Prova do orchestra (1978) | Federico Fellini (SUBTITULADA EN ESP) ; Federico Fellini e le metafore:

“Mi rifiuto il lieto fine, ha sempre affermato Fellini, “Perché impedisce al pubblico di avere alcuna responsabilità. Al contrario, io preferisco che il mio film termini con un punto interrogativo, allora sta allo spettatore di trovare il termine giusto per la mia storia. In tutti i miei film, ho perlomeno cercato di rimanere fedele alla mia idea di lasciare nella conclusione dei punti di sospensione. Inoltre, non ho mai scritto la parola “Fine” sullo schermo.”

Federico Fellini
Prova d’Orchestra

Eppure il film all’apparenza ha la forma dell’inchiesta, del cinema che si avvicina al giornalismo e, di conseguenza, alla verità fattuale. Come già in altre opere simili, ad esempio I clowns (id., 1970), viene a sgretolarsi la divisione tra cinema e televisione e tra arte e giornalismo: i diversi ambiti si sormontano trascolorando vicendevolmente. L’effetto che ne deriva è la continua infrazione delle regole comunicative che pertengono ad ogni medium, tanto che si può parlare della presenza in Prova d’orchestra di versanti metacinematografici e metatelevisivi.

Tali versanti si riflettono poi nell’interrogazione sulla natura del guardare e dell’essere guradati, sulla dialettica tra conoscenza sensibile autoptica e filtro deformante tipicamente detentori della doppia valenza di mistificazione e creatività. La macchina da presa indaga i personaggi fingendosi telecamera ma essi si comportano quasi come artisti circensi, creando scene da slapstick con la conseguente invalidazione dell’idea di reportage su cui si basa la finzione filmica.

Ecco perché la contraddittorietà è la vera chiave interpretativa del film: ogni singolo assunto viene rovesciato in una realtà altra e nulla si rivela mai per come è.

È intuibile inoltre come il concetto di contraddizione istituisca un conflitto tra le idee di caso/caos e la nozione di stabilità/organizzazione strutturata. L’agone tra questi due poli estetico-filosofici si ripropone costantemente lungo tutto il procedere della narrazione. Si pensi all’inconciliabilità del comportamento autoritario del direttore d’orchestra con la buona riuscita delle prove, alla dannosità dell’indisciplina degli orchestrali, all’impossibilità di estendere in toto le tutele sindacali agli artisti, alla necessaria ma problematica compresenza di obblighi comportamentali ed estro esecutivo insita nella musica sinfonica.

Il discorso di Fellini è perciò, in ultima analisi, una riflessione sulle mille valenze delle regole, sull’incomprensibile e incompresa presenza del caso (la sfera d’acciaio da demolizione) nella quotidianità, sull’impossibile sovrapposizione tra lavoro e arte, sull’assurda pretesa di guardare ed essere guardati seguendo regole fisse e codificate.

Tutto questo grottesco universo, perché «Tutto è prova d’orchestra» – Fellini dixit -, è visto attraverso una luce fioca e malferma, che non toglie dalle tenebre nient’altro che i contorni delle cose ma è abbastanza forte da svelare qualche verità sul senso dell’arte nella vita e sulla dialettica continua tra regole e libertà.

Risultati come quelli appena riferiti non possono non corroborare il convincimento secondo il quale sovente Prova d’orchestra sia stato oggetto di sottovalutazioni dovute alternativamente a superficialità interpretativa, conformismo critico o eccessivo focus sui grandi capolavori. Lo sforzo che si dovrebbe compiere è quello di guardare quest’opera con occhi sgombri da accidiosi ed esiziali appiattimenti, di modo che l’approccio al film si compia con rinnovata freschezza e sereno tatto interpretativo.

Prova d’orchestra è sempre stato considerato uno dei film minori di Federico Fellini. Certo se si pensa a capolavori come Otto e mezzo, La dolce vita, Amarcord o La strada non si può fare a meno di pensare che il paragone non può nemmeno darsi come possibile. È però vero che spesso la sovrabbondanza di studi sui Grandi Film lascia uno spazio veramente troppo angusto al lavoro esegetico su altre opere pur ricchissime di soluzioni originali e stimolanti. La sorte appena descritta è, in buona misura, quella toccata al film in questione, eccessivamente adombrato da una filmografia traboccante di capolavori.

Nell’intento di operare un’autentica rivalutazione di Prova d’orchestra uno dei punti da cui è consigliabile partire è senz’altro l’eccezionale fantasia visivo-sonora che permea l’universo immaginativo dell’opera. Immagini e suoni, infatti, sono sapientemente intersecati secondo logiche del tutto innovative. I brani di Nino Rota, tra i più grandi compositori di musica da film della storia del cinema, non accompagnano semplicemente le immagini né tanto meno servono solo ad aggiungere significato alla narrazione; sono piuttosto il centro della potenzialità estetica dell’opera nel senso che probabilmente il film sprofonderebbe nel vuoto semantico senza gli straordinari temi musicali che lo attraversano. Musica e rumore perdono progressivamente la linea di separazione che tradizionalmente li distanzia per acquisire un’inusitata autenticità che arriva a porre sul tappeto interrogativi sul senso dell’arte e del gusto che inevitabilmente la condiziona. Sgradevolezza e grazia trovano così una dimensione comune e diventano il simbolo della contraddittorietà universale, vera cifra stilistica di Prova d’orchestra.

Testimonianze della compresenza/coincidenza degli opposti all’interno del film si rintracciano su più fronti, sia tematici che formali.

Innanzitutto l’uso del grottesco, che per sua natura prevede il gioco dei contrari – cfr. La grande abbuffata (La Grand bouffe, 1973) -, produce continue contraddizioni tra serio e faceto fino a far perdere i connotati di verità di cui alcune affermazioni dei personaggi non sarebbero prive. Nulla di ciò che ci viene mostrato è certo; innanzitutto perché l’autore, da autentico artista qual è, non propone un messaggio preconfezionato che poi tenta di esprimere nel migliore dei modi ma istituisce degli interrogativi estetici a cui riesce a rispondere solo parzialmente ma che mettono in moto un ricco percorso interpretativo che è destinato a non concludersi mai. In fondo lo stesso microcosmo sociale che Fellini mette in scena è oscuro e contraddittorio, come lo è la società alla quale non può non riferirsi, ma che è lungi dall’essere descritta in maniera compiuta ed esaustiva.

http://www.activitaly.it/immaginicinema/fellini/Prova_%20d_orchestra/fellini_prova_orchestra_3.htm

Federico Fellini e le metafore: «Prova d’ orchestra»

Nel 1979 fioccarono le polemiche su «Prova d’ orchestra»: e il candido Fellini, che aveva trovato lo spunto in un saggio di Elias Canetti («Massa e potere») consigliatogli dal suo sceneggiatore Brunello Rondi, dovette difendersi da chi lo accusava di avere girato un «rappel à l’ ordre» o, viceversa, un pamphlet antisindacalista. E si sprecarono le interpretazioni sulla sfera nera che riporta violentemente l’ ordine nell’ orchestra in subbuglio. Oggi il messaggio felliniano appare molto più semplice e lineare: un appello ai fragili valori dell’ arte in un mondo caotico, minacciato da forze distruttive sia all’ interno, sia all’ esterno. Splendida la parata di facce e di caratteristi (tra cui Franco Javarone, il suonatore di tuba). Tra gli extra, alcune reliquie televisive o d’ altro tipo, spesso senza data, e che a poco servono. Qualcosa di più utile si trova nella traccia dvd-rom. (Alberto Pezzotta) PROVA D’ ORCHESTRA, Federico Fellini, dvd, elleU, 19,90 euro

Pezzotta Alberto

Pagina 60
(13 aprile 2004) – Corriere della Sera







 

Fellini 8 1/2. Music To Moving Pictures. Exposición Federico Fellini. El circo de las ilusiones. Fundación la Caixa . La Dolce Vita-Finale

ALLA RICERCA DI FELLINI: Roma (prima parte) – Federico Fellini – Roma (Rzym). Lektor PL.

storiografia e senso dell’antico nel Fellini Satyricon – Satyricon “Federico Fellini” 1969 – Filme Completo (Full Movie) / Legendado PT

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