Manifestazione per la casa a Roma, qualche dato da circolo proletario landonio, video : La Questione delle Abitazioni : Friedrich Engels

L’impossibile soluzione

della questione «abitativa»

sotto il dominio del capitale parassitario

Gli economisti accademici ci rammentano sempre l’ineguagliabile

superiorità della legge della domanda e dell’offerta, assoluta regolatrice

del mercato e panacea di tutti i mali, insuperabile per soddisfare

i bisogni degli umani. A loro dire la libera concorrenza dovrebbe essere

ciò che determina il prezzo delle merci. Per cui, a fronte di una

massiccia offerta di un bene sul mercato, il prezzo di quel bene tende

a calare. La ragione per cui l’osannata legge non abbia trovato e

non trovi applicazione, soprattutto in questi ultimi quattro anni dall’inizio

della crisi, per ciò che concerne il mercato abitativo, resta per tali

economisti un mistero; fatto salvo, proprio nell’ultimo periodo, un primo

timidissimo segnale di riduzione dei prezzi degli immobili che tuttavia

appare causato non tanto dal blocco del mercato immobiliare,

quanto da altri elementi conseguenti alla crisi.

Aumentano le case vuote ed invendute

ed aumentano gli sfratti e gli sgomberi

Secondo l’Istat, vi sono in Italia 30 milioni circa di abitazioni, di cui

circa 24 milioni occupate e 5.700.000 vuote (una abitazione su cinque,

di cui ben 700.000 sono addirittura invendute). Sui 24.000.000 di

alloggi occupati, circa 16,9 milioni sono occupate dai proprietari, un

quinto dei quali (3.400.000 famiglie) paga un mutuo bancario; circa

4,7 milioni, pari al 20%, sono in affitto (anche se occorrerebbe aggiungere

che mancano all’appello almeno 1 milione di rapporti locativi

non registrati). Delle abitazioni in affitto, quasi 1.000.000 (966.300)

appartengono ad enti pubblici, 3.700.000 appartengono a grandi, medi

e piccoli proprietari immobiliari. La proprietà edilizia, in ogni caso,

è molto concentrata: secondo

l’Agenzia del Territorio, nell’anno

2010, l’87% del patrimonio

immobiliare era di proprietà di

persone fisiche, ed il 13% è di

proprietà di enti e società; ma allo

stesso tempo, poco meno di

due milioni di “contribuenti”, pari

all’8,3 % del totale proprietario,

dichiaravano ben il 40% del reddito

da fabbricati.

Malgrado il suddetto imponente

numero di alloggi vuoti e

sfitti (ben 80.000 censiti a Milano;

addirittura 250.000 a Roma)

e malgrado l’intensa attività edilizia

del primo decennio del secolo

(dal 2001 in avanti sarebbero

stati costruiti ben 300.000 alloggi

all’anno, una vera e propria inondazione

di cemento pari al 10%

dello stock di case) negli ultimi

dieci anni gli affitti sono aumentati

nelle metropoli di circa l’80%,

mentre i prezzi d’acquisto sono

aumentati del 50%, con un enorme

aumento dei mutui bancari.

Contemporaneamente – sempre

secondo le statistiche ufficiali

del ministero degli Interni – sono

aumentati gli sfratti per morosità

che, nel 2011, sono stati ben

l’87% del totale degli sfratti. Nel

2011, secondo i dati del Ministero

dell’Interno, aggiornati al

30.4.2012, i provvedimenti di rilascio

emessi sono stati : 832

sfratti per necessità del locatore,

7.471 per finita locazione,

55.543 per morosità. Sfratti che

non riguardano solo i capoluoghi

di provincia bensì, ormai – per oltre

la metà, il 50,5% – tutti i comuni,

anche i più piccoli. Non solo:

nel 2011 a fronte della richiesta

di esecuzione per 123.914

sfratti (rispetto alle 109.446

richieste del 2007), ne sono stati

eseguiti 28.641; negli ultimi cinque

anni gli sfratti eseguiti sono

stati 121.000, in media 24.000

ogni anno. Giusto perché i numeri

– in questo ambito – sono

capaci di rendere immediatamente

percepibili le conseguenze

della crisi, va rilevato che il

numero dei provvedimenti di

sfratto per morosità emessi, è

passato dai 33.959 del 2007 ai

55.543 del 2011. Oltre 20.000

sfratti in più. E va sottolineato

che il numero più rilevante di

sfratti emessi si concentra in

Lombardia (12.922, pari al

20,2% nazionale, di cui 5.097 a

Milano e di questi 4.359 per morosità,

e qui eseguiti 741) e Lazio

(7.625, pari all’11.9%, di cui

6.686 a Roma e di questi 5.330

per morosità e qui eseguiti 2.343

); cui seguono : Emilia (6.534,

pari al 10,2%), Piemonte (6.208,

9,7%), Campania (5.690, 9,9%)

e Toscana (5.402, 8,5%).

Nell’immediato futuro l’andamento

degli sfratti si aggraverà.

Secondo le fonti statistiche il numero

degli sfratti già emessi, ma

ancora da eseguire, è pari ad oltre

100.000 e si prevede che verranno

emessi nei prossimi tre anni

altri 200-250.000 provvedimenti

di rilascio, la gran parte per

morosità. Al contempo, aumenterà

il numero dei pignoramenti immobiliari

e degli sloggi contro le

famiglie impotenti a pagare le rate

dei mutui contratti per acquistare

la propria abitazione: i mutui

in sofferenza varrebbero circa

50 miliardi, di cui almeno la metà

per abitazioni; gli immobili in sofferenza

sarebbero circa 300 mila,

di cui 150.000 sono prime case,

ed almeno 70 mila famiglie

hanno già richiesto la sospensione

di un anno per il versamento

delle rate. Quindi ci troveremo dinanzi

ad una marea montante di

sfratti di inquilini e sgomberi di

proprietari espropriati, con la

conseguente pressione sul mercato

dell’affitto da parte di centinaia

di migliaia di famiglie impoverite.

La casa : un fondamento

del potere del capitale parassitario

La situazione sopra descritta

è una delle conseguenze del vero

e proprio sprofondamento sociale

che ha investito, a seguito

della crisi, una parte del proletariato

e delle classi medie, sprofondamento

approfondito dal dominio

del capitale parassitario

sull’intera società. Nel settore

edilizio e immobiliare, questo dominio

ha accresciuto il peso della

finanza nella cementificazione

dei suoli e nell’ipertrofica ed ingiustificata

valorizzazione degli

stessi. Attraverso i più diversi e

fantasiosi piani urbanistici, le varie

giunte locali hanno accresciuto

gli spazi destinati alla vertiginosa

crescita edilizia (in estensione,

in altezza e in profondità),

a scapito di tutto il resto del sistema

economico, dell’ambiente e

più in generale delle condizioni di

vita, consentendo ai proprietari

dei suoli di valorizzare gli stessi,

al di là di qualsiasi rapporto con

gli altri settori del capitale. L’orgia

immobiliare è stata alimentata

dall’accumulazione debitoria: accumulazione

dei debiti delle banche

nei confronti dell’intero sistema

creditizio e finanziario, per

raccogliere i capitali da prestare;

accumulazione dei debiti dei mutuatari

verso le banche.

Questa situazione si è determinata

a partire dalla fine degli anni

’80 del secolo scorso (1), grazie

alla politica legislativa edilizia ed

urbanistica, statale e locale, improntata

al sostegno della rendita

(tralasciamo, in questa sede, ogni

commento sul passaggio dalla

legge equo canone alla legge di liberalizzazione

dei canoni – la Legge

431/98 – e sulle sue conseguenze

per la massa degli inquilini)

ed alla realizzazione della più

pura speculazione parassitaria, i

cui risultati sono sotto i nostri occhi,

senza che ancora se ne possa

vedere la fine. Anzi.

L’esempio milanese – da questo

punto di vista – ne rappresenta

l’emblema. Il meccanismo sopra

visto del doppio finanziamento –

ai proprietari dei suoli ed ai costruttori

da una parte ed agli acquirenti

degli immobili dall’altra –

ha funzionato per anni, con enormi

utili per le banche e vantaggi

per l’intera filiera edilizia/immobiliare/

assicurativa/professionale,

che si è abbuffata ben oltre quattro

palmenti. In fondo solo la crisi

del 2008 e le sue conseguenze

hanno reso evidente l’impossibilità

di procedere così all’infinito, ma

nonostante l’evidenza la speculazione

non vuole demordere.

La sovrapproduzione di case

si è manifestata con l’accumulazione

di un invenduto senza precedenti:

invenduto che si trasforma

in invendibile ai prezzi necessari

per remunerare il promotore

e restituire i capitali mutuati dalle

banche, come provato dall’ingloriosa

fine del gruppo Zunino o del

gruppo Ligresti, protagonisti delle

grandi operazioni edilizie Santa

Giulia e City Life, solo per ricordarne

alcune. Di qui la necessità

– per le banche – di assorbire

le enormi perdite causate dai tracolli

dei gruppi edilizi e immobiliari

più esposti, gelando i crediti

a tutto il sistema immobiliare e

provocando il conseguente corto

circuito della chiusura del finanziamento

per gli acquisti di case

ed uffici, con il crollo verticale dei

mutui, il calo delle compravendite e

l’aumento dell’invenduto.

Tuttavia, nonostante la presenza

di un invenduto nuovo in

aumento anno dopo anno, di un

parco abitazioni vuote da anni,

del forte e crescente calo delle

operazioni di compravendita degli

immobili; nonostante tutto ciò,

i prezzi delle case in vendita non

sono sostanzialmente diminuiti

così come non sono affatto diminuiti

i canoni di locazione. Anzi,

la crisi delle compravendite, che

sposta verso il mercato delle locazioni

una parte della domanda

abitativa, contribuisce a mantenere

alti i canoni di affitto; ed il

reddito locativo, essendo comunque

superiore a quello dei capitali

investiti in obbligazioni o titoli di

stato, contribuisce a sua volta a

mantenere elevato il prezzo di

vendita delle case. E’ questo uno

degli aspetti più perversi del dominio

del capitale parassitario,

cui contribuisce scientemente e

dolosamente la politica statale,

centrale e locale.

Infatti, se i canoni del settore

privato non diminuiscono, i canoni

dell’edilizia pubblica – per colmo

– aumentano, giustificando

l’alto livello degli affitti di case private.

Tanto è avvenuto in Lombardia,

ad esempio, dove, a seguito

di alcune leggi regionali, il

costo complessivo – canoni e

spese – di locazione delle abitazioni

pubbliche è aumentato e

non di poco.

A livello nazionale poi, la legislazione

sulla cedolare secca (Decreto

23/2011), introdotta con la

pretestuosa finalità di consentire

l’emersione dei contratti di locazione

non registrati (pare che siano

oltre un milione) in realtà ha

consentito di mantenere elevati –

od almeno di non ridurre – i canoni

dei contratti regolari con l’ulteriore

vantaggio di una forte riduzione

del carico fiscale sul reddito

dei proprietari immobiliari.

Insomma il codazzo politico-

amministrativo,nazionale e locale,

al servizio permanente della

rendita immobiliare, usa qualsiasi

mezzo per sostenerla. In sostanza,

come abbiamo sopra indicato,

nonostante l’abbondanza

di offerta di case in vendita ed in

locazione, la ferrea legge della

domanda e dell’offerta non vuole

saperne di operare ed i prezzi

non diminuiscono e se soltanto

iniziano a contrarsi c’è sempre

un salvatore della rendita pronto

ad intervenire.

La fine dell’edilizia pubblica e la svendita del patrimonio

Certamente tra le ragioni del

mancato crollo dei prezzi di vendita

degli immobili, alcune sono

di ordine economico. Una relativa

carenza di suoli edificabili in

alcune aree di particolare investimento

consente – nonostante tutto

– di mantenere ancora alto il

prezzo di quelli disponibili, anche

se la complessiva cementificazione

dei suoli nel territorio nazionale

è ormai da anni fuori da

ogni controllo, tanto che anche

l’attuale Governo ritiene che sia

giunto il momento di dover correre

ai ripari con uno stop alla cementificazione

seppur solo dei terreni agricoli. Ma, come abbiamo

sopra indicato, le ragioni che

appaiono determinanti sono, in

ultima analisi, politiche.

L’alto livello dei prezzi degli

immobili e dei canoni di locazione

del settore privato così come

di quello pubblico è, infatti, il risultato

dei rapporti di classe, in

particolare nelle metropoli.

Uno degli aspetti più evidenti

di questi rapporti è stata la fine

della edilizia pubblica, la cui funzione

sociale cessa, anche nominalmente,

nel passaggio che inizia

nella metà degli anni ‘80 e si

conclude nel primo decennio del

2000, Il mutamento della funzione

dell’edilizia pubblica è ben

rappresentato dalla trasformazione

della forma “Istituto” dei vecchi

IACP (Istituto autonomo case

popolari – la cui espressione conteneva,

in sé, persino qualcosa di

“assistenziale”, ed era quindi rivolta

ai soggetti) nella forma

“Azienda” (la cui essenza sono

invece i “beni”). Tra l’altro, qualsiasi

residua funzione assistenziale

della edilizia pubblica, è definitivamente

terminata con l’introduzione

dei nuovi canoni a livello

regionale e – soprattutto –

con l’introduzione del principio

del recupero delle spese di gestione,

il che ha rappresentato e

rappresenta un dissanguamento

senza fine delle fasce più povere.

La fine dell’edilizia pubblica,

poi è segnata dal crollo delle

nuove costruzioni di abitazioni di

proprietà pubblica, che passano

dalle 90 mila unità del 1984 alle 8

mila del 2010; cui si accompagnata

la sostanziale svendita di

una parte rilevante degli alloggi

di edilizia pubblica. A partire dal

1993 – secondo i dati di Federcasa

– sono stati cedute ben

103.000 abitazioni a livello nazionale

(il 10 % del complessivo patrimonio).

Di qui la costante riduzione

del numero di alloggi ex

popolari alle decine di migliaia di

nuclei familiari iscritti nelle graduatorie,

che vengono spinti verso

il mercato dell’affitto privato.

Va ricordato che la svendita

del patrimonio di edilizia pubblica

si è estesa ben oltre le case popolari,

posto che ha investito le

abitazioni di proprietà di tutti gli

enti pubblici previdenziali (Inpdap,

Inail, Inps, etc.) con le cosiddette

dismissioni e cartolarizzazioni;

svendita programmata

sin dal 1996 ed effettuata attraverso

le famigerate società SCIP

1 e 2 (Società Cartolarizzazione

Immobili Pubblici, il cui acronimo

“SCIP” era tutto un programma)

negli anni 2001 e 2002, che ha

colpito in prevalenza i pensionati

ed i lavoratori che vi abitavano.

L’operazione di svendita del

patrimonio edilizio pubblico è peraltro

stata un’ulteriore forma di

sostegno dello Stato alla filiera

bancaria, immobiliare e finanziaria,

che ha lucrato enormi profitti

sulle operazioni di vendita delle

case ex IACP e delle case di pro-

prietà degli altri enti pubblici. Ma

non è affatto finita, visto che i Governi

Berlusconi e Monti hanno

pensato bene di organizzare una

ulteriore maxi-dismissione di tutto

il patrimonio pubblico (dalle

caserme agli immobili delle ASL,

ect.) comprendente nuovamente

anche le – ormai non più – case

popolari.

Per farla breve : la decisione

politica di vendere parti crescenti

del patrimonio edilizio pubblico e

non costruire alloggi popolari unita

alla decisione di elevare canoni

e spese delle ex case popolari

hanno costituito e costituiscono

un sostegno essenziale al capitale

parassitario finanziario bancario

immobiliare e rappresentano

una delle ragioni della situazione

abitativa sempre peggiore di una

parte crescente di giovani, proletari,

immigrati, piccoli borghesi.

Che fare, oggi, nella lotta per la casa

Una parte ormai sempre più

importante del proletariato e dello

strato non proprietario della

piccola borghesia, attualmente,

non ha la possibilità di accedere

ad un alloggio popolare o, persino,

di poter versare il relativo

canone e spese; non può accedere

nemmeno al mercato privato

delle locazioni, il cui canone

resta inavvicinabile; meno che

mai può accedere a quello delle

compravendite, non essendo più

in grado di sottoscrivere alcun

mutuo. In questa situazione queste

masse di lavoratori sono soggette

a sfratti, sgomberi ed

espropriazioni.

Il bisogno abitativo – tuttavia –

non può e non potrà essere soddisfatto

con una agitazione sul terreno

puramente economico sociale.

Nell’attuale situazione di crisi del

sistema e di dominio del capitale

finanziario/parassitario, la lotta per

la casa in tutte le sue articolazioni

– anche solo per cercare di contenere

la rendita ed abbassare i fitti –

si scontra inevitabilmente proprio

con il potere statale, dalle amministrazioni

centrali a quelle locali,

mobilitate per garantire con ogni

mezzo, al capitale finanziarioparassitario,

l’appropriazione della

rendita ai livelli elevati raggiunti tra

la fine del secolo scorso e l’inizio

dell’attuale, livello essenziale per

la sua stessa sopravvivenza economica

e per il suo dominio sociale

e politico.

La lotta per la casa oggi vede

coinvolta la gioventù proletaria ed

in particolare le donne, gli operai

e gli immigrati, ma ormai anche i

pensionati e quale che sia la sua

articolazione immediata richiede

un’organizzazione stabile capace

da un lato di resistere agli attacchi

del capitale finanziario/parassitario

e del suo Stato, dall’altro lato

capace di imporre il soddisfacimento

dell’esigenza abitativa immediata

come momento specifico

della lotta più generale al capitale

e al suo Stato.

Occorre quindi costituire i comitati

di inquilini proletari in ogni

caseggiato pubblico e nei quartieri

per resistere agli sfratti ed

agli sgomberi ed ottenere, in caso

di sfratto, il passaggio da casa

a casa; in caso di occupazione

per necessità la regolarizzazione;

per imporre la riduzione dei

canoni nel settore pubblico, con

esenzione totale dal canone e

dalle spese – da porre a carico

della fiscalità generale – per i percettori

di salari al di sotto di

€.800,00 mensili, ed il pagamento

di un canone e spese pari al

10% del salario quando lo stesso

si situa tra €.800,00 e 1.500,00

mensili; imporre l’immediata ristrutturazione

ed assegnazione

delle case popolari vuote ed occupare

gli alloggi pubblici, di

qualsiasi ente, lasciati abbandonati,

sfitti e non assegnati, che lo

Stato e gli Enti pubblici vorrebbero

svendere; imporre l’abolizione

dell’IMU per gli alloggi popolari,

IMU che direttamente o meno incide

sui canoni e sulle spese; opporsi

alla ulteriore svendita del

patrimonio pubblico ed imporne

l’utilizzazione a favore delle esigenze

abitative degli sfrattati e

dei senza casa in generale; imporre

alle regioni ed ai comuni interventi

e misure urgenti nei confronti

delle società immobiliari o

degli immobiliaristi privati, che

detengono alloggi vuoti ed inutilizzati

da oltre un anno, con l’obbligo

di locare entro sei mesi e

per un quadriennio ad un canone

pari, nel massimo, a tre volte la

rendita catastale, così come previsto

dalla cedolare secca per le

locazioni in nero ed in mancanza

disponendo una specifica tassazione.

Non più case senza gente

e gente senza case, ma una casa

per tutti.

(Roberto) Milano dicembre 2012

(1) Fino agli anni ’80 del novecento,

in Italia – ma ciò, in generale, è valso e

vale anche per altri paesi – nel passato,

la politica legislativa e quella amministrativa

in materia edilizia hanno teso a

favorire una sorta di appoderamento delle

classi medie (ed anche di una parte di

classe operaia), in relazione alle necessità

di sviluppo industriale della società

nel suo complesso ed anche – coscientemente

o meno poco importa – come

espressione ideologica della appartenenza

sociale e conseguente consenso

al sistema (“siamo tutti proprietari”).

ricevuta da :

circolo proletario g.landonio


 

La Questione delle Abitazioni : Friedrich Engels – controappuntoblog

La Questione delle Abitazioni : Friedrich Engels

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