Lucilio Santoni Lettere a Seneca – Lettere a Lucilio Seneca

 

Un poetico, tormentoso impegno civile

In “Lettere a Seneca” (Marte Editrice) Lucilio Santoni, attraverso varie forme espressive, affronta – anche polemicamente – i temi del presente

Se Seneca, presumibilmente tra il 62 e il 65 d.C., scrisse 124 Lettere, di argomento filosofico e morale, indirizzate all’amico Lucilio, dopo quasi duemila anni un altro Lucilio risponde al filosofo e scrittore ispano-latino. Il Lucilio in questione è il poeta marchigiano Santoni e l’opera reca appunto il titolo ironico di Lettere a Seneca (Marte Editrice, pp. 148, € 14,00).

«Per tanti anni ho creduto che il bello potesse non dico salvare il mondo, ma per lo meno migliorarlo. […] Ho creduto che una bella terra ispirasse nobili sentimenti o, se non proprio nobili, almeno non troppo meschini». Diremmo che questa riflessione iniziale dell’autore costituisca il quid della pubblicazione. Oggi prevalgono sempre di più la bruttezza, la violenza, l’ingiustizia, lo sfruttamento, la stupidità. E Lucilio Santoni, disincantato e disilluso, ma instancabile anarchico, le denuncia. Paradossi, riflessioni, poesie, citazioni, affrontano molteplici tematiche del presente, con un tono talvolta sconsolato e malinconico, a volte apertamente polemico, ma sempre originale, con uno scavo profondo, quasi ferite benefiche all’interno della realtà che stiamo vivendo, nella quale «per vincere è necessario il massimo dell’individualismo combinato col massimo dell’omologazione».

La verità viene schiaffata in faccia al lettore senza alcuna “prudenza” politically correct: «La donna che sbraita più forte contro gli stupratori è colei che desidererebbe essere presa con forza. […] L’uomo che usa più spesso la parola “puttana” come insulto è colui che spende tutti i suoi soldi con quel tipo di donna. […] Chi parla troppo spesso di amore e buoni sentimenti è colui che coltiva un odio viscerale». Santoni si riappropria giustamente del linguaggio, della sua potenza espressiva, della sua capacità di scandalizzare, perché in ambito linguistico si sta attuando «una sorta di carnevale semantico. […] Una lenta distruzione quotidiana della lingua comporta una inesorabile corruzione dell’anima di chi la parla».

I testi, di varia tipologia, ciascuno col proprio titoletto, sono divisi in sei parti. La prima, che riprende il titolo generale del libro, è quella più “saggistico-riflessiva”. Nella seconda (La tranquillità dell’animo) troviamo una prosa poetica, frammentaria, tormentata ed evocativa, stile analogo a quello della terza (Luoghi naturali), con ogni pagina dedicata a un “luogo” particolare (ad esempio, della luce, del sogno, dello sguardo, dell’elegia, della solitudine, del capitalismo, dello spasmo). La quarta descrive La vita beata (in terra di Marche). Molto particolare la quinta (La brevità della vita), che accoppia situazioni del calcio a quelle dell’esistenza umana («Giocare in porta, certo, non dà alcun potere. Non disporre mai di niente cui appoggiarsi. Niente dietro cui ripararsi. Avere di fronte l’immensità del campo. E restare in balia degli eventi. Senza poter modificare il corso delle azioni»). Chiude la pubblicazione la miscellanea di Consolazione.

La tensione etica, lo spaziare da una tematica civile all’altra di queste Lettere a Seneca ci hanno ricordato il libro di un altro poeta, Franco Buffoni (da noi stessi recensito sulla presente rivista in A lezione di laicità: “Più luce, padre”). E il mondo odierno, le persone stordite dai propri problemi e istupidite dal potere e dai mass media, avrebbero bisogno di tante, tantissime opere così. Ma, completando la citazione iniziale, «la bellezza è per pochi, purtroppo. […] E quella bellezza non incide minimamente sulle masse, che vi passano accanto a testa bassa, senza neppure esserne sfiorate».

Rino Tripodi

(LucidaMente, anno VIII, n. 91, luglio 2013)

http://www.lucidamente.com/24198-un-poetico-tormentoso-impegno-civile-tripodi/

Testi tratti da:
Lucilio Santoni
Lettere a Seneca
Teramo, Marte Editrice
Collana “ApertaMente”, 2011

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Lettere a Seneca

Io non canto per cantare
né perché ho una buona voce,
canto perché la chitarra
ha un significato e una ragione.
(Victor Jara)

       LA CULTURA

“Per me la vita è finita, per te incomincia, la vita vale di essere vissuta quando si ha un ideale quando si vive onestamente, quando si ha l’ambizione di essere non solo utili a se stessi ma a tutta l’Umanità. […] Studia di buona lena come hai fatto finora per crearti un avvenire. Un giorno sarai sposa e mamma, allora ricordati delle raccomandazioni di tuo papà e soprattutto dell’esempio di tua mamma. Studia non solo per il tuo avvenire ma per essere anche più utile nella società, se un giorno i mezzi non permetteranno di continuare gli studi e dovrai cercarti un lavoro, ricordati che si può studiare ancora ed arrivare ai sommi gradi della cultura pur lavorando.”

Questo scrive nell’aprile del ’44 un partigiano condannato a morte alla propria figlioletta, poche ore prima che venga eseguita la sentenza. Parole che fanno piangere e tremare le vene nei polsi.

Ecco, queste parole, di una lucidità sconcertante, contengono esattamente quella che è l’essenza della cultura.  Innanzitutto viene lo studio, perché è inutile che si dica che ci si può fare una cultura con altri mezzi, sottintendendo la televisione e altre sciocchezze mediatiche.

Lo studio è necessario, invece, sui libri e sugli altri strumenti che l’uomo ha sempre utilizzato per esprimere il proprio pensiero e la propria arte. Dopo, e solo dopo aver studiato, si possono attingere informazioni e spunti di riflessione anche da altre fonti quali sono quelle dello “spettacolo”. Inoltre, lo studio, come dice quel padre, deve essere volto a formare se stessi in mezzo agli altri, in modo da essere utili alla società e all’umanità.

In quelle poche righe, scritte guardando in faccia la morte, c’è tutto l’universo della vera umanità: lo studio, attraverso il quale raggiungere una maggiore sensibilità sociale e amore per il prossimo. Mi sembra che quelle parole contengano il concetto più popolare, nel senso migliore del termine, e più profondo della cultura. Minoritaria magari, ma non elitaria. Rivoluzionaria rispettando la memoria.

Assumere la cultura come principio vitale per la propria esistenza vuol dire non cadere nel groviglio infernale che incontriamo a ogni piè sospinto, in ogni angolo di strada. Vendita dei corpi, svendita delle anime, violenza, stupidità, depressione. Bisogna, invece, restare fuori da quel groviglio e mantenere l’apertura verso il mondo. Che, si badi, non è isola felice, mai. Bensì collegamento costante fra le persone; apertura di porte, senza troppi calcoli; mescolamento continuo con chi vuole resistere. In sostanza, è necessario accettare di essere nomadi, anche senza spostarsi dalla propria città, non importa, ma essere nomadi nella mente e nell’anima, in uno scambio senza fine di idee ed esperienze.

Il poeta Elio Pecora scrive: «Io compio l’avventura di restare».

La vera avventura, aggiungo, è costruire un’illimitata, debole e forte allo stesso tempo, tela di connessioni, di pensieri, di scambi amorosi, di sguardi, di solidarietà. E questo si può fare anche senza muoversi troppo. Non parlo naturalmente di chi vive chiuso nel proprio loculo domestico, con la porta chiusa a tre mandate e la tv accesa come rumore di fondo.  Parlo di chi non ha biglietti low o high cost in tasca, per esempio, di chi non fa viaggi in luoghi più o meno esotici, compiendo il rito di un turismo che è semplicemente un passaggio aereo da una non-vita verso un’altra non-vita, fatto solo per riportare racconti e foto che danno a se stessi e agli altri l’illusione di aver vissuto. Il vero viaggio, invece, è un’impresa umana, fatta da chi ha un biglietto di sola andata. Anzi, spesso, è senza biglietto; penso ai clandestini che abbandonano il proprio paese per una speranza, o per una chimera. E fanno più strada di quanta abbiano voluto. Ma penso anche a quelli dei paesi più ricchi che decidono di andarsene, verso il sud del mondo, dove l’amore e la poesia siano possibili. In definitiva, direi che l’avventura più vera, che produce cultura, è data da un misto di allegria, inquietudine spirituale, sensibilità verso l’altro e anche di ribellione.

       CONTRADDIZIONI

Chi si pone a paladino della giustizia è chi ha, o vorrebbe avere, il monopolio dell’ingiustizia. Chi sbandiera ai quattro venti la democrazia è il peggior tiranno. La donna che sbraita più forte contro gli stupratori è colei che desidererebbe essere presa con la forza. L’uomo che usa più spesso la parola “puttana” come insulto è colui che spende tutti i suoi soldi con quel tipo di donna. Chi ironizza e si schifa degli omosessuali e transessuali è colui che se ne sente irresistibilmente attratto. Chi sostiene il valore della famiglia e la sua sacralità è il primo a desiderare amanti e prostitute. Chi afferma che la vita è sacra, un dono divino che nessuno può togliere è colui che sente una irrefrenabile pulsione nel dare la morte a se stesso o agli altri e, prima o poi, con qualche mezzo magari indiretto riuscirà nell’intento di darsela o di darla. Chi parla troppo spesso di amore e buoni sentimenti è colui che coltiva un odio viscerale. Chi ha troppe attenzioni per una persona cara è colui che, nel profondo, ne desidera la morte.

       UNA CHE VOLEVA ANDARSENE

la millenaria lotta per il possesso dell’anima e del corpo

Dopo sedici anni di arbitraria e, soprattutto, non voluta tortura, una ragazza che chiameremo E. E. è stata libera di andarsene da questa valle di lacrime.

Ma allora perché tanto accanimento nel tenerla in vita da parte della Chiesa ufficiale e della destra (che, come sappiamo, sono particolarmente alleate durante i regimi autoritari)?

La logica e il buon senso comune vorrebbero che si usassero parole, se non proprio fatti, contro le quotidiane stragi di mafia o sulle strade o sul lavoro e così via. Invece niente, c’è stato solo un terrificante accanimento contro una sentenza della Suprema Corte che concede ad un corpo martoriato di morire in pace e contro un padre che non tollerava più torture nei confronti della figlia.

Credo che molti si siano fatti tale domanda: perché accade tutto ciò?

La risposta è piuttosto semplice, ma forse vale la pena di ricordarla; e si può riassumere in una frase lapidaria: chi amministra la morte, in fondo, amministra il potere.

Questo la Chiesa lo sa benissimo. Lo sa da duemila anni. E lo sanno coloro che alla Chiesa si alleano per amministrare il potere. Così come lo sanno tutte le Chiese di tutte le religioni, siano esse rivelate che terrene.

Chi gestisce la morte, cioè chi toglie la morte, la cancella, in vista di una salvezza ultraterrena, come nel caso del cristianesimo o dell’islamismo, oppure in vista di un mondo migliore, come era nel caso del comunismo; chi gestisce la morte, dicevamo, governa le anime, sottomette i corpi in una illusoria promessa di speranza infinita, che però è più forte di qualsiasi ragione e di qualsiasi filosofia.

Nella battaglia intorno alla morte di E. E. non sono in discussione questioni semplicemente etiche, bensì è in gioco il selvaggio e brutale governo delle anime, strettamente imparentato con la spietata amministrazione, attraverso il controllo dei corpi, del potere politico, economico e sociale.

Luoghi naturali

“in questa minuscola sala d’attesa
senza più un’anima viva”
(Antonio Alleva)

   LUOGO PIENO

Il volto, il volto del mondo. Tra niente e tutto. Tra tutto e niente. Qualcosa in superficie, nei secoli. Da un enigma all’altro. Da una politica alla sua messa in scena. Galoppare in orbite d’angoscia. Continuano le imboscate. Per paura di non essere. Continuano i progetti di unificazione. Oh se potessi tenerti incollata a me, mentre ti perdo! Il caos nel petto. Lungo piacere, breve disperazione. Cerco la lingua, il rivelarsi di nuovo, tra la folla, di chi ho visto tanto tempo fa. La distanza che c’è tra un corpo e l’altro è così sconfinata come quella che c’è tra un’anima e l’altra. Ho bisogno di ricchezza per l’amore. E di povertà per amare. La doppia verità degli opposti sentimenti. Cioè la protesta, l’insulto e lo sputo di dolore. Perché, mi dicono, la natura dell’orgasmo vaginale mantiene inviolate le sue tenebre. E allora eliminare quel nome dalla lista d’attesa. Curarsi dai giorni dell’ira. Nostalgia.

       LUOGO DELL’ALTRO

Se non fosse per te sarei morto di fame. Per questo pago i debiti che fai durante la notte. Se non fosse per me moriresti di volgarità. E non ne ho mai abbastanza. Se non ci sei è la tortura per l’anima. Quando non ci sono implori il mondo per trovare le parole, per dire quanto amore. Io non sarei quello che sono, senza di te. Anche se non mi entri nella pelle. Anche se tiri fuori l’animale torturato; lo getti lontano dalla mia scacchiera, con la quale tento di controllare i dubbi. E non è mai sufficiente. Niente è sufficiente per affrontare il buon senso di ogni giorno. La casa, il comune, l’amministrazione degli specchi. Sei il mio nemico intimo. E quando non ci sei i miei amici m’abbandonano. Le mie donne non mi amano. Niente di me vive in nessuno. Sei la mia notte di piacere e il mio castigo. Sei l’avventura che salva la mia dignità. E io sono per te quel nome che mai, fuori da questo corpo, pronuncerai.

       LUOGO DELLA LUCE

Splendore del buio. Che mi batte nelle tempie e negli occhi. Prima di andare perso nelle volte senza senso, illumina i pensieri. Divora la testa che soffre e geme. Oh quale pace… e quale orizzonte! In cerca di un altro chiarore, scruta verso l’interno. Verso le profondità insondate dell’anima. Ma se ne sta già andando. Come la vita. E non è possibile recuperarla. Emozioni violente; malinconia. Tutto sta nella retina. Restituiscimi, per favore, l’istante fuggito. Non lasciarmi nell’ansia di non rivedere mai più quel volto, quell’immagine e quel paesaggio. Piove senza sosta sulla mia città. Ma prima di andartene dentro il velo d’acqua, con uno sguardo indimenticabile, lascia che la bellezza e la paura mi trascinino verso il limite. Ostacolo degli ostacoli e possibilità infinita. Oltre la turbolenza della visione. Dove le tensioni si smorzano. Le scintille e il piombo. La percezione del sangue. Tutto si compone nel traguardo pittorico. Come lampo in cui è concesso di nascere, di conoscere.

       LUOGO DELLA VOCE

Istanti perduti. Con pillole di significato. Eppure il ricordo è presente. Quei due o tre secondi, non di più, avvolti dalla lontananza. Realtà cancellata; e confermata nel suo vuoto sembiante. M’intratteneva la grazia dei suoni. Parole forse, come aromi diffusi. Nel tempo, proprio dentro il tempo, mi trascinarono. Visitai così le anime di quelli che avevano giocato dentro e fuori la metafora. Un manto come di scrittura copre la mancanza della forma. Terribile esilio, disorientamento. Se solo la mia, di istanza, osasse fino al suo volto, fino al suo giudizio. Ma è già persa. E se lei mi porta con sé, è per abbandonarmi in luoghi che non esistono. Mi dice: sei assente, dietro il tuo nome non c’è che tempesta. Io rispondo che accompagnandomi a lei potrò iniziare di nuovo. Potrò ritrovare la serenità. Ma il danno è compiuto. Due, tre secondi non bastano alla memoria. Non c’è calligrafia leggibile nella pagina nera. Chi parla ascolta e racconta le ombre della propria esistenza. Chi ascolta parla e tace come un’ombra.

       LUOGO DEL SOGNO

Una stanza eterna cresce nel sonno. Fa parte di una casa chiusa, nella quale si accumulano le macerie dei discorsi, delle preghiere, delle bestemmie. Forse non è questa la vita. Ma è certamente il luogo profondo e murato. Un al di là di ciò che si vede. Mentre a te non rimane nulla. Un silenzio che non è tuo e neppure mio. Che non sa cosa farsene dei passi insistiti di un uomo e una donna che si cercano. Che sbagliano sempre nel trovarsi, eppure s’incontrano, ostinatamente si danno appuntamento in luoghi che non sono di questo mondo. Colossale impegno quello di rappresentare i moti dell’animo. La profondità e la superficie. I capelli sciolti. Capisci che il lavoro non è terminato. Una terra stanca davanti alla nostra porta. Esausta di provare dolore. Un oltremisura che ci riunisce e non ha vie d’uscita. Deserto di animali. L’uccello che conta i giorni. Il topo nell’armadio. Ma cosa importa alla morte la nostra piccola inquietudine? Parola su parola e pietra su pietra. Cos’è quella forza occulta, dietro le cose, che ci governa quando siamo svegli?

http://rebstein.wordpress.com/2011/10/29/lettere-a-seneca/

Lettere a Lucilio

1

1 Comportati così, Lucilio mio, rivendica il tuo diritto su te stesso e il tempo che fino ad oggi ti veniva portato via o carpito o andava perduto raccoglilo e fanne tesoro. Convinciti che è proprio così, come ti scrivo: certi momenti ci vengono portati via, altri sottratti e altri ancora si perdono nel vento. Ma la cosa più vergognosa è perder tempo per negligenza. Pensaci bene: della nostra esistenza buona parte si dilegua nel fare il male, la maggior parte nel non far niente e tutta quanta nell’agire diversamente dal dovuto. 2 Puoi indicarmi qualcuno che dia un giusto valore al suo tempo, e alla sua giornata, che capisca di morire ogni giorno? Ecco il nostro errore: vediamo la morte davanti a noi e invece gran parte di essa è già alle nostre spalle: appartiene alla morte la vita passata. Dunque, Lucilio caro, fai quel che mi scrivi: metti a frutto ogni minuto; sarai meno schiavo del futuro, se ti impadronirai del presente. Tra un rinvio e l’altro la vita se ne va. 3 Niente ci appartiene, Lucilio, solo il tempo è nostro. La natura ci ha reso padroni di questo solo bene, fuggevole e labile: chiunque voglia può privarcene. Gli uomini sono tanto sciocchi che se ottengono beni insignificanti, di nessun valore e in ogni caso compensabili, accettano che vengano loro messi in conto e, invece, nessuno pensa di dover niente per il tempo che ha ricevuto, quando è proprio l’unica cosa che neppure una persona riconoscente può restituire.

4 Ti chiederai forse come mi comporti io che ti do questi consigli. Te lo dirò francamente: tengo il conto delle mie spese da persona prodiga, ma attenta. Non posso dire che non perdo niente, ma posso dire che cosa perdo e perché e come. Sono in grado di riferirti le ragioni della mia povertà. Purtroppo mi accade come alla maggior parte di quegli uomini caduti in miseria non per colpa loro: tutti sono pronti a scusarli, nessuno a dar loro una mano. 5 E allora? Una persona alla quale basta quel poco che le rimane, non la stimo povera; ma è meglio che tu conservi tutti i tuoi averi e comincerai a tempo utile. Perché, come dice un vecchio adagio: “È troppo tardi essere sobri quando ormai si è al fondo.” Al fondo non resta solo il meno, ma il peggio. Stammi bene.

 

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1 Tu ti applichi con costanza e hai lasciato da parte tutto il resto per renderti ogni giorno migliore: approvo e ne sono contento; quindi non solo ti esorto, ma anche ti prego di perseverare. Un unico consiglio: non abbigliarti e non vivere in maniera stravagante, come le persone che non vogliono progredire, ma mettersi in mostra. 2 Evita gli abiti trasandati, i capelli lunghi e la barba incolta, il disprezzo manifesto per i preziosi, il letto sistemato a terra e in generale tutto ciò che per vie traverse corre dietro al desiderio di distinguersi. Il nome stesso di filosofia, pur se la si pratica con discrezione, è già abbastanza odiato. Figurati poi se cominceremo a sottrarci alle abituali regole di comportamento. Bisogna essere nell’intimo completamente diversi dagli altri, ma simili al resto della gente nell’aspetto esteriore. 3 La toga non deve essere sfarzosa, ma nemmeno sordida. Cerchiamo di non avere argento cesellato d’oro massiccio, ma neanche consideriamo segno di frugalità far completamente a meno sia di oro che di argento. Sforziamoci di vivere meglio della massa, non in maniera contraria: altrimenti mettiamo in fuga e allontaniamo da noi quelli che vorremmo correggere, e per giunta facciamo sì che non ci vogliano imitare in niente, per timore di doverci imitare in tutto. 4 Ecco le promesse prime della filosofia: senso comune, umanità e socievolezza: l’essere troppo diversi ci impedirà di attuarle. Badiamo che non sia ridicolo e fastidioso quel comportamento con cui vogliamo suscitare ammirazione. Certo il nostro proposito è vivere secondo natura: ma è contro natura tormentare il proprio corpo, trascurare una normale igiene, ricercare il sudiciume e nutrirsi di cibi non solo poveri, ma addirittura disgustosi e sgradevoli. 5 Come è segno di mollezza cercare alimenti raffinati, così è segno di pazzia evitare quelli comuni che si possono avere a poco prezzo. La filosofia richiede frugalità, non sofferenza, e la frugalità può essere decorosa. Mi sembra buona questa via di mezzo: l’esistenza sia una giusta combinazione tra moralità e morale predominante. Che tutta la gente guardi con ammirazione la nostra vita, ma sia anche in grado di capirla. 6 “E allora, dovremo comportarci come gli altri? Non ci sarà nessuna differenza tra noi e loro?” Sì, e grandissima: chi ci guarda più da vicino, sappia che siamo diversi dalla massa; chi entra in casa nostra ammiri noi, non il nostro mobilio. È grande chi usa vasellami di argilla come se fossero di argento, ma non lo è meno chi usa l’argento come se fosse argilla; solo i deboli non sono in grado di reggere la ricchezza.

 

6

1 Lucilio caro, mi rendo conto che non solo mi sto correggendo, ma addirittura mi trasformo; certo non garantisco, e nemmeno spero, che non ci sia in me più nulla da cambiare. E perché non dovrei avere ancora molti sentimenti da frenare, da attenuare, da elevare? Vedere difetti che fino ad allora ignorava, proprio questa è la prova di un animo che ha fatto progressi; con certi malati ci si rallegra quando prendono coscienza del loro male. 2 Ci terrei, dunque, a farti conoscere questo mio improvviso cambiamento; allora comincerei ad avere una più salda fiducia nella nostra amicizia, quella vera che non la speranza, non il timore, né la ricerca del proprio interesse può spezzare, quell’amicizia che dura fino alla morte, e per la quale si è pronti a morire. 3 Potrei menzionarti molti cui non è mancato l’amico, ma la vera amicizia: questo non può verificarsi quando un’identica volontà di desiderare il bene induce gli uomini a unirsi. Perché no? Perché essi sanno di avere ogni cosa in comune e soprattutto le avversità.

Non puoi immaginare quali progressi io mi accorga di compiere giorno per giorno. 4 Tu mi dici: “Riferisci anche a me questo metodo che hai trovato così efficace.” Certo desidero travasare in te tutto il mio sapere e sono lieto di imparare qualcosa appunto per insegnarla. Di nessuna nozione potrei compiacermi, per quanto straordinaria e vantaggiosa, se ne avessi conoscenza per me solo. Se mi fosse concessa la sapienza a condizione di tenerla chiusa in me senza trasmetterla ad altri, rifiuterei: non dà gioia il possesso di nessun bene, se non puoi dividerlo con altri. 5 Ti manderò perciò i miei libri e perché tu non perda tempo a rintracciare qua e là i passi utili, li sottolineerò: così troverai subito quello che condivido e apprezzo. Più che un discorso scritto, però ti sarà utile il poter vivere e conversare insieme; al momento è necessario che tu venga, primo perché gli uomini credono di più ai loro occhi che alle loro orecchie, poi perché attraverso i precetti il cammino è lungo, mentre è breve ed efficace attraverso gli esempi. 6 Cleante non avrebbe potuto esprimere compiutamente la dottrina di Zenone se avesse soltanto ascoltato le sue lezioni: fu partecipe della sua vita, ne penetrò i segreti, osservò se viveva secondo i suoi insegnamenti. Platone, Aristotele e tutta la massa dei filosofi, che poi presero strade diverse, impararono più dalla vita che dalle parole di Socrate. Non la scuola di Epicuro, ma il vivere con lui rese grandi Metrodoro, Ermarco e Polieno. E non ti faccio venire solo perché tu ne tragga giovamento, ma anche perché tu mi sia utile; ci aiuteremo moltissimo a vicenda.

7 Frattanto, poiché ti devo il mio piccolo contributo quotidiano, ti dirò il pensiero che oggi mi è piaciuto in Ecatone. “Tu chiedi quali progressi abbia fatto?” egli scrive, “Ho cominciato ad essere amico di me stesso.” Ha fatto un grande progresso: non sarà mai solo. Sappi che tutti possono avere questo amico. Stammi bene.

20

1 Se hai la forza e ti ritieni degno di avere un giorno pieno dominio su di te, ne sono contento; sarà per me motivo di gloria se riuscirò a tirarti fuori da questa situazione in cui ondeggi senza speranza di uscirne. Ti prego caldamente, Lucilio mio, scolpisci nel profondo del tuo animo i principî filosofici e constata i tuoi progressi non in base ai discorsi o agli scritti, ma alla fermezza d’animo e al controllo delle passioni: dimostra con i fatti la verità delle parole. 2 Diverso proposito hanno gli oratori che cercano di ottenere il consenso del pubblico, oppure coloro che attirano l’attenzione dei giovani e degli oziosi dissertando con scioltezza su svariati argomenti: la filosofia insegna ad agire, non a parlare, ed esige che si viva secondo le sue leggi, perché la vita non sia in contrasto con le parole, né con se stessa, e tutte le nostre azioni si uniformino a un unico principio. Questo è il compito principale della saggezza, e anche l’indizio più certo: che le azioni concordino con i discorsi, così che l’uomo sia sempre uguale e identico a se stesso. “Chi si comporta così?” Pochi, ma qualcuno c’è. Certo non è facile; io non sostengo che il saggio avanzerà sempre con lo stesso passo, ma per una stessa via. 3 Perciò esaminati a fondo: se i tuoi abiti sono in contrasto con la tua casa, se sei generoso con te e avaro con i tuoi, se ceni frugalmente, ma hai dimore lussuose. Scegli un’unica regola di vita e conforma ad essa tutta la tua esistenza. Alcuni in casa si moderano, fuori, invece, conducono una vita sfarzosa e senza freni; questa disuguaglianza è un difetto ed è indizio di un animo volubile che non ha trovato ancòra la sua strada. 4 Ti spiegherò anche da dove nascano quest’incostanza e questa incoerenza di azione e di pensiero: nessuno ha chiari propositi e, se li ha, non persevera, ma li lascia da parte; e non si limita a cambiare idea: torna indietro e si volge nuovamente a quelli che aveva abbandonato e rinnegato. 5 Perciò per lasciare da parte le vecchie definizioni di saggezza e abbracciare ogni espressione della vita umana, mi contento di questa: che cos’è la saggezza? Volere o non volere sempre la stessa cosa. Non occorre aggiungere la condizione che bisogna volere il bene: nessuno può volere sempre la stessa cosa, se non è giusta. 6 Gli uomini non sanno che cosa vogliono, se non nel momento in cui lo vogliono; nessuno ha deciso una volta per tutte ciò che vuole o non vuole; ogni giorno cambiano opinione e se ne formano una opposta, e i più prendono la vita come un gioco. Persegui, dunque, i tuoi propositi e forse arriverai alla vetta o a un punto dove tu solo puoi capire di non essere ancòra in cima.

7 “Che cosa accadrà,” chiedi, “a tutti i miei servi quando non avrò più il mio patrimonio?” Quando cesserai di mantenerli, si manterranno da soli, oppure, quello che tu non puoi sapere dai tuoi favori, lo saprai dalla povertà: resteranno gli amici veri e sicuri, e se ne andrà chi non cercava te, ma altro. Non si deve, allora, amare la povertà anche solo perché ti mostra chi ti ama veramente? Quando verrà quel giorno in cui nessuno mentirà più per rispetto a te! 8 I tuoi pensieri tendano a questo: ricerca e desidera solo, rimettendo a dio ogni altro desiderio, di essere pago di te stesso e dei beni che nascono da te. Quale felicità può essere più vicina? Riduciti a un modesto livello di vita, da cui non puoi precipitare; e perché tu lo faccia più volentieri, il tributo che ora ti darò in questa lettera verterà sull’argomento.

9 Se pure non sei d’accordo, anche questa volta Epicuro pagherà volentieri al mio posto. “Se dormirai in un misero letto e vestirai umili panni, le tue parole, credimi, sembreranno ancòra più nobili: non le pronuncerai soltanto, ma le proverai coi fatti.” Io, certo, ascolto con spirito diverso gli insegnamenti del nostro Demetrio, da quando l’ho visto con la sola tunica, disteso su meno che un pagliericcio: non è maestro, ma testimone della verità. 10 “E allora? Non si può disprezzare la ricchezza, pur possedendola?” Perché no? E dimostra una straordinaria grandezza morale chi se la ride delle ricchezze che lo circondano, molto stupito di possederle, e sente dire che sono sue, ma dentro di sé non le sente tali. È già molto non essere corrotti dal contatto con la ricchezza; è grande chi ci vive in mezzo da povero. 11 “Io non so,” dici, “come costui sopporterà la povertà, se dovesse incapparvi.” E io, da parte mia, o Epicuro, non potrei dire se […] questo povero disprezzerà la ricchezza nel caso dovesse capitargli; bisogna, perciò esaminare in entrambi i casi la disposizione di spirito e considerare se il ricco si adatterebbe alla povertà, e se il povero non si compiacerebbe della ricchezza. Il lettuccio o i vestiti miseri non bastano a provare la buona disposizione di spirito, a meno che non sia evidente che si sopportano non per necessità, ma per libera scelta. 12 E d’altra parte è segno di un animo grande non correre verso la povertà come se fosse la condizione migliore, ma esservi preparati come se fosse facile. E, in realtà, è facile, Lucilio; e anche piacevole, se ci accostiamo a essa dopo aver meditato a lungo; vi troveremo la serenità senza la quale non c’è nessuna gioia. 13 Ritengo, dunque, necessario quello che, come ti ho scritto, hanno fatto spesso i grandi uomini: inframmezzare alcuni giorni in cui, vivendo una povertà immaginaria, ci prepariamo a quella vera; e tanto più dobbiamo farlo, in quanto viviamo immersi nei piaceri e giudichiamo tutto duro e difficile. Bisogna, invece, scuotere l’animo nostro dal sonno, stimolarlo e ricordargli che la natura ci ha dato esigenze minime. Nessuno nasce ricco; a tutti i neonati deve bastare del latte e un panno: ma, dopo questi inizi, non ci bastano i regni. Stammi bene.

http://spazioinwind.libero.it/latinovivo/Lettere%20a%20Lucilio.htm


 

Hercules da Seneca a Jasper Heywood a Vivaldi

http://www.controappuntoblog.org/2012/12/06/hercules-da-seneca-a-jasper-heywood-a-vivaldi/

De tranquillitate animi, De Otio: Lucio Anneo Seneca

http://www.controappuntoblog.org/2012/10/08/de-tranquillitate-animi-de-otio-lucio-anneo-seneca/

The Seneca effect visually shown

http://www.controappuntoblog.org/2013/05/14/the-seneca-effect-visually-shown/

 

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