Le campane (Kolokola) : Sergej Rachmaninov

Le campane (Kolokola)

Cantata per soli, coro ed orchestra, op. 35

Musica: Sergej Rachmaninov
Testo: Constantine Balmont (da Poe)

  1. La nascita – Allegro non tanto
  2. Il matrimonio – Lento
  3. Il terrore – Presto
  4. La morte – Lento lugubre

Organico: soprano, baritono, coro misto, ottavino, 3 flauti (3 anche ottavino), 3 oboi, corno inglese, 3 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 6 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, glockenspiel, campane tubolari, piatti, tam-tam, triangolo, grancassa, tamburo, arpa, celesta, pianoforte, organo (ad libitum), archi
Composizione: Gennaio – Aprile 1913
Prima esecuzione: San Pietroburgo, Teatro Marijnskij, 13 Dicembre 1913; Rachmaninov (dir.)
Dedica: Wilhelm Mengelberg e la Concertgebouw Orchestra di Amsterdam

Guida all’ascolto (nota 1)

In una lettera del dicembre del 1906 – più o meno all’epoca in cui a Dresda iniziava a lavorare alla Seconda Sinfonia – Rachmaninoff aveva chiesto all’amico Nikita Semyonovic Morozov qualche consiglio per un testo da mettere in musica per una nuova cantata per coro e orchestra sul tipo di Primavera, scritta nel 1902. A quanto pare la sua richiesta rimase insoddisfatta, ma qualche anno dopo il compositore ricevette una strana lettera anonima in cui chi scriveva gli suggeriva di leggere dei versi acclusi alla lettera, ritenendo che fossero particolarmente adatti ad essere messi in musica e che gli sarebbero piaciuti molto: si trattava della traduzione russa, in realtà assai libera, della poesia The Bells (Le campane) di Edgar Allan Poe, realizzata dal poeta simbolista Konstantin Balmont. Rachmaninoff non seppe mai chi fosse stato a inviare quella lettera: il piccolo mistero fu svelato solo dopo la sua morte da un suo vecchio compagno di studi, il violoncellista Mikhail Bukinik, il quale raccontò che l’autrice della lettera ” era stata una sua allieva, la giovane Marija Danilova. Queste, in sintesi, le singolari circostanze che nel 1913 portarono alla nascita de Le campane op. 35 che Rachmaninoff considerava una delle sue due composizioni preferite insieme ai Vespri op. 37.

A prima vista potrebbe sembrare diffìcile immaginare due artisti più lontani fra loro di Rachmaninoff e Poe (anche se qui pesantemente mediato dall’intervento di Balmont) per storia personale, stile di vita, estetica, fortuna critica. Ma non si possono non ricordare la straordinaria sensibilità musicale di Poe, i suoi acuti scritti sulla musica, il suo orecchio assoluto, l’incredibile musicalità dei suoi versi che talvolta – e l’esempio di The Bells è addirittura eclatante in proposito – con modernità straordinaria (siamo intorno al 1848!) si fanno onomatopea, suono puro, timbro, ma anche ritmo, musica, ossessione. E questo gusto per la reiterazione, per il ritorno quasi ossessivo di cellule tematiche si riscontra a volte anche in Rachmaninoff, così come comuni ai due artisti sono certe atmosfere lugubri, livide, desolate che tuttavia in nessuno dei due casi rappresentano assolutamente il totale dell’universo espressivo.

La datazione di The Bells è abbastanza incerta e oscilla fra il 1845 e il luglio del 1849. Si tratta in ogni caso dell’ultimo disperato periodo della vita di Poe: già al principio del 1842 in sua moglie Virginia (una cugina prima che aveva sposato in segreto a ventisei anni quando questa ne aveva solo tredici!) si era manifestata violentemente la tubercolosi che in cinque anni l’avrebbe portata alla tomba; le continue difficoltà lavorative dello scrittore non furono risolte nemmeno dalla notorietà ottenuta con Il Corvo, la cui pubblicazione, nel 1845, gli fruttò solo 9 dollari. Con la morte di Virginia, avvenuta il 30 gennaio del 1847 ad appena ventiquattro anni, sarebbe iniziato l’ultimo breve periodo della vita di Poe, ancor più segnato dall’alcool, dal disordine esistenziale, dall’irrequietezza, fino a quando il 3 ottobre del 1849 il poeta venne trovato privo di conoscenza e con indosso abiti non suoi su un marciapiede di Baltimore e fu trasportato al Washington College Hospital dove sarebbe poi morto quattro giorni dopo, appena quarantenne, senza aver mai ripreso conoscenza.

Dopo essere stata rifiutata un paio di volte dalla rivista alla quale Poe l’aveva offerta, The Bells venne infine accettata e pagata 15 dollari, ma pubblicata solo nel novembre del 1849, un mese dopo la morte dell’autore. Ricca di richiami onomatopeici e di ripetizioni di parole («The tintinnabulation that so musically wells/From the bells, bells, bells, bells,/Bells, bells, bells,/From the jingling and the tinkling of the bells»), la poesia di Poe si articola in quattro sezioni in cui l’atmosfera, scintillante e festosa nelle prime due sezioni, si fa poi agitata e sconvolta nella terza e infine cupa e lugubre nella quarta. Allo stesso modo cambiano, scurendosi di sezione in sezione, i materiali e le voci delle campane: nella prima sezione sono d’argento e producono un tintinnio, nella seconda sono d’oro e producono uno scampanio, nella terza sono di bronzo e producono un clangore, nella quarta sono di ferro e producono un gemito.

Fin troppo facile leggere i versi di Poe – al di là del loro fantastico valore linguistico-poetico e musicale, che risulta svilito anche nella miglior traduzione possibile – come metafora sconvolta e allucinata dell’esistenza umana. Considerando poi il riferimento al matrimonio nella seconda sezione, al terrore nella terza e al pianto e alla morte nella quarta, si può anche inserire a buon diritto The Bells fra le numerose opere di Poe che trattano il tema del dolore per la morte della donna amata.

Un testo forte ed emozionante che descrivesse la parabola dell’esistenza umana: fu sicuramente questo che affascinò Rachmaninoff nei versi di Balmont derivati da Poe. Bisogna infatti tener presente che quella di Konstantin Balmont (1867-1942, dei cui versi Majakovskij biasimava la «profumata libidine») naturalmente è molto più di una semplice traduzione e i suoi interventi sul testo di Poe sono a dir poco massicci. Chi conosce il russo ci informa che Balmont ha drasticamente ridimensionato le ripetizioni e i giochi ritmici di Poe. Ma anche coloro che, come chi scrive, non conoscendo il russo non possono valutare la fedeltà della traduzione di Balmont, hanno modo di rendersi conto dell’entità dei suoi interventi confrontando la poesia di Poe con il testo inglese riportato sulla partitura che talvolta viene ancor oggi utilizzato in alcune esecuzioni: testo che non è, appunto, quello originale di Poe, ma una traduzione in inglese del testo russo di Balmont, opera di Fanny S. Copeland (traduzione che, sempre chi conosce il russo, ci dice, che rispetto a Balmont si sforza di ripristinare almeno parzialmente le ripetizioni tipiche di Poe). Da questo confronto ci si accorge di alcuni significativi interventi di Balmont, tutti accolti da Rachmaninoff, con evidenti ripercussioni – come vedremo poi – sul carattere della sua musica.

La partitura delle Campane è datata 27 luglio 1913. Il lavoro era stato iniziato al principio di quello stesso anno durante un periodo trascorso dai Rachmaninoff a Roma. Il compositore alloggiava con la famiglia in albergo, ma per poter lavorare indisturbato aveva preso in affitto come studio lo stesso appartamento su Piazza di Spagna in cui qualche decennio prima Cajkovskij era solito rifugiarsi per comporre durante i suoi soggiorni romani. Qui Rachmaninoff – con l’ulteriore, emozionante stimolo di star componendo alla stessa scrivania di Cajkovskij – lavorò, e molto, alle Campane e alla Seconda Sonata per pianoforte.

In un libro pubblicato nel 19343 New York, I ricordi di Rachmaninoff raccontati a Oskar von Riesemann, si trovano molti aneddoti sul compositore. Il fatto è che Rachmaninoff ha sempre negato di aver dettato alcunché a Riesemann («Il libro è noiosissimo. Fra l’altro contiene una gran quantità di falsità a riprova del fatto che io non l’ho dettato ma che Riesemann lo ha scritto ampiamente di suo pugno») che, morendo nel settembre di quello stesso 1934, probabilmente si è risparmiato possibili azioni legali da parte di Rachmaninoff. Tuttavia Riesemann conosceva bene il compositore e alcune sue osservazioni sulla genesi delle Campane, anche se non dettate da Rachmaninoff e quindi non vere, sono quanto meno verosimili e portano l’attenzione su due fonti di ispirazione diretta effettivamente molto plausibili: la presenza del suono delle campane nelle esperienze infantili, e quindi nell’immaginario collettivo, di un russo prerivoluzionario e le voci delle mille campane della Roma dei primi del Novecento.

Per tornare a dati storici certi, in una lettera scritta da Rachmaninoff all’amica Marietta Shaginyan il 23 marzo da Roma si legge: «Ho lavorato moltissimo e sto ancora lavorando. […] Staremo qui ancora per un mesetto e speriamo di essere di nuovo a Mosca per Pasqua. Fino ad allora ho molte, molte cose da fare». Poco dopo, però, i suoi piani furono sconvolti dalla violenta febbre tifoidea che colpì le sue due ragazze, costringendolo a lasciare di corsa Roma per ripartire alla volta di Berlino per farle curare. Non appena la salute delle ragazze lo rese possibile i Rachmaninoff rientrarono in Russia e si rifugiarono nella residenza di campagna, a Ivanovka, dove il compositore ritrovò la giusta serenità per poter lavorare. In una lettera all’amica Shaginyan del 29 luglio del 1913 – due giorni dopo aver terminato Le campane, dunque — si legge: «Le ragazze ora, grazie a Dio, stanno abbastanza bene. Quanto a me negli ultimi due mesi ho potuto lavorare dalla mattina alla sera. Ogni volta che sono stanco del lavoro salto nella mia automobile [un oggetto pressoché sconosciuto a quell’epoca da quelle parti, n.d.a.] e volo via a una cinquantina di verste da qui nell’aria aperta: respiro quell’aria e benedico la libertà e il cielo azzurro. Dopo un simile bagno d’aria mi sento più sicuro e più forte».

La prima esecuzione delle Campane ebbe luogo il 30 novembre del 1913 al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo, con il Coro e l’Orchestra del Teatro sotto la direzione dell’autore. Fu un successo straordinario che si ripetè anche poco più di due mesi dopo, l’8 febbraio del 1914, in occasione della prima moscovita. Intanto a gennaio Rachmaninoff era rientrato da un breve giro di concerti in Inghilterra con la richiesta della prima inglese delle Campane per l’autunno del 1914 al Festival di Sheffield, cosa poi sfumata a causa dello scoppio della guerra. La prima inglese sarebbe avvenuta solo il 15 marzo del 1921 in un concerto della Liverpool Philharmonic Society diretto da Henry Wood, mentre il Festival di Sheffield avrebbe dovuto attendere fino al 18 ottobre del 1936. Per inciso, fu proprio in occasione di questa esecuzione del 1936 che Rachmaninoff semplificò le parti vocali del terzo movimento su richiesta di Sir Henry Woods, incaricato di dirigere anche l’esecuzione di Sheffield.

La partitura delle Campane – dedicata da Rachmaninoff «al mio amico Willem Mengelberg e alla sua Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam» e pubblicata a Mosca da Gutheil nel 1920 – prevede, oltre alle tre voci soliste (soprano, tenore e baritono) e al coro misto, un ampio organico orchestrale formato da ottavino, 3 flauti (il 3° raddoppia anche l’ottavino), 3 oboi, corno inglese, 3 clarinetti, clarinetto basso, 3 fagotti, controfagotto, 6 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso-tuba, timpani, un notevole gruppo di percussioni (triangolo, tamburello basco, tamburo, grancassa, piatti, tam-tam, glockenspiel, 4 campane tubolari), arpa, celesta, pianoforte verticale (sulla partitura è scritto «pianino»), organo (ad libitum) e archi. E mantenendo intatta la divisione in quattro sezioni della poesia, fu quasi naturale per lui dar vita a una partitura articolata nei quattro movimenti di una sinfonia. In essa, così come nella Seconda Sinfonia e in molte delle sue opere strumentali e sinfoniche di ampio respiro, Rachmaninoff fa ricorso alla forma di tipo ciclico e al tema gregoriano del Dies Irae, un’autentica ossessione per lui che vi vedeva una sorta di memento mori musicale.

Il primo movimento, Allegro, ma non tanto, è aperto da un argenteo tintinnare in la bemolle maggiore di flauti, clarinetti, pianoforte e triangolo cui si aggiunge presto tutta l’orchestra, poi la voce del tenore e infine quella del coro, festosa ed euforica, dando vita a una pagina luminosa e scintillante. Mentre però la prima parte della poesia di Poe era univocamente di questo carattere, Balmont introduce pochi versi di riflessione sulla morte che offrono a Rachmaninoff l’opportunità di creare un breve momento di contrasto espressivo. Affidati al tenore, quei versi introducono un breve episodio corale “a bocca chiusa” in tempo più tranquillo (Meno mosso), misterioso e suggestivo, il cui tema è derivato da quello del Dies Irae. Ma è solo la parentesi di un istante che viene spazzata via dalla ripresa del festoso dinamismo iniziale (Tempo I); qualcosa però si è sottilmente insinuato in quella gioiosa serenità e poco prima che il brano si spenga dolcemente in pianissimo fra gli ultimi sommessi riverberi dei tintinnii che lo avevano aperto, i violini espongono una nuova idea dall’andamento altalenante in cui risuonano ancora una volta vaghe eco del Dies Irae.

È proprio questa idea, affidata alle viole con sordina, ad aprire il secondo movimento, un intenso Lento in re maggiore, e ad attraversarlo ripetutamente passando via via al resto dell’orchestra, alle voci del coro e a quella del soprano. Questa volta dunque è Rachmaninoff a introdurre una lieve nota di contrasto facendo riverberare su questa pagina appassionata le lugubri ombre del Dies Irae.

Il terzo movimento, Presto in fa minore, in cui i solisti tacciono lasciando al coro l’espressione del terrore e dello sgomento, suona quasi come un autentico Dies Irae di un Requiem, cosa tanto più percepibile nella selvaggia versione originale di questo movimento (che viene eseguita nei concerti di Roma). Ancora una volta Balmont banalizza il genio di Poe rendendo concreti e detti, anzi descritti, quell’incendio e quel fuoco che in Poe potrebbero al limite neanche essere reali ma immaginati in un incubo orrendo, sconvolto da sentimenti di terrore e disperazione e dal clangore del suono della campane.

Il quarto e ultimo movimento, Lento lugubre in do diesis minore/re bemolle maggiore, si apre in una meravigliosa atmosfera di grande desolazione: su un cullante e ipnotico accompagnamento in pianissimo si staglia mestamente la spleenetica melodia del corno inglese. È poi il baritono a riprendere questa desolata melodia, mentre l’atmosfera di tanto in tanto si accende in rapide ed effìmere fiammate che naturalmente lasciano affiorare qua e là lacerti claustrofobici dell’ossessionante Dies Irae. L’atmosfera va poi stemperandosi in un morbido Andante che introduce il ritorno del Tempo I, con il coro che, come già nella prima sezione, canta per alcune battute “a bocca chiusa” mentre il brano si spegne dolcemente («perdendosi») su un luminoso accordo di re bemolle maggiore. Anche in questo movimento conclusivo Balmont sceglie di rinunciare alle ipnotiche ripetizioni di parole e alle allucinate immagini di Poe offrendo a Rachmaninoff l’opportunità di chiudere la sua partitura con una pacificata e serena contemplazione della morte.

Carlo Cavalletti

Testo

LE CAMPANE

Testo di Konstantin Balmont adattato da “The Bells” di E. A. Poe. Traduzione dal russo di Valerij Voskobojnikov

1. ALLEGRO, MA NON TANTO
Ascolta, come corrono in fila le slitte,
Corrono in fila! Tintinnano i campanellini,
Tormentano dolcemente il nostro udito
Con il loro leggero suono argenteo,
E con questo canto e ronzio parlano di oblio.
Nell’aria chiara della notte
Risuona squillante, come il riso d’un bambino,
Il loro racconto,
Che dopo le giornate di illusione
Arriva la rinascita,
E quanto è magica la beatitudine,
La beatitudine di un dolce sogno.
Corrono le slitte, corrono in fila,
Tintinnano i campanellini,
E le stelle ascoltano i discorsi delle slitte,
Che scappando raccontano,
E splendono e devotamente odono,
E sognando e brillando veleggiano come spiriti
Nel cielo;
E anche loro parlano dell’oblio
Con la loro mutevole luce
E il fascino silenzioso.

2. LENTO
Ascolta il santo scampanio del matrimonio,
Dorato!
Quanta dolce beatitudine in questo giovane canto!
Attraverso la tranquilla aria della notte
Sembra che gli occhi di qualcuno guardino e brillino,
E dall’ondata di suoni cantilenanti guardano la luna.
Dalle celle invitanti e gioiose,
Piene di favolosa allegria,
Volano, crescendo e cadendo, gli schizzi luminosi.
Si spengono e poi brillano di nuovo,
E abbassano lo sguardo pieno di luce
Sul futuro, dove sonnecchia la placidezza dei dolci sogni,
Annunciati dal consenso delle campane dorate!

3. PRESTO
Ascolta come ulula la campana a martello,
Sembra che si lamenti l’inferno di bronzo!
Questi suoni, terrìbile pena, ribattono la favola degli orrori.
Come se supplicassero di aiutarli.
Lanciano grida nel pieno della notte,
Colpiscono l’udito della notte buia
Con ogni suono,
Ora più corto, ora più lungo,
Gridano il loro terrore,
E il loro terrore è talmente grande,
E così pazzo ogni loro grido,
Che i rintocchi delle campane, strappati, incapaci di suonare,
Possono soltanto dibattersi, svincolarsi e urlare, urlare, urlare!
Soltanto piangere e chiedere pietà,
Rivolgendo i loro lamenti, pieni di dolore,
Alla mole gigantesca avvolta dalle fiamme!
Ma intanto il fuoco folle,
Attutito e assordante,
Arde sempre,
Esce dalle finestre o scorre sul tetto,
Precipita sempre più in alto, in alto, in alto,
E sembra che dica:
Voglio correre sempre più in alto, verso il raggio lunare,
Morirò oppure in un istante arriverò alla luna!
Oh, allarme, allarme, allarme,
Se tu fossi capace di far tornare indietro,
Questo orrore, questa fiamma, questa scintilla, questo sguardo,
Questo primo sguardo di fuoco,
Che tu stai annunciando, con lamento, con grido, con stridente tintinnio!
Invece ora non abbiamo scampo,
Dappertutto c’è solo fuoco e subbuglio,
Regna paura e scompiglio!
Il tuo richiamo,
I suoni selvaggi discordanti
Ci preannunciano il pericolo,
Perché si sta alzando, sempre crescendo
O ritirandosi come un’alta marea,
La sorda disgrazia!
Il nostro udito percepisce attentamente le onde
Nella metamorfosi sonora,
E di nuovo crolla, e di nuovo singhiozza
La risacca con il lamento di bronzo!

4. LENTO LUGUBRE
Ascolta le campane luttuose,
I loro lunghi rintocchi!
Si odono i suoni dello sconsolato dolore,
È finito il sogno di una vita infelice.
Il suono metallico annuncia la malinconia del funerale!
E noi tremiamo involontariamente,
Abbandoniamo in fretta i nostri divertimenti
E piangiamo, ricordando che anche a noi toccherà di chiudere gli occhi.
Questo richiamo da lontano,
Monotono e costante,
Il pesante rintocco funebre,
Come un lamento,
Afflitto, sdegnato,
Lacrimoso,
Si trasforma in un rombo prolungato,
Annunciando che il sofferente si è addormentato
Di sonno eterno.
Nelle celle arrugginite della campana,
Questo suono ripete minaccioso
A tutti, fedeli e infedeli,
Sempre lo stesso:
Che sul cuore si poggerà una pietra,
Che gli occhi si serrano nel sonno.
Brucia la fiaccola funerea,
Dal campanile qualcuno ha gridato,
Questo qualcuno parla forte,
Lassù c’è qualcuno nero,
Che si sganascia di risate, e tuona,
E ulula, ulula, ulula,
Addossandosi al campanile,
La rimbombante campana dondola,
La rimbombante campana singhiozza,
Si lamenta nell’aria ammutolita
E annuncia con voce prolungata
La pace sepolcrale.


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell’Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 19 Dicembre 2009, direttore Antonio Pappano

http://www.flaminioonline.it/Guide/Rachmaninov/Rachmaninov-Campane.html

 

Sergei Rachmaninov, The Bells — Lento lugubre. Vladimir Ashkenazy .

L’isola della morte (Isle of the Dead) op. 29 Sergej Rachmaninoff

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