L’impossibile soluzione
della questione «abitativa»
sotto il dominio del capitale parassitario
Gli economisti accademici ci rammentano sempre l’ineguagliabile
superiorità della legge della domanda e dell’offerta, assoluta regolatrice
del mercato e panacea di tutti i mali, insuperabile per soddisfare
i bisogni degli umani. A loro dire la libera concorrenza dovrebbe essere
ciò che determina il prezzo delle merci. Per cui, a fronte di una
massiccia offerta di un bene sul mercato, il prezzo di quel bene tende
a calare. La ragione per cui l’osannata legge non abbia trovato e
non trovi applicazione, soprattutto in questi ultimi quattro anni dall’inizio
della crisi, per ciò che concerne il mercato abitativo, resta per tali
economisti un mistero; fatto salvo, proprio nell’ultimo periodo, un primo
timidissimo segnale di riduzione dei prezzi degli immobili che tuttavia
appare causato non tanto dal blocco del mercato immobiliare,
quanto da altri elementi conseguenti alla crisi.
Aumentano le case vuote ed invendute
ed aumentano gli sfratti e gli sgomberi
Secondo l’Istat, vi sono in Italia 30 milioni circa di abitazioni, di cui
circa 24 milioni occupate e 5.700.000 vuote (una abitazione su cinque,
di cui ben 700.000 sono addirittura invendute). Sui 24.000.000 di
alloggi occupati, circa 16,9 milioni sono occupate dai proprietari, un
quinto dei quali (3.400.000 famiglie) paga un mutuo bancario; circa
4,7 milioni, pari al 20%, sono in affitto (anche se occorrerebbe aggiungere
che mancano all’appello almeno 1 milione di rapporti locativi
non registrati). Delle abitazioni in affitto, quasi 1.000.000 (966.300)
appartengono ad enti pubblici, 3.700.000 appartengono a grandi, medi
e piccoli proprietari immobiliari. La proprietà edilizia, in ogni caso,
è molto concentrata: secondo
l’Agenzia del Territorio, nell’anno
2010, l’87% del patrimonio
immobiliare era di proprietà di
persone fisiche, ed il 13% è di
proprietà di enti e società; ma allo
stesso tempo, poco meno di
due milioni di “contribuenti”, pari
all’8,3 % del totale proprietario,
dichiaravano ben il 40% del reddito
da fabbricati.
Malgrado il suddetto imponente
numero di alloggi vuoti e
sfitti (ben 80.000 censiti a Milano;
addirittura 250.000 a Roma)
e malgrado l’intensa attività edilizia
del primo decennio del secolo
(dal 2001 in avanti sarebbero
stati costruiti ben 300.000 alloggi
all’anno, una vera e propria inondazione
di cemento pari al 10%
dello stock di case) negli ultimi
dieci anni gli affitti sono aumentati
nelle metropoli di circa l’80%,
mentre i prezzi d’acquisto sono
aumentati del 50%, con un enorme
aumento dei mutui bancari.
Contemporaneamente – sempre
secondo le statistiche ufficiali
del ministero degli Interni – sono
aumentati gli sfratti per morosità
che, nel 2011, sono stati ben
l’87% del totale degli sfratti. Nel
2011, secondo i dati del Ministero
dell’Interno, aggiornati al
30.4.2012, i provvedimenti di rilascio
emessi sono stati : 832
sfratti per necessità del locatore,
7.471 per finita locazione,
55.543 per morosità. Sfratti che
non riguardano solo i capoluoghi
di provincia bensì, ormai – per oltre
la metà, il 50,5% – tutti i comuni,
anche i più piccoli. Non solo:
nel 2011 a fronte della richiesta
di esecuzione per 123.914
sfratti (rispetto alle 109.446
richieste del 2007), ne sono stati
eseguiti 28.641; negli ultimi cinque
anni gli sfratti eseguiti sono
stati 121.000, in media 24.000
ogni anno. Giusto perché i numeri
– in questo ambito – sono
capaci di rendere immediatamente
percepibili le conseguenze
della crisi, va rilevato che il
numero dei provvedimenti di
sfratto per morosità emessi, è
passato dai 33.959 del 2007 ai
55.543 del 2011. Oltre 20.000
sfratti in più. E va sottolineato
che il numero più rilevante di
sfratti emessi si concentra in
Lombardia (12.922, pari al
20,2% nazionale, di cui 5.097 a
Milano e di questi 4.359 per morosità,
e qui eseguiti 741) e Lazio
(7.625, pari all’11.9%, di cui
6.686 a Roma e di questi 5.330
per morosità e qui eseguiti 2.343
); cui seguono : Emilia (6.534,
pari al 10,2%), Piemonte (6.208,
9,7%), Campania (5.690, 9,9%)
e Toscana (5.402, 8,5%).
Nell’immediato futuro l’andamento
degli sfratti si aggraverà.
Secondo le fonti statistiche il numero
degli sfratti già emessi, ma
ancora da eseguire, è pari ad oltre
100.000 e si prevede che verranno
emessi nei prossimi tre anni
altri 200-250.000 provvedimenti
di rilascio, la gran parte per
morosità. Al contempo, aumenterà
il numero dei pignoramenti immobiliari
e degli sloggi contro le
famiglie impotenti a pagare le rate
dei mutui contratti per acquistare
la propria abitazione: i mutui
in sofferenza varrebbero circa
50 miliardi, di cui almeno la metà
per abitazioni; gli immobili in sofferenza
sarebbero circa 300 mila,
di cui 150.000 sono prime case,
ed almeno 70 mila famiglie
hanno già richiesto la sospensione
di un anno per il versamento
delle rate. Quindi ci troveremo dinanzi
ad una marea montante di
sfratti di inquilini e sgomberi di
proprietari espropriati, con la
conseguente pressione sul mercato
dell’affitto da parte di centinaia
di migliaia di famiglie impoverite.
La casa : un fondamento
del potere del capitale parassitario
La situazione sopra descritta
è una delle conseguenze del vero
e proprio sprofondamento sociale
che ha investito, a seguito
della crisi, una parte del proletariato
e delle classi medie, sprofondamento
approfondito dal dominio
del capitale parassitario
sull’intera società. Nel settore
edilizio e immobiliare, questo dominio
ha accresciuto il peso della
finanza nella cementificazione
dei suoli e nell’ipertrofica ed ingiustificata
valorizzazione degli
stessi. Attraverso i più diversi e
fantasiosi piani urbanistici, le varie
giunte locali hanno accresciuto
gli spazi destinati alla vertiginosa
crescita edilizia (in estensione,
in altezza e in profondità),
a scapito di tutto il resto del sistema
economico, dell’ambiente e
più in generale delle condizioni di
vita, consentendo ai proprietari
dei suoli di valorizzare gli stessi,
al di là di qualsiasi rapporto con
gli altri settori del capitale. L’orgia
immobiliare è stata alimentata
dall’accumulazione debitoria: accumulazione
dei debiti delle banche
nei confronti dell’intero sistema
creditizio e finanziario, per
raccogliere i capitali da prestare;
accumulazione dei debiti dei mutuatari
verso le banche.
Questa situazione si è determinata
a partire dalla fine degli anni
’80 del secolo scorso (1), grazie
alla politica legislativa edilizia ed
urbanistica, statale e locale, improntata
al sostegno della rendita
(tralasciamo, in questa sede, ogni
commento sul passaggio dalla
legge equo canone alla legge di liberalizzazione
dei canoni – la Legge
431/98 – e sulle sue conseguenze
per la massa degli inquilini)
ed alla realizzazione della più
pura speculazione parassitaria, i
cui risultati sono sotto i nostri occhi,
senza che ancora se ne possa
vedere la fine. Anzi.
L’esempio milanese – da questo
punto di vista – ne rappresenta
l’emblema. Il meccanismo sopra
visto del doppio finanziamento –
ai proprietari dei suoli ed ai costruttori
da una parte ed agli acquirenti
degli immobili dall’altra –
ha funzionato per anni, con enormi
utili per le banche e vantaggi
per l’intera filiera edilizia/immobiliare/
assicurativa/professionale,
che si è abbuffata ben oltre quattro
palmenti. In fondo solo la crisi
del 2008 e le sue conseguenze
hanno reso evidente l’impossibilità
di procedere così all’infinito, ma
nonostante l’evidenza la speculazione
non vuole demordere.
La sovrapproduzione di case
si è manifestata con l’accumulazione
di un invenduto senza precedenti:
invenduto che si trasforma
in invendibile ai prezzi necessari
per remunerare il promotore
e restituire i capitali mutuati dalle
banche, come provato dall’ingloriosa
fine del gruppo Zunino o del
gruppo Ligresti, protagonisti delle
grandi operazioni edilizie Santa
Giulia e City Life, solo per ricordarne
alcune. Di qui la necessità
– per le banche – di assorbire
le enormi perdite causate dai tracolli
dei gruppi edilizi e immobiliari
più esposti, gelando i crediti
a tutto il sistema immobiliare e
provocando il conseguente corto
circuito della chiusura del finanziamento
per gli acquisti di case
ed uffici, con il crollo verticale dei
mutui, il calo delle compravendite e
l’aumento dell’invenduto.
Tuttavia, nonostante la presenza
di un invenduto nuovo in
aumento anno dopo anno, di un
parco abitazioni vuote da anni,
del forte e crescente calo delle
operazioni di compravendita degli
immobili; nonostante tutto ciò,
i prezzi delle case in vendita non
sono sostanzialmente diminuiti
così come non sono affatto diminuiti
i canoni di locazione. Anzi,
la crisi delle compravendite, che
sposta verso il mercato delle locazioni
una parte della domanda
abitativa, contribuisce a mantenere
alti i canoni di affitto; ed il
reddito locativo, essendo comunque
superiore a quello dei capitali
investiti in obbligazioni o titoli di
stato, contribuisce a sua volta a
mantenere elevato il prezzo di
vendita delle case. E’ questo uno
degli aspetti più perversi del dominio
del capitale parassitario,
cui contribuisce scientemente e
dolosamente la politica statale,
centrale e locale.
Infatti, se i canoni del settore
privato non diminuiscono, i canoni
dell’edilizia pubblica – per colmo
– aumentano, giustificando
l’alto livello degli affitti di case private.
Tanto è avvenuto in Lombardia,
ad esempio, dove, a seguito
di alcune leggi regionali, il
costo complessivo – canoni e
spese – di locazione delle abitazioni
pubbliche è aumentato e
non di poco.
A livello nazionale poi, la legislazione
sulla cedolare secca (Decreto
23/2011), introdotta con la
pretestuosa finalità di consentire
l’emersione dei contratti di locazione
non registrati (pare che siano
oltre un milione) in realtà ha
consentito di mantenere elevati –
od almeno di non ridurre – i canoni
dei contratti regolari con l’ulteriore
vantaggio di una forte riduzione
del carico fiscale sul reddito
dei proprietari immobiliari.
Insomma il codazzo politico-
amministrativo,nazionale e locale,
al servizio permanente della
rendita immobiliare, usa qualsiasi
mezzo per sostenerla. In sostanza,
come abbiamo sopra indicato,
nonostante l’abbondanza
di offerta di case in vendita ed in
locazione, la ferrea legge della
domanda e dell’offerta non vuole
saperne di operare ed i prezzi
non diminuiscono e se soltanto
iniziano a contrarsi c’è sempre
un salvatore della rendita pronto
ad intervenire.
La fine dell’edilizia pubblica e la svendita del patrimonio
Certamente tra le ragioni del
mancato crollo dei prezzi di vendita
degli immobili, alcune sono
di ordine economico. Una relativa
carenza di suoli edificabili in
alcune aree di particolare investimento
consente – nonostante tutto
– di mantenere ancora alto il
prezzo di quelli disponibili, anche
se la complessiva cementificazione
dei suoli nel territorio nazionale
è ormai da anni fuori da
ogni controllo, tanto che anche
l’attuale Governo ritiene che sia
giunto il momento di dover correre
ai ripari con uno stop alla cementificazione
seppur solo dei terreni agricoli. Ma, come abbiamo
sopra indicato, le ragioni che
appaiono determinanti sono, in
ultima analisi, politiche.
L’alto livello dei prezzi degli
immobili e dei canoni di locazione
del settore privato così come
di quello pubblico è, infatti, il risultato
dei rapporti di classe, in
particolare nelle metropoli.
Uno degli aspetti più evidenti
di questi rapporti è stata la fine
della edilizia pubblica, la cui funzione
sociale cessa, anche nominalmente,
nel passaggio che inizia
nella metà degli anni ‘80 e si
conclude nel primo decennio del
2000, Il mutamento della funzione
dell’edilizia pubblica è ben
rappresentato dalla trasformazione
della forma “Istituto” dei vecchi
IACP (Istituto autonomo case
popolari – la cui espressione conteneva,
in sé, persino qualcosa di
“assistenziale”, ed era quindi rivolta
ai soggetti) nella forma
“Azienda” (la cui essenza sono
invece i “beni”). Tra l’altro, qualsiasi
residua funzione assistenziale
della edilizia pubblica, è definitivamente
terminata con l’introduzione
dei nuovi canoni a livello
regionale e – soprattutto –
con l’introduzione del principio
del recupero delle spese di gestione,
il che ha rappresentato e
rappresenta un dissanguamento
senza fine delle fasce più povere.
La fine dell’edilizia pubblica,
poi è segnata dal crollo delle
nuove costruzioni di abitazioni di
proprietà pubblica, che passano
dalle 90 mila unità del 1984 alle 8
mila del 2010; cui si accompagnata
la sostanziale svendita di
una parte rilevante degli alloggi
di edilizia pubblica. A partire dal
1993 – secondo i dati di Federcasa
– sono stati cedute ben
103.000 abitazioni a livello nazionale
(il 10 % del complessivo patrimonio).
Di qui la costante riduzione
del numero di alloggi ex
popolari alle decine di migliaia di
nuclei familiari iscritti nelle graduatorie,
che vengono spinti verso
il mercato dell’affitto privato.
Va ricordato che la svendita
del patrimonio di edilizia pubblica
si è estesa ben oltre le case popolari,
posto che ha investito le
abitazioni di proprietà di tutti gli
enti pubblici previdenziali (Inpdap,
Inail, Inps, etc.) con le cosiddette
dismissioni e cartolarizzazioni;
svendita programmata
sin dal 1996 ed effettuata attraverso
le famigerate società SCIP
1 e 2 (Società Cartolarizzazione
Immobili Pubblici, il cui acronimo
“SCIP” era tutto un programma)
negli anni 2001 e 2002, che ha
colpito in prevalenza i pensionati
ed i lavoratori che vi abitavano.
L’operazione di svendita del
patrimonio edilizio pubblico è peraltro
stata un’ulteriore forma di
sostegno dello Stato alla filiera
bancaria, immobiliare e finanziaria,
che ha lucrato enormi profitti
sulle operazioni di vendita delle
case ex IACP e delle case di pro-
prietà degli altri enti pubblici. Ma
non è affatto finita, visto che i Governi
Berlusconi e Monti hanno
pensato bene di organizzare una
ulteriore maxi-dismissione di tutto
il patrimonio pubblico (dalle
caserme agli immobili delle ASL,
ect.) comprendente nuovamente
anche le – ormai non più – case
popolari.
Per farla breve : la decisione
politica di vendere parti crescenti
del patrimonio edilizio pubblico e
non costruire alloggi popolari unita
alla decisione di elevare canoni
e spese delle ex case popolari
hanno costituito e costituiscono
un sostegno essenziale al capitale
parassitario finanziario bancario
immobiliare e rappresentano
una delle ragioni della situazione
abitativa sempre peggiore di una
parte crescente di giovani, proletari,
immigrati, piccoli borghesi.
Che fare, oggi, nella lotta per la casa
Una parte ormai sempre più
importante del proletariato e dello
strato non proprietario della
piccola borghesia, attualmente,
non ha la possibilità di accedere
ad un alloggio popolare o, persino,
di poter versare il relativo
canone e spese; non può accedere
nemmeno al mercato privato
delle locazioni, il cui canone
resta inavvicinabile; meno che
mai può accedere a quello delle
compravendite, non essendo più
in grado di sottoscrivere alcun
mutuo. In questa situazione queste
masse di lavoratori sono soggette
a sfratti, sgomberi ed
espropriazioni.
Il bisogno abitativo – tuttavia –
non può e non potrà essere soddisfatto
con una agitazione sul terreno
puramente economico sociale.
Nell’attuale situazione di crisi del
sistema e di dominio del capitale
finanziario/parassitario, la lotta per
la casa in tutte le sue articolazioni
– anche solo per cercare di contenere
la rendita ed abbassare i fitti –
si scontra inevitabilmente proprio
con il potere statale, dalle amministrazioni
centrali a quelle locali,
mobilitate per garantire con ogni
mezzo, al capitale finanziarioparassitario,
l’appropriazione della
rendita ai livelli elevati raggiunti tra
la fine del secolo scorso e l’inizio
dell’attuale, livello essenziale per
la sua stessa sopravvivenza economica
e per il suo dominio sociale
e politico.
La lotta per la casa oggi vede
coinvolta la gioventù proletaria ed
in particolare le donne, gli operai
e gli immigrati, ma ormai anche i
pensionati e quale che sia la sua
articolazione immediata richiede
un’organizzazione stabile capace
da un lato di resistere agli attacchi
del capitale finanziario/parassitario
e del suo Stato, dall’altro lato
capace di imporre il soddisfacimento
dell’esigenza abitativa immediata
come momento specifico
della lotta più generale al capitale
e al suo Stato.
Occorre quindi costituire i comitati
di inquilini proletari in ogni
caseggiato pubblico e nei quartieri
per resistere agli sfratti ed
agli sgomberi ed ottenere, in caso
di sfratto, il passaggio da casa
a casa; in caso di occupazione
per necessità la regolarizzazione;
per imporre la riduzione dei
canoni nel settore pubblico, con
esenzione totale dal canone e
dalle spese – da porre a carico
della fiscalità generale – per i percettori
di salari al di sotto di
€.800,00 mensili, ed il pagamento
di un canone e spese pari al
10% del salario quando lo stesso
si situa tra €.800,00 e 1.500,00
mensili; imporre l’immediata ristrutturazione
ed assegnazione
delle case popolari vuote ed occupare
gli alloggi pubblici, di
qualsiasi ente, lasciati abbandonati,
sfitti e non assegnati, che lo
Stato e gli Enti pubblici vorrebbero
svendere; imporre l’abolizione
dell’IMU per gli alloggi popolari,
IMU che direttamente o meno incide
sui canoni e sulle spese; opporsi
alla ulteriore svendita del
patrimonio pubblico ed imporne
l’utilizzazione a favore delle esigenze
abitative degli sfrattati e
dei senza casa in generale; imporre
alle regioni ed ai comuni interventi
e misure urgenti nei confronti
delle società immobiliari o
degli immobiliaristi privati, che
detengono alloggi vuoti ed inutilizzati
da oltre un anno, con l’obbligo
di locare entro sei mesi e
per un quadriennio ad un canone
pari, nel massimo, a tre volte la
rendita catastale, così come previsto
dalla cedolare secca per le
locazioni in nero ed in mancanza
disponendo una specifica tassazione.
Non più case senza gente
e gente senza case, ma una casa
per tutti.
(Roberto) Milano dicembre 2012
(1) Fino agli anni ’80 del novecento,
in Italia – ma ciò, in generale, è valso e
vale anche per altri paesi – nel passato,
la politica legislativa e quella amministrativa
in materia edilizia hanno teso a
favorire una sorta di appoderamento delle
classi medie (ed anche di una parte di
classe operaia), in relazione alle necessità
di sviluppo industriale della società
nel suo complesso ed anche – coscientemente
o meno poco importa – come
espressione ideologica della appartenenza
sociale e conseguente consenso
al sistema (“siamo tutti proprietari”).
ricevuta da :
circolo proletario g.landonio