Ilaria Graziano e Francesco Forni: “From Bedlam to Lenane” Colori, suoni e creatività

Ilaria Graziano e Francesco Forni: “From Bedlam to Lenane”
Colori, suoni e creatività
di Alberto Marchetti

Napoli è sempre stata una delle città cardine della musica italiana, sia nella tradizione sia nelle contaminazioni con il blues, il jazz, la contemporanea. Ma qualcosa è cambiato nell’ultimo decennio, se molti musicisti partenopei hanno spostato l’attenzione artistica e la propria esistenza nella capitale. In occasione del Repubblica Roma Rock all’Auditorium ho potuto ascoltare un progetto che mi ha entusiasmato, composto da due poliedrici musicisti napoletani di nascita, che avevano incrociato già in passato strade e corde, come quartetto Rainbow, nel 2003, per ritrovarsi ora intorno a un album, “From Bedlam to Lenane”, una delle opere più belle ascoltate non solo in questa prima metà del 2012, e sicuramente degna di nomination a fine anno).

Non è Bielle luogo per trattare di manga, fumetti giapponesi, di saghe disegnate che hanno a volte spessore di alta letteratura, racconti per immagini dove la libera fantasia raggiunge espressione moderna d’arte. Non sarà questa l’occasione per divagare sulle qualità di compositrice di Yoko Kanno, autrice delle colonne sonore di alcune serie famose come Cowboy Bepop, Wolf’s Rain, Ghost in the Shell, con la poliedrica capacità di unire elementi di musica jazz, contemporanea, rock, canti gregoriani. Singolare, per chi non è introdotto a questo mondo affascinante è la collaborazione della compositrice giapponese con la cantante italiana Ilaria Graziano, con risultati sorprendenti, alcuni ascoltabili in Cyber Bicci, del 2011. Ma la bravissima Ila è impegnata in molti altri progetti dove riversare la vitale messe di emozioni che riesce a suscitare con una voce unica, il violino e l’ukulele.

Francesco Forni, componente del Collettivo Angelo Mai, è un napoletano trapiantato a Roma dove lavora a stretto contatto con il teatro, tra le tante segnalo le musiche dello spettacolo teatrale Gomorra di Mario Gelardi. Nel 2009 ha visto la luce il suo primo album ufficiale “Tempi Meravigliosi”, dove spiccavano tra forti influenze blues “Un giorno qualunque” e una bella cover di “Voodoo Child” di Hendrix. Insieme i due artisti riescono ad costruire un’opera di grande equilibrio e omogeneità, raccogliendo materiali disparati e lontani tra loro ma vicini alla loro sensibilità, brani originali e cover, con la matura capacità di manipolarli e renderli propri, canzoni che diventano perle di una collana di finissima fattura, tutte parte di un viaggio armonico nella geografia del cuore e del mondo esterno.

Chiari i riferimenti e le fonti d’ispirazione, che non sono mai dominanti, dalle Murder ballads di Nick Cave, alle opere migliori della coppia Campbell-Lonegan della brava P.J. Harvey, e quelle chitarristiche che partono dal blues del delta e dallo swing per arrivare a Django e alla bossa. Raccontano storie i nostri, e le sanno raccontare bene, con l’essenziale vestito di sole voci e chitarre acustiche che mette in risalto la bellezza armonica, le parole e le belle melodie scarne e magistralmente interpretate. Fino a farti dimenticare che questi viaggi che provocano, questi scarti che scatenano, sono fatti di sogni, come noi.

É una storia antica la prima “Mad Tom of Bedlam”, presente nel secondo album della Holland, traditional inglese tratto da un poema di anonimo del 1600, su un folle, o finto tale, uscito dal Reale Bethlem Hospital, che vive vagabondo chiedendo l’elemosina (anche Edgar, nel Re Lear, si traveste da pazzo Tom O’Bedlam), con cambi ritmici chitarristici e coinvolgenti duetti vocali.

“Love sails”, un testo della poetessa indiana Saloni Kaul musicato da Ilaria, stile new folk, magnetica, a cantare l’amore che “se si lascia l’ampia porta aperta / dicono che entra dentro veleggiando” perché “c’è una canzone per ognuno di noi,/ c’è una melodia ancora inascoltata / e io ho tutte le liriche / per le tue canzoni senza parole”.

“Cancion Mixteca”, classico folk mariachi, è una vera perla, dilatata all’infinito nell’efficace e ipnotico dondolare in un pomeriggio melanconico e innamorato. Molti la ricorderanno cantata da Harry Dean Stanton nel capolavoro di Wim Wenders Paris Texas, nell’altrettanta intensa scena dei ricordi amorosi del protagonista.

“La strada” è uno dei momenti migliori dell’album, a segnare come gli originali dei due reggono benissimo il confronto con i classici inseriti, merito di una vena compositiva di nobile lignaggio. I ritmo rimanda a un sirtaki lento, senza parossismo, con un bell’assolo virtuoso centrale, mentre la voce di Ilaria tiene appesa la nostra voglia d’amore “Non opporre alcuna resistenza / è la legge che permette di restare in equilibrio / ma scivolando un piede dopo l’altro / sono caduta sull’asfalto e ho sentito il mio dolore. / Siamo nella stessa strada / sotto le mie scarpe ci sono le spine / mentre tu calpesti pietre di diamanti / sono un passo indietro e stringo serpenti fra i denti”.

“Rosaspina” è un bel blues, sempre l’amore il calice delle pene, cantato con partecipazione da Francesco, stupenda la slide in open tuning nei momenti di libertà. “Rosso che manca di sera” è il mio brano preferito, un vero capolavoro, intensa, cantata divinamente da Ilaria, una melodia geniale e liriche ispirate, un brano che non si finirebbe mai di ascoltare, capace di accordarsi alle note interiori dell’inconscio “Rosso che manca di sera / vorrei che duri più a lungo questa chimera. / A me basta andare senza arrivare mai / senza una casa da chiudere a chiave / e quando ti passerò accanto / saremo separati dalla terra e dal vento”.

“On y va” è un brano alla maniera dei cugini d’oltralpe, un manouche, testo misto francese e italiano, coinvolgente e tirato, dove il viaggio diventa anche fuga, perfetta in questo caleidoscopio che i due riescono ad assemblare senza forzature. “Crying” una dolce ballata che rilancia il delicato e doppio legame di ogni amore, un altro duetto riuscito, “Pianto, il bambino sta piangendo / Proprio come me quando mi sento sola. / Dire il mio nome per svegliarmi / portami via da questo posto … / Uh …. Sono così dipendente da te“.

“Be my husband” di Andy Stroud, interpretata anche da Nina Simone e Jeff Buckley, è un blues intenso, ma inferiore alla media dell’album. “Volver” di Fernando Maldonado, concede ancora alla cantante di mostrare doti da brivido per una interpretazione che graffia la pelle: Ilaria ha poche rivali in Italia per controllo e intensità.

“Lenane’s Blues” è una chiusura da applauso, chicca di qualità sopraffina, e ancora una volta mi ritrovo a riprovare questa stolta realtà italiana, che gratifica prodotti standard a discapito i sorprendenti capolavori che lasciano senza respiro, che incensa anche tra le produzioni indie prodotti discutibili, poveri di idee, e lascia alla autoproduzioni lavori di una schiettezza che esalta.

http://www.bielle.org/2012/Recensioni/Rece_Graziano-Forni-fbtl.htm

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