Claudio Rutilio Namaziano – De Reditu – L’impossibile ritorno di Claudio Rutilio Namaziano film

De Reditu – L’impossibile ritorno di Claudio Rutilio Namaziano

Regia: Claudio Bondì

Interpreti: Elia Schilton, Rodolfo Corsato, Romuald Andrzej Klos, Roberto Herlitzka, Caterina Deregibus

Paese: Italia (2003)

Questa opera di Claudio Bondì, passata pressoché sotto silenzio e realizzata con estrema economia di mezzi, ha il merito di mostrare come ancora si possano produrre lavori di qualità dal carattere storico senza ricorrere allo stile celebrativo così largamente in uso nella produzione cinematografica hollywoodiana e, più in generale, in tutte quelle forme di cinema che è soggetto ai condizionamenti delle lobby di potere. Il film si basa liberamente sulla principale opera poetica di uno degli ultimi scrittori pagani, il De reditu suo di Claudio Rutilio Namaziano, e ne segue il viaggio, pensato per terminare nella originaria terra di Gallia, lungo le campagne di un impero ormai andato in rovina e che Namaziano vorrebbe recuperare al suo ruolo storico attraverso un ultimo, disperato, tentativo di ribellione contro l’imperatore cristiano Onorio.

Come nel già citato Agorà, ma con esiti che sono superiori sotto ogni punto di vista, il film mette al centro della sua riflessione il rapporto tra il mondo declinante della cultura pagana e la nuova religione, il cristianesimo, che dentro quel declino si inseriva da protagonista probabilmente agevolandone il crollo di fronte all’irrompere delle forze barbariche. A differenza del kolossal di Amenabar, “De Reditu” non ricorre a una rappresentazione esagerata dei colori del tempo, fa propria una gentilezza dei mezzi espressivi ma non per attribuire sentimenti alieni ai contesti e ai personaggi che descrive bensì per darne una immagine molteplice, in cui certo è forte il senso di condanna verso l’aspetto totalitario della religione cristiana ma che non per questo produce una edulcorazione del mondo elitario e aristocratico al crepuscolo del paganesimo che, come il cancro che sta divorando l’impero, è anch’esso intessuto dell’ipocrisia del potere.

Il cammino di Namaziano lungo le coste dell’Italia centro-settentrionale ha alcuni tratti del viaggio di formazione, ma la formazione cui il nostro si avventura non ne cambia di una virgola le convinzioni profonde e il rimpianto di una era imperiale e gerarchica di cui sopravvivono i busti schiacciati a terra dall’iconoclastia della rivoluzione cristiana. Semmai la formazione e la verità cui il protagonista si approssima, ma troppo lentamente per poterla cogliere in pieno, è quella della illusorietà del proprio disegno politico, ma non del suo valore, tradito passo dopo passo da quegli stessi “eguali” – parenti o patrizi che siano – che hanno preferito l’assicurazione della propria esistenza, e il calcolo del rischio, al sogno di gloria di un eroismo romantico. Né, quindi, la figura dell’ex prefetto romano, ricercato dall’imperatore che ne reclama la testa, né, ancor meno, quella dell’elite patrizia subiscono delle forzose trasfigurazioni per renderli più graditi agli occhi di un presente purtroppo abituato alle schematizzazioni e alle contrapposizioni binarie, ma con estrema semplicità gli slanci eroici dell’individuo vengono tenuti insieme alle sue debolezze e alla miseria morale del contesto di appartenenza in cui agisce.

La forma del film risponde a questo contenuto ed è infatti il prodotto equilibrato di un alternarsi di scene d’azione e dialoghi, “sospesa” tra la dinamica del viaggio e la statica della fotografia che ha il merito di regalare alcune, splendide, immagini come quella delle danzatrici in controluce che annunciano, inconsapevolmente, il suicidio dell’amico Protadio, interpretato da un ottimo Roberto Herlitzka. Ed è, infine, proprio la bravura degli attori, Herlitzka su tutti, un altro dei punti forti del film di Bondì che mostra la rara capacità di far corrispondere la maschera interpretativa con il personaggio interpretato così da agevolare una prova attoriale che è sempre sul momento del film e mai si rivela essere fuori luogo come invece accade in Agorà ad una pessima Rachel Weisz fatta a immagine e somiglianza di una collegiale catapultata indietro nel tempo per mille e seicento anni.

Un film semplice, ma non per questo “leggero” nel senso forse errato che comunemente viene attribuito al termine, che attira lo spettatore senza avere alcuna particolare intenzione pedagogica e mostra la capacità rara di saper descrivere l’uomo e la storia per come esse sono e non per come noi avremmo voluto che esse fossero.

Gregorio Sorgonà

http://controreazioni.wordpress.com/2010/05/18/de-reditu-limpossibile-ritorno-di-claudio-rutilio-namaziano/

Distava allora la città cinque chilometri dalla costa, ma il mare la lambiva quasi, grazie alla foce dell’Arno e ad un’ampia insenatura lagunare. Vi si giungeva dal mare anche per terra, da Triturrita, un borgo posto all’imboccatura del suo porto su una bassa penisola di scogli, nascosta, a chi veniva dal mare, dalle onde stesse che vi si frangevano contro. Il porto era magnifico e molto frequentato per le merci che vi si potevano vendere e acquistare: luogo di bellezza incantevole, per quanto spoglio di vegetazione perchè battuto dai venti marini e dalle onde del mare aperto, non era difeso da moli: un’alga, che alta cresceva su dal fondo, tratteneva e frangeva il moto violento delle onde senza tutta via recare alcun danno alle carene, che dolcemente la urtavano. Le navi vi trovavano sicuro riparo senza bisogno di ancore o di ormeggi. A breve distanza dalla costa, tutto all’introno, sorgevano folte selve, ricche di selvaggina, che si estendevano fino alle circostanti colline e oltre. Pisa era situata su una striscia di terra a forma di cuneo, stretta tra l’Arno e il Serchio che proprio in quel punto confluivano in un unico letto. Aveva forma, grosso modo, quadrata; e là dove le vie principali, il cardo e il decumano, si incrociavano, era il foro, adorno di statue di magistrati e di cittadini benemeriti illustrate da epigrafi elogiative. Intorno poi, e in altri luoghi della città, erano l’Augusteo, in onore di Cesare Ottaviano Augusto, templi, terme e il teatro e nelle immediate vicinanze della città, lungo le vie consolari, ville suburbane, sepolture e poi boschi e campi coltivati e larghi specchi d’acqua.

Claudio Rutilio Namaziano, De reditu suo (Itinerarium), V sec. d.C.

 

Claudio Rutilio Namaziano (latino: Claudius Rutilius Namatianus; fl 414415; … – …) è stato un poeta e politico romano.

Biografia

Nato forse a Tolosa, fu praefectus urbi di Roma nel 414.

L’anno seguente o poco dopo fu costretto a lasciare Roma per far ritorno nei suoi possedimenti in Gallia devastata dall’invasione dei Vandali. Tale viaggio – condotto per mare e con numerose soste, dato che le strade consolari erano impraticabili e insicure dopo l’invasione dei Goti – venne descritto nel De Reditu suo, un componimento in distici elegiaci, giuntoci incompleto: l’opera si interrompe al sessantottesimo verso del secondo libro con l’arrivo del protagonista a Luni; ma recentemente è stato ritrovato un nuovo breve frammento che descrive la continuazione del viaggio fino ad Albenga. L’opera è ricca di osservazioni topografiche e citazioni di classici latini e greci.

Il poemetto (scoperto nel XV secolo) raggiunge i toni più commossi quando esprime il clima di decadenza e lo squallore dei tempi che l’autore attribuisce ai Barbari e al trionfante Cristianesimo.

Namaziano è, cronologicamente, l’ultimo autore del mondo letterario latino e pagano, prima del transito verso il Medioevo.

Storia del De Reditu Suo e sue edizioni

La maggioranza dei manoscritti di Rutilio esistenti deriva dall’antico manoscritto trovato nel monastero di Bobbio da Giorgio Galbiato nel 1494,[1] il quale, dopo l’uso per l’editio princeps di Giovanni Battista Pio del 1520 stampata a Bologna[2] e per due copie manoscritte (Vienna 277 fatta da Ioannes Andreas e Roma, Bibl. Cors., Caetani 158 fatta da Jacopo Sannazaro) non fu mai più tenuto in considerazione, fino a che Eugenio di Savoia ne entrò in possesso nel 1706. Nel 1973 Mirella Ferrari trovò un frammento del poema nel manoscritto Torino F.iv.25, probabilmente parte di quello di Bobbio, che preserva 39 versi finali del secondo libro, il quale ha costretto i filologi a una rivalutazione non solo del testo ma della sua trasmissione.[3]

Le principali edizioni da allora sono state quelle di Barth (1623), P Bunyan (1731, nella sua edizione dei poeti latini minori), Wernsdorf (1778, parte di una collezione simile) Zumpt (1840), l’edizione critica di Lucian Müller (Teubner, Lipsia, 1870), ed un’altra di Vessereau (1904); anche un’edizione annotata di Keene, con una traduzione di Savage-Armstrong (1906). Müller scrive il nome del poeta come “Claudius Rutilius Namatianus”, invece del solito “Rutilius Claudius Namatianus”; ma se l’identificazione del padre del poeta col “Claudio” menzionato nel Codex Theodosianus (ii.4.5) è corretta, Müller è probabilmente in errore. L’ultima e più completa edizione di Namaziano è di E. Doblhofer (Heidelberg, i, 1972; ii, 1977). Harold Isbell include una traduzione nella sua antologia, The Last Poets of Imperial Rome (Harmondsworth, 1971 ISBN 0-14-044246-4). Nel 2007, a dimostrare un sempre maggiore interesse per l’opera, è uscita un’edizione a cura di Wolff per Les Belles Lettres che sostituisce quella classica di Vasserau.

http://it.wikipedia.org/wiki/Claudio_Rutilio_Namaziano

RUTILIUS NAMATIANUS
DE REDITU SUO

http://www.thelatinlibrary.com/rutilius.html

Famoso è il celebre saluto a Roma nella traduzione in lingua italiana di Giosuè Carducci:

« Exaudi, regina tui pulcherrima mundi,

inter sidereos, Roma, recepta polos;

exaudi, genetrix hominum genetrixque deorum:

Non procul a caelo per tua templa sumus.

Te canimus semperque, sinent dum fata, canemus:

Sospes nemo potest immemor esse tui.

Obruerint citius scelerata oblivia solem

quam tuus e nostro corde recedat honos.

Nam solis radiis aequalia munera tendis,

qua circumfusus fluctuat Oceanus;

volitur ipse tibi, qui continet omnia, Phoebus

eque tuis ortos in tua condit equos.

Te non flammigeris Libye tardavit arenis;

non armata suo reppulit ursa gelu:

Quantum vitalis natura tetendit in axes,

tantum virtuti pervia terrae tuae.

Fecisti patriam diversis gentibus unam;

profuit iniustis te dominante capi;

dumque offers victis proprii consortia iuris,

Urbem fecisti, quod prius orbis erat. »

« Del tuo mondo, bellissima

regina, o Roma, ascolta;

ascolta, nell’empireo

ciel accolta

madre, non pur degli uomini

ma d’ celesti. Noi

siam presso al cielo per i templi tuoi.

Ore te, quindi cantisi

sempre, finché si viva;

dimenticarti e vivere

chi mai potrebbe, o diva?

prima del sole negli uomini

vanisca ogni memoria,

che il ricordo, nel cuor, della tua gloria.

Già, come il sol risplendere

per tutto, ognor, tu sai.

Dovunque il vasto Oceano

ondeggia, ivi tu vai.

Febo che tutto domina

si volge a te: da sponde

romane muove, e nel tuo mar s’asconde.

Co’ suoi deserti Libia

non t’arrestò la corsa;

non ti respinse il gelido

vallo che cinge l’Orsa;

quanto paese agli uomini

vital, Natura diede,

tanta è la terra che pugnar ti vede.

Desti una patria ai popoli

dispersi in cento luoghi:

furon ventura ai barbari

le tue vittorie e i gioghi;

ché del tuo diritto ai sudditi

mentre il consorzio appresti,

di tutto il mondo una città facesti. »

(Claudio Rutilio Namaziano, DE REDITU SUO, libro primo)


 

Flavius Claudius Iulianus, l’apostata

http://www.controappuntoblog.org/2012/03/24/flavius-claudius-iulianus-l%E2%80%99apostata/

Riabilitiamo Giuliano l’Apostata!

http://www.controappuntoblog.org/2012/03/24/riabilitiamo-giuliano-lapostata/

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