticava la tortura, la faceva percepire come uno strumento al servizio dei poliziotti o dei paras e finiva per incrementare il ricorso alla medicina tradizionale, per ragioni di diffidenza e per ragioni politiche e identitarie

Fanon, in un altro scritto del medesimo periodo (Attitude du Musulman maghrebin devant la folie, riportato nel libro curato da Beneduce), notava come nel Maghreb esistesse «un’armoniosa articolazione di credenze che permette[va] la creazione e la messa in funzione di un’ “assistenza psichiatrica”».

Da qui la grande attenzione, sua e dei suoi collaboratori, a tali credenze. In un momento di forte repressione delle pratiche terapeutiche tradizionali (le attività dei guaritori ecc.) da parte del colonialismo, il gruppo di Blida faceva invece dello studio di esse il punto di partenza per idonee forme di socioterapia nella situazione algerina.

http://www.alfabeta2.it/2012/01/02/genealogia-di-un-inedito-di-frantz-fanon/

Nell’opera di Frantz Fanon, racchiusa in un periodo di pochi anni (1951-1961), prendono voce temi decisivi che non smettono d’interrogare il dibattito sulla condizione postcoloniale: le contraddizioni delle borghesie nazionali negli anni dell’indipendenza, lo spettro del razzismo e la sua oscura riproduzione nello Stato moderno, la costruzione della soggettività africana. Con l’ostinazione di chi aveva scritto “Ci sono troppi imbecilli su questa terra, e poiché lo dico, si tratta di provarlo”, nei lavori qui raccolti, per buona parte mai tradotti in italiano, Fanon ripercorre con altrettanta sistematicità le teorie psichiatriche e psicanalitiche dell’epoca. La sua è urìar-cheologia sovversiva che, di quelle teorie, rivela limiti e paradossi: un’etnologia critica dell’Occidente. Con toni a tratti profetici, i suoi scritti disegnano una fenomenologia politica del corpo coloniale nella quale affiorano molti dei problemi con i quali si misurano oggi l’etnopsichiatria e l’antropologia mèdica critica: la violenza quotidiana e invisibile che secerne la sofferenza dei dominati, il difficile incontro fra il clinico occidentale e il corpo inquieto dell’immigrato, Yeconomia morale delle sue menzogne. La psichiatria, chiamata da Fanon a riconoscere che è “impossibile guarire” in un contesto di oppressione e di arbitrio, è invitata in queste pagine a interrogare conflitti e omissioni, e a confrontarsi con l’enigma politico della differenza, della malattia e della cura.


http://www.ibs.it/code/9788895366913/fanon-frantz/decolonizzare-follia-scritti.html

Frantz Fanon, Pour la révolution africaine. Écrits politiques.

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