Shostakovich: Symphony No 7 ‘Leningrad’ – review

Shostakovich: Symphony No 7 ‘Leningrad’ – review

Royal Liverpool Philharmonic/Petrenko
(Naxos)

Shostakovich wrote the seventh and longest of his 15 symphonies in the summer of 1941, following the Nazi invasion of the Soviet Union. Not surprisingly, this uneven but mighty work has acquired symbolic status. The unyielding martial insistence of the first movement and especially the pathos of the huge Adagio speak of oppression, tyranny and loss of life. The RLPO and their Leningrad-born conductor Vasily Petrenko bring out the work’s lyricism, as well as its austerity, with formidable woodwind playing throughout. These forces won a Gramophone award for their recording of the Tenth in 2011. They could be in line for another.

http://www.guardian.co.uk/music/2013/apr/28/shostakovich-7-royal-liverpool-petrenko

Sinfonia n. 7 in do maggiore “Leningrado”, op. 60

Musica: Dmitri Shostakovich

  1. Allegretto
  2. Moderato (poco allegretto)
  3. Adagio
  4. Allegro non troppo

Organico: 3 flauti (2 anche flauto contralto, 3 anche ottavino), 2 oboi, corno inglese, 3 clarinetti (3 anche clarinetto piccolo), clarinetto basso, 2 fagotti, controfagotto, 4 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, triangolo, tamburello, 3 tamburi militari, grancassa, piatti, tam-tam, xilofono, 2 arpe, pianoforte, archi
Rinforzo della sezione degli ottoni: 3 trombe, 4 corni, 3 tromboni
Composizione: Kuibyshev, 27 dicembre 1941
Prima esecuzione: Kuibyshev, Palazzo della Cultura, 5 marzo 1942
Dedica: alla città di Leningrado

Guida all’ascolto 1

 

“Un’ora fa ho terminato la partitura della seconda parte di una mia nuova grande composizione sinfonica. Se mi riuscirà di concluderla bene, se riuscirò a ultimare la terza e la quarta parte, allora quest’opera potrà chiamarsi Settima sinfonia. Due parti sono già scritte. Ci lavoro dal luglio del 1941. Nonostante la guerra, nonostante il pericolo che minaccia Leningrado, ho composto queste due parti relativamente in fretta.

Perché vi dico questo? Vi dico questo perché i leningradesi che adesso mi stanno ascoltando sappiano che la vita nella nostra città procede normalmente. Tutti noi portiamo il nostro fardello di lotta. E gli operatori della cultura compiono il proprio dovere con lo stessa onestà e la stessa dedizione di tutti gli altri cittadini di Leningrado, di tutti gli altri cittadini della nostra immensa Patria.

Io, leningradese di nascita, che mai ho lasciato la mia città natale, sento adesso più che mai la tensione della situazione. Tutta la mia vita e tutto il mio lavoro sono legati a Leningrado.

Leningrado è la mia patria. La mia città natale, la mia casa. E molte altre migliaia di leningradesi sentono quello che sento io. Un sentimento di infinito amore per la città natia, per le sue ampie strade, per le sue piazze e i suoi edifici incomparabilmente belli. Quando cammino per la nostra città in me sorge un sentimento di profonda sicurezza, che Leningrado si ergerà per sempre solenne sulle rive della Neva, che Leningrado nei secoli costituirà un possente sostegno per la mia Patria, che nei secoli moltiplicherà le conquiste della cultura.

Musicisti sovietici, miei cari e molteplici compagni d’arme, amici miei!

Ricordate che la nostra arte è seriamente minacciata. Ma noi difenderemo la nostra musica, continueremo con la stessa onestà e con la stessa dedizione a lavorare.

La musica che ci è tanto cara, alla cui creazione dedichiamo il meglio di noi, deve continuare a crescere e a perfezionarsi, come è stato sempre. Dobbiamo ricordare che ogni nota che esce dalla nostra penna è un progressivo investimento nella possente edificazione della cultura. E tanto migliore, tanto più meravigliosa sarà la nostra arte, tanto più crescerà la nostra certezza che nessuno mai sarà in grado di distruggerla.

Arrivederci, compagni!

Tra qualche tempo ultimerò la mia Settima sinfonia. Sto lavorando in fretta e con facilità. Il mio pensiero è chiaro e creativo. La mia opera si avvicina alla conclusione. E allora di nuovo prenderò la parola nell’etere con la mia composizione e con grande agitazione attenderò il giudizio severo e amichevole sul mio lavoro.

Vi assicuro, a nome di tutti i leningradesi, operatori della cultura e dell’arte, che siamo invincibili e che resteremo sempre al nostro posto di lotta.”

Questo discorso tenuto da Dmitri Shostakovich alla radio di Leningrado il 16 Settembre 1941 mi sembra racchiuda lo spirito che anima la sua settima sinfonia.

Nato a Leningrado il 25 Settembre 1906, vi segue gli studi al Conservatorio sotto la direzione di Glazunov a sua volta allievo di Rimskij-Korsakov, respira lo spirito della rivoluzione alla quale resta fedele tutta la vita (il 3 Aprile 1917 assiste al comizio tenuto alla Stazione di Finlandia da un Lenin appena rientrato in patria) e vi sviluppa la sua crescita artistica.

uida all’ascolto 2 (nota 1)

La sera del 5 marzo 1953 morì Josif Stalin e la nazione sovietica si lasciò prendere dallo sgomento. La stessa notte scomparve anche Sergej Prokof’ev, ma la notizia passò quasi del tutto inosservata. Per comprendere il contesto in cui si è dispiegata la personalità di Sostakovic forse conviene partire da qui, dallo stridente contrasto di queste due morti parallele.

La figura onnipotente di Stalin aveva esercitato un ferreo controllo non solo sulla vita di un popolo di quasi duecento milioni di persone, ma anche sulle vicende culturali del paese, con conseguenze a volte incalcolabili e spesso devastanti nella vita degli artisti. I mesi successivi alla scomparsa del tiranno furono contrassegnati da sentimenti contrastanti, in cui il sollievo si mescolava a dubbi e preoccupazioni. La situazione del paese era grave, a causa dell’incertezza con cui si andava delineando il nuovo corso sovietico e del vuoto politico che si era venuto a creare all’interno del partito.

In questo scenario nuovo e drammatico Sostakovic riprese il percorso sinfonico che aveva interrotto alla fine della guerra, nel 1945, dopo la Nona Sinfonia. I motivi del silenzio erano legati in primo luogo ai pesanti attacchi del Partito Comunista alla sua musica e a quella di altri importanti compositori, tra cui Prokof’ev, Khacaturjan, Mjaskovskij. Zdanov, portavoce di una linea politica dettata da Stalin, ispirò nel 1948 una risoluzione del Comitato Centrale del Partito sulla musica, in cui si tacciavano i maggiori compositori sovietici di “formalismo borghese”. L’ostilità verso le forme più moderne dell’arte sovietica aveva già cominciato a manifestarsi un paio d’anni prima, con gli attacchi sferrati contro le riviste Zvezda e Leningrad.

Sin dai tempi della prima censura alla sua opera Lady Macbeth del distretto di Mcensk, criticata duramente sulla Pravda nel 1936, Sostakovic aveva imparato l’arte di navigare tra gli scogli pericolosi della politica sovietica. Il compositore fu abile nel giocare con il potere, prima e dopo la morte di Stalin, una pericolosa partita a scacchi. Il confronto era sostenuto con i mezzi di cui poteva disporre un artista, una miscela di silenzi e sottomissioni, di coraggiose prese di posizione e umilianti autocritiche, Sostakovic era perfettamente consapevole che sarebbe stato inutile e dannoso difendere apertamente le proprie idee di fronte a uomini come Zdanov o Tichon Chrennikov, nominato esperto musicale del Partito, un miserabile collega, tuttora vivo, che arrivò al punto di criticare la Settima Sinfonia, simbolo nel cuore di milioni di persone in tutto il mondo della resistenza di Leningrado alla barbarie nazista, con parole di questo tenore: «Sostakovic ha dimostrato che il suo pensiero musicale si adatta molto meglio a esprimere il volto insano del fascismo e il mondo della riflessione soggettiva, piuttosto che dare corpo a un quadro eroico del nostro presente».

«Un’ora fa ho terminato la partitura di due movimenti di una grande composizione sinfonica. Se sarò in grado di portarla a compimento, se cioè riesco a finire il terzo e il quarto movimento, potrò chiamare il lavoro la Settima Sinfonia. Perché vi dico questo? Ve lo sto dicendo per dimostrare che la vita nella nostra città è normale. Siamo tutti ai nostri posti di combattimento. Musicisti sovietici, miei innumerevoli compagni in armi, amici miei! Ricordate, la nostra arte è in pericolo. Difendiamo la nostra musica, lavoriamo onestamente e generosamente!». Così parlava Sostatavic, alla Radio di Leningrado, il 16 settembre 1941.

Il 22 giugno precedente Hitler aveva dato ordine d’invadere l’Unione Sovietica con un attacco a sorpresa. I carri armati tedeschi, avanzati rapidamente, colsero l’Armata Rossa impreparata a fronteggiare l’invasione. In pochi giorni la Wehrmacht era già alle porte di Leningrado. La popolazione reagì con grande forza d’animo alla gravissima situazione. Sostakovic stesso fu tra i primi a chiedere di arruolarsi come volontario, ma la sua domanda fu respinta per ben tre volte. Venne però assegnato a incarichi di difesa civile, inclusa la sorveglianza del tetto del Conservatorio, come testimonia una famosa fotografia in divisa da pompiere pubblicata nel ’42 da Times. Ben più efficace come strumento di resistenza si rivelò invece la sua musica. La Settima Sinfonia, “dedicata alla città di Leningrado”, fu composta di getto – «con un unico tratto di penna» – nel caos drammatico dei primi mesi di assedio. Nikolas Slonimskij la definì una Blitzsymphonie, in risposta al Blitzkrieg nazista. I primi tre movimenti furono scritti a Leningrado, l’ultimo a Kujbycev, una cittadina degli Urali dove il governo aveva fatto sfollare i principali artisti dell’Unione Sovietica. La Settima Sinfonia, terminata in dicembre, ebbe la prima esecuzione il 5 marzo 1942, nella medesima località, con i musicisti del Teatro BolSoj, anch’essi trasferiti negli Urali, sotto la direzione di Samuil Abramovii Samosud.

La ricezione di questo lavoro costituisce un capitolo a sé, nell’affresco terribile della guerra. La Settima incarnò immediatamente lo spirito di resistenza al nazismo del popolo russo, divulgando allo stesso tempo nel mondo il nome dell’autore. Il 9 agosto 1942 la Settima risuonò sotto l’assedio anche a Leningrado, nella Sala della Filarmonica, mentre la città era ridotta in condizioni terribili. Gli abitanti non erano più nemmeno in grado di seppellire i corpi dei morti, che crepavano di fame a migliaia nelle case o addirittura per la strada. Erano stati richiamati dal fronte i musicisti dell’Orchestra della Radio, che si esibiva quotidianamente diretta da Karl Eliasberg per rinfrancare il morale dei soldati. Per l’occasione, alla periferia della città furono sistemati degli altoparlanti (le famose casse “svetlana”) rivolti verso i soldati tedeschi, per far sentire loro che la vita di Leningrado continuava a pulsare. Un mese prima, il 19 luglio, la Settima era stata eseguita a New York da Toscanini, con l’Orchestra radiofonica della NBC, dopo che il microfilm della partitura era arrivato negli Stati Uniti con un viaggio avventuroso attraverso la Persia e l’Egitto. Motivi politici e ragioni artistiche s’incontravano, in questa musica, aldilà delle aspettative dell’autore. In origine i quattro movimenti portavano anche un titolo, che Sostakovic decise però di sopprimere in seguito: La guerra, Il ricordo, Gli spazi sconfinati della patria, La vittoria.

Il concetto di musica a programma, nell’opera di Sostakovic, dev’essere usato con molta cautela. La struttura della Sinfonia è basata in primo luogo su processi di trasformazione e di variazione del materiale musicale, secondo una logica che ubbidisce soltanto all’articolazione della forma. Le immagini poetiche conferiscono un valore su un piano più generale, come programma politico per così dire, ma non costituiscono un vero e proprio tracciato descrittivo della musica.

Sostakovic nelle Sinfonie parla di sé e del suo modo di vedere il mondo, anche se non poteva prescindere dalle forme di retorica politica tipiche della sua epoca. Il primo movimento (Allegretto), per esempio, si presta facilmente a una serie di incomprensioni e d’interpretazioni fuorvianti, se si inquadra la musica solo nella prospettiva del titolo originario, La guerra. L’episodio più rilevante del movimento consiste in una serie di dodici variazioni, su un tema che ha curiosamente una spiccata rassomiglianza con l'”Andiam da Chez Maxim” della Vedova allegra. Il modo di trattare la variazione è analogo a quello usato da Ravel nel Bolero, ossia un processo di accumulazione timbrica su un elemento ripetitivo. Lo stesso Sostakovic ha sottolineato più volte di non aver voluto raffigurare in questo episodio l’implacabile marcia delle truppe naziste, come hanno sempre affermato gli esegeti della Sinfonia. Il vero protagonista del movimento sarebbe invece il popolo e il suo dolore di fronte alle devastazioni della guerra. Secondo i ricordi dell’autore raccolti da Solomon Volkov, lo spunto del brano era stato fornito niente meno che dalla lettura dei Salmi di Davide, in particolare dal Lamento sulla desolazione di Gerusalemme. L’impressione è che questo episodio, per quanto assolutamente efficace dal punto di vista spettacolare, costituisca uno studio sui processi compositivi d’incremento, che si rintracciano un po’ ovunque nella musica di Sostakovic. L’idea di Ravel, coscientemente resa riconoscibile dall’autore, viene ripresa ed elaborata in forma nuova, tanto da costituire una sorta di sezione di sviluppo all’interno di una struttura sonatistica.

Vari elementi caratteristici dello stile delle Sinfonie precedenti si ripresentano anche nella Settima, primo tra tutti la tendenza a sottolineare fino all’estremo limite gli elementi espressivi. Malgrado l’istinto di abbandonarsi alle pulsioni drammatiche della musica, l’autore aveva però provveduto a mettere un po’ d’ordine nel suo traboccante mondo emotivo, dopo la tellurica esperienza della Quarta Sinfonia. L’unità di tempo del movimento è infatti mantenuta nel disegno generale, malgrado alcuni vistosi strappi nella sezione centrale, che costituisce l’elemento di sutura tra le variazioni e la riesposizione. Allo stesso modo la materia sonora si frantuma a tratti in schegge di timbro, lasciando emergere dalla massa dell’orchestra, come voci disperse nella notte, i singoli strumenti. Il movimento si chiude con una reminiscenza del tema delle variazioni, anticipando così in modo lirico un altro caratteristico tipo di processo compositivo, che si manifesta in pieno nel finale, ossia il passaggio di elementi tematici da un movimento all’altro.

Il Moderato (poco allegretto) e il successivo Adagio riportano la Sinfonia nell’orbita di quel mondo mahleriano, che Sostakovic non aveva mai cessato di amare. Entrambi i movimenti possiedono le caratteristiche del Rondò. Il secondo disegna una forma ad arco, in cui la sezione centrale contrasta decisamente con gli episodi laterali. La struttura dell’Adagio è molto meno ortodossa, per quanto riguarda la forma, ma si fonda sullo stesso principio, ossia la sovrapposizione di caratteri contrastanti. Sostatavic era soggiogato dall’esempio di Shakespeare. Ammirava in particolare la scena dei becchini nell’Amleto, per l’urto provocato da un episodio umoristico all’interno di una tragedia così cupa.

Il finale tocca uno dei punti più controversi della Sinfonia novecentesca, stabilire quale fosse la direzione spirituale da imprimere all’ultimo movimento. Sostakovic cercò in vari modi di risolvere il problema lasciato aperto dalla Nona Sinfonia di Mahler. In un lavoro di carattere tragico, qual è la Settima, il rischio di comporre un finale enfatico e retorico costituiva un pericolo molto concreto. D’altro canto non era immaginabile, né forse auspicato dallo stesso autore, che la Sinfonia finisse senza evocare un’atmosfera positiva, al termine della drammatica lotta precedente contro lo spirito negativo.

Sostakovic risolse la questione con un virtuosismo tecnico, per così dire, incrementando cioè i processi d’integrazione reciproca tra le parti, per rendere la forma complessiva più organica e unitaria. Per la prima volta in un suo lavoro il compositore lega assieme l’intera struttura del movimento attraverso un tema, impiegato come una sorta di motto caratteristico. Grazie al rigoglioso moltiplicarsi di variazioni armoniche e ritmiche, il tema-motto esposto all’inizio da violoncelli e contrabbassi guida la musica verso la solenne riesposizione del tema del primo movimento, racchiudendo così in un cerchio espressivo l’intero percorso dell’opera. Il finale diventa il culmine dei processi sinfonici avviati all’inizio del lavoro, mantenendo quindi il carattere positivo richiesto dalle circostanze. Sostakovic troverà soluzioni più soddisfacenti nelle successive sinfonie, meno famose di questa ma forse più riuscite sul piano artistico.

Il problema del finale è tuttavia emblematico di come l’autore abbia rappresentato il caso forse più controverso della musica del Novecento. L’orizzonte spirituale di Sostakovic non contemplava la dimensione religiosa, in alcuna forma. Era un uomo cresciuto nella convinzione che la realtà materiale costituisse la sola prospettiva dell’uomo. La sua musica pone sempre al centro della riflessione, in modo più o meno esplicito, la grande incognita della morte, sospesa come un immenso punto interrogativo sul destino dell’uomo. Nelle Sinfonie di Sostakovic è impensabile che il finale risolva le contraddizioni in un senso autenticamente positivo, eppure il contesto politico della sua epoca pretendeva una visione ottimistica della vita sovietica. In questa contraddizione Sostakovic seppe alimentare la sua opera con le risorse migliori del suo ingegno e del suo spirito. Per questo il suo linguaggio ha sviluppato un duplice registro espressivo, uno ufficiale e l’altro segreto.

Oreste Bossini


(1) Testo tratto dal programma di sala del Concerto dell’Accademia di Santa Cecilia,
Roma, Auditorium Parco della Musica, 6 novembre 2010

Il 22 Giugno 1941 le armate di Hitler varcano la frontiera sovietica e Dmitri Shostakovich leningradese innamorato della sua città, dall’8 Settembre 1941 si trova assediato con tutti i suoi concittadini, dalle truppe tedesche. La sua richiesta di essere inviato al fronte viene respinta a causa delle sue condizioni di salute, con l’assicurazione che si renderà più utile continuando a comporre e viene impiegato nel corpo dei pompieri per sorvegliare l’edificio del Conservatorio.

In questa atmosfera nasce il progetto di una nuova sinfonia da dedicare alle vicissitudini della sua città. Il lavoro procede rapidamente; il 3 Settembre conclude il primo tempo, il 17 il secondo, il 29 il terzo ed il 27 Dicembre a Kuybyshev dove erano stati sfollati i principali artisti dell’Unione Sovietica, l’intera composizione.

La Settima viene eseguita il 5 Marzo 1942 nella Casa della Cultura di Kuybyshev dall’Orchestra del Teatro Bol’soj diretta da Samuil Abramovič Samosud e ripresa il 19 Luglio 1942 a New York dove la partitura era giunta in microfilm con un viaggio avventuroso attraverso la Persia e l’Egitto, dall’orchestra della NBC diretta da Arturo Toscanini. Il 9 Agosto 1942 la Settima risuona anche nella Sala della Filarmonica di una Leningrado ridotta allo stremo; per l’occasione sono richiamati dal fronte i musicisti dell’Orchestra della Radio diretti da Karl Eliasberg e vengono sistemati degli altoparlanti nella periferia della città, rivolti verso i soldati tedeschi, per far sentire loro che la vita di Leningrado continuava a pulsare.

La partitura, che diventa in breve il simbolo musicale della resistenza sovietica all’aggressione nazista e consacra la fama internazionale dell’autore, è concepita, in parte anche scritta, durante l’assedio di Leningrado e riflette la drammaticità e la reazione patriottica del momento. Insignita del Premio di Stato di Prima Classe dell’URSS la sinfonia è inoltre una delle opere di Shostakovich subito approvate dal regime comunista, con il quale, nel corso della sua vita il compositore intrattenne rapporti complessi e spesso tragicamente conflittuali. Inizialmente Shostakovich aveva progettato l’opera come un lavoro con soli e coro su testo proprio, poi come una sorta di poema sinfonico, ma alla fine decise di ritirare i titoli dei quattro movimenti: La guerra, II ricordo, Gli spazi sconfinati della patria, La vittoria.

La Settima Sinfonia è una composizione a programma nel senso più elevato del termine. Secondo le dichiarazioni dell’autore (in vari scritti, tra cui I giorni della difesa di Leningrado, 1941, e Musica a programma reale e apparente, 1951), l’idea poetica della resistenza all’aggressione determina lo svolgimento della forma (soprattutto nei movimenti estremi) oltre che, naturalmente, il tono e il linguaggio musicale, nonché le dimensioni gigantesche dell’organico. La Settima è certo la più monumentale, magniloquente e popolare sinfonia di Shostakovich, animata da un’autenticità e da un respiro epico che, pur ancor oggi vivissimi, vanno ricondotti a un preciso contesto storico. Solo così si può comprendere una composizione che si sviluppa su larghe stesure, puntando su un linguaggio d’immediata comunicativa e presa emozionale e valorizzando procedimenti di dilatazione, estensione, amplificazione, ripetizione e variazione di sicura eloquenza sinfonica.

Il primo movimento, Allegretto, è diviso in tre parti. La prima che come scrive Shostakovich, «parla del popolo che vive una vita pacifica e felice […], che ha fiducia in se stesso e nel proprio futuro», comprende l’esposizione di due idee tematiche. La prima è esposta dagli archi con colpi di timpani, sviluppata dai fiati e conclusa da una transizione affidata ai flauti. La seconda idea in tempo Poco più mosso, d’ampio respiro lirico, esposta anch’essa dagli archi passa poi ai legni e torna agli archi accompagnati dai legni; a conclusione dell’esposizione, la coda della seconda idea pone in evidenza l’ottavino e poi il violino solo su note lunghe tenute. Nella parte centrale «la guerra irrompe improvvisamente nella vita pacifica». Shostakovich scrive: «non voglio costruire un episodio naturalistico con tintinnare di sciabole, esplosioni e così via. Cerco di comunicare l’impatto emotivo della guerra». L’idea si realizza con la ripetizione ostinata di un tema di marcia, ispirato dal crescendo orchestrale del Bolèro di Ravel, ma in modo da combinare la semplice ripetizione con la variazione; l’intera parte centrale, immagine del disumano, meccanico e ineluttabile sopravvento della guerra, è costruita su una serie di variazioni del tema trattato come cantus firmus. Questo tema è presentato dagli archi pizzicati sul ritmo del tamburo militare, che scandisce ossessivo tutta la serie di variazioni. Nella prima variazione il tema è trattato dal flauto su un ostinato dei violoncelli; nella seconda l’ottavino ed il flauto procedono per terze e seste sull’ostinato dissonante dei bassi; nella terza l’oboe ed il fagotto dialogano in canone su un disegno ritmico ostinato pizzicato dai bassi, che si ripresenta sino alla decima variazione. La quarta variazione affida il tema ad una tromba ed a due tromboni, mentre il disegno ritmico passa al pianoforte ed agli archi bassi; nella quinta troviamo un canone ravvicinato tra clarinetti con l’aggiunta del clarinetto piccolo, degli oboi e del corno inglese mentre il disegno ostinato si estende a tutti gli archi. La sesta variazione vede i violini in accordi paralleli, col disegno ostinato che coinvolge i fiati; nella settima archi, oboi e clarinetti suonano accordi paralleli mentre l’ostinato diventa appannaggio di fagotti, timpani e pianoforte. Nell’ottava variazione il tema passa al registro grave ed il disegno ostinato al registro acuto dell’orchestra, con lo xilofono in evidenza. Nella nona variazione il tema passa alle trombe ed ai tromboni; al disegno ritmico ostinato s’aggiunge un controcanto cromatico acuto, mentre timpani, piatti e grancassa rinforzano il tamburo; nella decima al tema dei legni acuti si sovrappone un nuovo ed ondeggiante controcanto cromatico per terze nel registro mediograve dell’orchestra; nell’undicesima compare il tema agli ottoni, mentre il resto dell’orchestra scandisce un nuovo modulo ostinato. Alle variazioni segue una parafrasi a pieno organico basata sui motivi di marcia degli ottoni, si avvia un poderoso climax, realizzato con l’intensificazione ossessiva dei processi iterativi e degli effetti percussivi, con trilli, tremoli e ribattuti. Al culmine del climax incomincia, in tempo Moderato, una libera ripresa della prima parte. Scrive l’autore: «nella ricapitolazione i temi vengono riesposti e assumono un nuovo significato. La ricapitolazione è una marcia funebre, o piuttosto un requiem per le vittime della guerra: la gente onora la memoria dei suoi eroi». Cessato il ritmo ossessivo del tamburo, esplode una grandiosa variante della prima idea tematica caratterizzata da spessi unisoni, colpi di tam-tam, piatti, grancassa e timpani, nonché dal protagonismo degli ottoni. Gli ultimi squilli della marcia innescano l’anticlimax: l’orchestra s’assottiglia e il discorso s’addolcisce sino a far risuonare, in tempo Poco più mosso, la linea melodica del flauto, raddoppiato dai violini I e quindi del clarinetto. Il tempo rallenta sino all’Adagio: su secchi accordi degli archi gravi e del pianoforte, il fagotto, poi accompagnato dai clarinetti, intona una dolorosa variante della seconda idea tematica; è la sezione che Shostakovich definisce «un episodio ancora più tragico [del requiem]», che forse «esprime il dolore di una madre in pianto o perfino un dolore così profondo da rimanere senza lacrime». Compare quindi una cupa interpunzione che echeggia il ritmo di marcia che ricomparirà articolando le successive varianti e reminiscenze tematiche. Un’ulteriore variante agli archi, e in tempo Meno mosso, della prima idea tematica e il ritorno agli archi, in tempo Poco più mosso, di un segmento della seconda idea tematica e poi della coda della stessa seconda idea conducono verso la «conclusione del primo movimento: l’apoteosi della vita e del sole». Ma l’ultima parola spetta alla guerra. «Nelle battute finali si sente un rombo in distanza: la guerra non è finita»: in tempo Allegretto s’ode un’eco della marcia, affidata al tamburo e alla tromba.

«Il secondo e il terzo movimento non hanno un programma definito: si tratta di una musica lirica incaricata di ridurre la tensione. Shakespeare sapeva bene che non si può tenere l’uditorio in tensione per tutto il tempo […]». I due movimenti centrali infatti non hanno quell’impronta descrittiva impressa a quello iniziale e poi ancora al finale. Il secondo movimento, Moderato (poco allegretto), è uno Scherzo che denota «un po’ di umorismo»; la forma, tripartita, ha l’impronta del rondò per i ritorni del tema principale. La prima parte inizia con il tema principale, esposto agli archi, leggero e di grazia quasi manierata; segue il lirico e sinuoso tema secondario condotto dall’oboe sull’accompagnamento ritmato degli archi, proseguito dal corno inglese, dai violoncelli e quindi concluso dai violini. Chiude la prima parte il ritorno abbreviato del tema principale affidato agli archi pizzicati con l’aggiunta di un clarinetto. La sostanza musicale della parte centrale contrastante, in metro ternario, si basa su tre elementi: il clarinetto piccolo ed i clarinetti espongono in contemporanea, due diverse idee tematiche intrecciandole in contrappunto su un modulo di ostinato. Ripetizioni e varianti delle due idee tematiche e il principio dell’ostinato assicurano lo sviluppo di una fitta trama sinfonica che si accende di vivacissime e variopinte fiammate strumentali, sino a una frase degli archi che gira su se stessa portando alla ripresa. Nella ripresa della prima parte i violini I ripetono il tema principale abbreviato ed il clarinetto basso ripropone il tema secondario con l’accompagnamento di flauti ed arpe mentre il clarinetto solo provvede alla conclusione. Il movimento termina col tema principale abbreviato nuovamente presentato dai violini I e quindi col riaffiorare dell’accompagnamento ritmato del tema secondario.

«Il terzo movimento è un Adagio patetico, il centro drammatico dell’intero lavoro». L’importanza che Shostakovich attribuisce all’Adagio, la cui forma ternaria ha una complessa organizzazione interna, si rispecchia nella circolare intensità espressiva con cui intreccia e riassume i temi dell’idea poetica: il patetismo eroico, l’elegia del compianto funebre, la fiducia nella vittoria della ragione e della civiltà, la tragica presenza della guerra. Nella prima parte vi sono tre elementi tematici ben individuati. Il movimento comincia con l’esposizione del primo elemento, costituito da uno stentoreo corale di fiati e arpe, e quindi del secondo, in tempo Largo, consistente in un declamato espressivo degli archi. Il primo ed il secondo elemento tematico proseguono alternandosi e, finché il declamato degli archi illanguidisce, introducendo un ritorno abbreviato del corale. Il terzo elemento tematico della prima parte è la sognante melodia cantabile del flauto, cui s’aggiunge anche un secondo flauto, sul pizzicato ostinato degli archi; il tema, proseguito dai violoncelli in duetto con i violini I, sbocca in una chiusa struggente, quasi mahleriana, dove nella melodia dei violini I è sotteso il corale iniziale. Il ritorno abbreviato del declamato degli archi chiude la prima parte, anticipando le figure in ritmo puntato della parte centrale, dove la guerra si riaffaccia nella sua barbara violenza. La parte centrale contrastante, reca l’indicazione Moderato risoluto. L’idea tematica che l’identifica è concitata e innervata di ritmi puntati: la espongono i violini, accompagnati da una scansione pulsante e da un ritmo sincopato nel registro grave dell’orchestra; l’espansione e l’elaborazione di questa nuova idea s’intreccia con cellule derivate dagli elementi tematici della prima parte, mentre il discorso musicale diviene sempre più incalzante e minaccioso per i cavalcanti ritmi ostinati, l’ingresso del tamburo e il fragore degli ottoni, delineando così un grande climax. A questo punto interviene la ricapitolazione della prima parte: l’ormai noto corale di legni e corni avvia l’anticlimax nel quale persistono tracce dell’energia minacciosa della parte centrale con il ritmo puntato dei bassi e del tamburo. Nel prosieguo della ripresa, il movimento tende a chiudersi su se stesso, disegnando un corso circolare o a spirale che riafferma, con una certa persuasiva ridondanza, gli elementi tematici della prima parte. Ritornano il declamato degli archi, poi la sezione in cui gli archi introducono un ritorno abbreviato del corale iniziale ed infine il terzo elemento tematico, con la melodia cantabile ora presentata dalle viole. A questo punto il movimento sembra ricominciare da capo, riproponendo con varianti di orchestrazione l’iniziale alternanza prevalentemente agli archi, del corale con il declamato espressivo.

Senza pausa si passa alla quarta parte, Allegro non troppo, che getta un ponte verso la conclusione liberatoria che simboleggia la fiduciosa certezza nella vittoria. Non si tratta di una marcia trionfale, di una vaga celebrazione retorica, ma di un processo faticoso e durissimo; sino all’epilogo la musica comunica con forza la suggestione quasi cinematografica che l’esperienza della guerra è sangue, sconfitte, sofferenza, lutto, devastazione: anche se chi vince ha dalla sua una superiorità morale, paga la vittoria a prezzo carissimo. Il finale ha uno schema in tre parti, dove esercita larga predominanza l’idea tematica principale. Nell’introduzione inquieta e misteriosa si profilano, su un tappeto di note lunghe tenute dal rullo dei timpani, gli elementi tematici del movimento: la melodica idea secondaria, esposta dai violini I, s’alterna all’anticipazione dell’idea principale, più ritmica, trattata dai bassi; squilli di fanfara e colpi di timpano portano all’inizio della prima parte. L’idea tematica principale sorge irruente e minacciosa dagli archi e l’incisività del suo profilo risalta in una scrittura contrappuntistica. Il proseguimento dell’idea, affidata agli archi ed ai fiati, porta a un grande crescendo orchestrale nel quale s’infittisce l’ordito contrappuntistico. Diventa facile associare l’idea tematica principale e il suo svolgimento al freddo e spietato scatenarsi di una battaglia. Il grande crescendo orchestrale è l’inizio di un climax che utilizza i motivi dell’idea principale e pone in rilievo i legni e poi gli ottoni; il culmine del climax è segnato da una successione di eventi: colpi di piatti e grancassa, squilli degli ottoni, entrata del tamburo e infine la maestosa fanfara degli ottoni su trilli e tremoli di tutta l’orchestra. L’idea tematica secondaria s’inserisce risuonando come un canto popolare o un inno che esprime l’identità e la coesione nazionale; è affidata a legni e corni sull’accompagnamento ostinato e percussivo degli archi e sulla testa dell’idea principale a legni gravi e timpani. Dall’accompagnamento percussivo e ostinato sembra accendersi agli archi un nuovo tema, dalle movenze dì danza popolare che tuttavia si spegne ben presto. L’assottigliamento orchestrale ai soli archi serve da transizione alla parte centrale del movimento. Il tempo Moderato, è un compianto funebre che ha andamento di marcia in metro ternario ed è caratterizzato dal ritmo puntato; il compianto è affidato ad archi e legni, con brevi interventi solistici del clarinetto e del flauto. Si piangono i morti. Sulla scansione ostinata delle viole riemerge coi violini I, in pianissimo, l’idea tematica principale, che anticipa la libera ripresa della prima parte. Ora l’idea tematica principale risuona alle viole, trasformata come mesta variante melodica, sul disegno puntato del compianto funebre, per poi passare ai violini I, mentre tornano anche gli squilli isolati dell’introduzione (legni). Quando l’idea tematica principale è intonata dai legni inizia il grandioso climax conclusivo condotto sulla scansione ostinata del disegno puntato e di ritmi marziali. Il climax prosegue combinando una variante trionfale della testa dell’idea tematica principale (ottoni), la scansione del disegno puntato e un nuovo modulo di ostinato, sino al culmine e all’epilogo a pieno organico. Con la modulazione risolutiva e liberatoria, che spazza via il senso di opprimente e plumbea cupezza, ricompare con gli ottoni il primo tema del movimento iniziale e la sinfonia si conclude con i ripetuti ritorni della testa dell’idea tematica principale.

Terenzio Sacchi Lodispot

http://www.flaminioonline.it/Guide/Shostakovich/Shostakovich-Sinfonia7.html Lodispot





 

Shostakovich : Sinfonia n. 1 in Fa minore, Op.10

http://www.controappuntoblog.org/2013/05/20/shostakovich-sinfonia-n-1-in-fa-minore-op-10-2/

Dmitri Shostakovich

http://www.controappuntoblog.org/2012/09/26/dmitri-shostakovich/

Le donne che leggono sono pericolose

http://www.controappuntoblog.org/2012/07/16/le-donne-che-leggono-sono-pericolose/

la vita è un valzer , meglio se di Shostakovich

http://www.controappuntoblog.org/2012/03/12/la-vita-e-un-valzer-meglio-se-di-shostakovich/

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