GLI AMERICANI DI RABBATO di Luigi Capuana

Gli “Americani” di Ràbbato, racconto. Illustrato da Aleardo …

 

Una storia di ordinaria emigrazione

Sicilia, fine 1800. Due fratelli che vivono in un piccolo e arretrato paese, stanchi della vita difficile condotta fra campi e miseria, decidono di partire per gli Stati Uniti a cercare fortuna. Lasceranno in Sicilia un anziano nonno, custode delle tradizioni della loro terra, una madre affranta e un fratellino più piccolo. Ma le loro illusioni durano poco: relegati nel ghetto di Little Italy, gli emigrati italiani sono sopraffatti da un ambiente spesso ostile e comunque non meno duro della loro terra d’origine. Si pone allora una difficile scelta: accettare una vita di sacrifici per risparmiare pochi soldi da spedire in patria o imboccare una scorciatoia ed entrare a far parte della mafia? Oppure esiste una terza possibilità?

Luigi Capuana è considerato insieme a Verga il fondatore del Verismo. In questo, come negli altri suoi romanzi, descrive con l’oggettività e l’imparzialità dello scienziato la realtà in tutti i suoi aspetti, con particolare attenzione alle figure che più soffrono le ingiustizie e le miserie della vita.

Il nonno

1. Lo zi’ Santi Lamanna rimpiange i tempi passati.

«Come andiamo, nonno?»

«Come vuole Dio, signor dottore».

«Intendo dire di quei dolori alla schiena…»

«Vengono, vanno via, tornano. Io li lascio fare. Ho quattro ventine e sette anni su le spalle.

Ne avrò per poco, signor dottore».

«Voi siete più giovanotto dei vostri nipoti. Uomini come voi non se ne fabbricano più al giorno d’oggi».

Il dottor Liardo aveva fermato avanti a la porta del Lamanna la bell’asina ferrante su cui andava attorno per le visite ai suoi malati. Il vecchio era seduto là, e intrecciava, con sottili strisce di canna e vimini, un paniere; per non stare con le mani in mano, aveva soggiunto, dopo salutato il dottore.

In maniche di camicia, vestito alla foggia antica, con corpetto di traliccio a pistagna, abbot-tonato fino al collo con fitti bottoni di madreperla, con corti calzoni di felpone blu e con le calze di cotone candidissime che gli modellavano i polpacci robusti, lo zi’ Santi Lamanna, a quell’età, era il solo che sopravvivesse della sua generazione in paese, e il dottor Liardo aveva un’affettuosa ammi-azione per lui.

«E i vostri nipoti?» egli domandò.

«Due in campagna, per l’aratura, e l’ultimo, il ragazzo, a scuola, giacché ora, per imbrogliare meglio il prossimo, s’insegna a saper leggere e scrivere. Ai miei tempi…»

«Non dite così. Leggere e scrivere giova anche per i propri affari».

«Si guastano la testa, signor dottore. Lo vedo dai due maggiori che sanno anch’essi qualche punto di lettura. Ai miei tempi…»

«Non li rimpiangete. I tempi mutano. Oggi si sta un po’ meglio di prima».

«Sarà!»

«Quella ricetta…»

«Perdoni, voscenza; ma è ancora nel cassetto. I danari dati allo speziale mi sembrano sciupati».

Questa voce è stata pubblicata in cultura e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.