la primavera turca porterà la Turchia in Europa? la questione sostanziale quella è! il proletariato turco intanto….

La Turchia che dice no

Pubblicato il 2 giugno 2013

Sentire Erdogan attribuire la protesta a influenze straniere, rende la misura della sua distanza dai turchi che sono scesi in strada in massa.

UN NO ALLA REPRESSIONE – Non è per una questione di alberi che in un paio di giorni sono scese in piazza a più riprese milioni di persone  in quasi tutte le maggiori città turche, che godono di grande consenso anche tra quanti non sono scesi e non scenderanno mai in piazza. È una questione di democrazia dicono i manifestanti, perché l’era di Erdogan, in fase calante, si è caratterizzata nel tradurre il dominio dell’AKP in una stretta sulla società e sugli spazi e i modi d’espressione, che a una società laica e secolarizzata come quella turca oggi risulta insopportabile e che ha sopportato ancora meno l’aggressione della polizia alle persone che manifestavano pacificamente.

L’ARROGANZA – L’ottuso moralismo islamico dell’AKP, bigotto e giustamente paragonato alla Democrazia Cristiana dei bei tempi, con il passare degli anni e l’aumentare della presa del partito sulle istituzioni, si è tradotto leggi repressive e moralisteggianti che ai turchi non sono piaciute per niente. All’indomani degli scontri per gli alberi era già in agenda una manifestazione nazionale contro la nuova legge sugli alcolici, che secondo l’AKP è mutuata dai paesi scandinavi, ma che i turchi hanno preso come come un tentativo di guerra santa. A testimoniare un discreto attivismo “islamico” a tutti i livelli, ci sono poi casi come quello dell’azienda dei trasporti di Ankara, che ha invitato i passeggeri a tenere “comportamenti morali” su mezzi e nelle stazioni.

BASTA AKP ? – Oggi la Turchia è probabilmente giunta al punto nel quale il paese sente di non avere più bisogno dell’AKP, Erdogan e il partito avranno difficoltà a capire la nuova situazione. Il partito islamico d’ispirazione moderata, al punto da dirsi ispirato al Partito Democratico americano, ha a lungo goduto del favore di buona parte della Turchia laica, stanca dei nazionalisti, dell’influenza dei militari nella vita di un paese sotto la loro tutela dall’istituzione della repubblica, così come delle alternative laiche, ridotte a comitati d’affari devastati dagli scandali. L’AKP è andato al potere con prudenza, continuando a recitare il  mantra del rispetto della laicità dello stato e della responsabilità nel rispettare il ruolo e gli impegni internazionali della Turchia. La luna di miele è durata a lungo, l’AKP si è rivelato un partner affidabile per l’elite  economica e ha assecondato lo sviluppo del paese, non rinunciando a perseguire i militari golpisti e probabilmente anche alcuni meno golpisti e riuscendo a ripulire parte di quello ” stato profondo” che si era solidificato all’epoca dell’anticomunismo.

UNA STORIA DI SUCCESSO – Questo di Erdogan è il terzo mandato consecutivo e in ogni elezione l’AKP ha preso sempre di più, arrivando nel 2011 a sfiorare il 50% e portando in parlamento appena 3 parlamentari in meno di quelli sufficienti a modificare la costituzione scritta dai militari da solo, impresa finora andata a vuoto perché tra i cultori della laicità dello stato e gli islamisti non si sa come finirebbe. La de-militarizzione del paese tuttavia è stata relativa, perché Erdogan non è ancora riuscito a risolvere il problema curdo e anche perché ai confini si sono presentati problemi come la guerra in Iraq e ora guerra civile siriana. I tentativi di Erdogan di soddisfare i nazionalisti, cercando al contempo di porsi inutilmente come faro di una buona parte dei paesi musulmani, non si sono rivelati più fecondi della scelta d’intervenire nel conflitto siriano, peraltro in un evidente tandem con il Qatar che non sembra riscuotere l’entusiasmo del Dipartimento di Stato. Se però l’astenersi dalla guerra in Iraq aveva incontrato il consenso popolare, non così è stato per il conflitto siriano, che alla Turchia costa molto e che ha già provocato un robusto afflusso di profughi. Saldamente atlantista, europeista e allo stesso tempo musulmano, asiatico e mediorientale, Erdogan ha giocato a lungo il ruolo del protagonista virtuoso ponendo il peso del suo paese su tutti i tavoli, ottenendo molto credito, ma pochi successi e finendo a gioco lungo per scontentare molti di quanti lo hanno sostenuto in passato.

[Video di Occupy Turkey con attivista che si spiega in inglese]

LO STOP – Ma più di tutto resta il fatto che le idee dell’AKP, fondamentalmente ispirate alle regole islamiche, una volta tradotte con sempre maggiore fiducia in leggi non sono state condivise dalla maggioranza dei turchi e, ancora meno, oggi i turchi accettano che Erdogan usi come sta usando la polizia, brutalmente, contro le persone che manifestano pacificamente. Se a questo s’aggiunge l’insoddisfazione di molti per un’economia che sembra  in tumultuosa espansione, ma che in realtà dal 2008 a oggi vede un Pil pro-capite piatto se espresso in dollari, a causa della svalutazione della lira turca e una trasformazione dell’economia che nell’ultimo decennio ha visto espandersi soprattutto i settori dei servizi e dell’edilizia. Gli aumenti salariali apparenti sono stati divorati da un’inflazione che nel periodo 2002-2012 si è attestata oltre l’11% e che ad aprile di quest’anno era dl 6.1%, di nuovo in risalita secondo i dati forniti dal governo, che dicono anche come nonostante la crescita dell’export, il paese resti un importatore netto con le importazioni che aumentano più dell’export. A causa dell’inflazione inoltre la borsa turca è stata una delle peggiori tra quelle dei paesi emergenti, una performance che ha ridotto gli investimenti stranieri nonostante in parallelo migliorasse il rating.

UN BILANCIO PESANTE – Mille feriti, mille arresti, numeri enormi. Difficile tradurre questa rivolta contro la repressione alle opinioni pubbliche europee, che da tempo assistono senza fremere a repressioni identiche, ma è chiaro che quella contro Erdogan è la rivolta contro un esercizio antidemocratico del potere. Un esercizio che passa come un rullo compressore sulla pelle delle città turche, bombardate di moschee e di centri commerciali a santificare la santa alleanza tra il liberismo dei palazzinari e il moralismo dei bigotti e ovviamente anche su quella dei turchi. Quei turchi che sono stati la carne e il motore dello sviluppo del paese, che sono emigrati, hanno studiato, vivono nella modernità e in pieno Occidente e sono i protagonisti di una società nella quale l’Islam dei veli e delle proibizioni assurde è minoritario. In Turchia ci sono predicatori “islamici” come Adnan Oktar, stella del creazionismo musulmano che appare in televisione con una scorta di panterone pitonate senza che per questo nessuno pensi di tagliare loro la gola. L’AKP deve ancora battersi per la libertà per le islamiche di portare il velo all’università e non viceversa ed è quindi a un discreta distanza da una società accettabilmente “islamica” per i suoi standard, che ovviamente cerca di colmare non appena appare possibile e praticabile, proprio come quando si può godere di una robusta maggioranza in parlamento.

IL LASCITO DEI GENERALI – La mancata riforma delle leggi estremamente repressive in vigore fin dai tempi della dittatura, anche grazie alla resistenza dei nazionalisti, per i quali ad esempio resta un bastione la difesa dell’articolo che punisce l’offesa alla “turchità”, particolarmente insidioso per chi critica il governo o il paese, offre strumenti straordinari al potere. Proprio quelle leggi sono stati l’ostacolo formale più rilevante all’accoglienza della Turchia in Europa, tuttavia  72 operatori dei media in galera, 42 dei quali giornalisti, sono moltissimi, ancora di più se si tratta per la maggior parte, ma non solo, di giornalisti curdi, per lo più colpevoli di aver correttamente riferito di delitti o massacri da parte di polizia, servizi e militari. Detenuti e condannati a pene pesantissime. Poi ci sono gli altri in qualche modo molestati dalla polizia, 61 arrestati solo l’anno scorso, pochissimi curdi in questo caso. La stampa resta varia e frizzante, ma il potere ha dalla sua le leggi ed evidentemente anche la volontà di usarle per rispondere alla stampa con la galera e lo fa con generosità, incurante delle proteste interne e internazionali e della funzione dell’informazione nel funzionamento di una moderna democrazia.

TUTTI IN PIAZZA – Oggi a scendere in piazza non sono solo i nazionalisti, le cronache e le immagini non lasciano dubbi perché i nazionalisti oggi non hanno il seguito e la capacità di mobilitazione che si è vista nelle immagini. A scendere in piazza sono i turchi che si ribellano alla repressione vista all’opera a Istanbul e all’arroganza di un sistema di potere che, credendosi consolidato, non si è accorto di aver superato il credito che gli era stato concesso dal paese. A chi chiede perché ora e non allora non si può dare risposta, nemmeno i media turchi avevano misurato una tale febbre nel corpo sociale che oggi è sembrato tirare una riga in fondo a quel conto. Come sempre eventi del genere sono figli di molti padri e di molti fattori e la Turchia è un paese grande e dinamico, al centro di un quadro internazionale complesso nel quale cerca di giocare da protagonista, un paese nel quale da tempo covano le tensioni inespresse che emergono con grande visibilità in questi giorni, cercare di semplificare o ridurre tutto a un unica causa o fattore scatenante serve solo ad allontanarsi dalla realtà.

I TEMPI CAMBIANO – L’AKP non rappresenta più l’offerta politica di un tempo e paradossalmente anche la recente svolta dei curdi del PKK, che proprio qualche giorno fa hanno completato il ritiro dei loro guerriglieri dal territorio turco e abbandonato la lotta armata, e che in teoria rappresenta un successo per il governo, si è aggiunto alle condizioni che hanno reso possibile una tale risposta popolare eliminando dal discorso politico la variabile del “terrorismo” curdo, strumentalizzata e agitata in dittatura come in democrazia dai governi, quasi che ad approfittare della svolta del PKK e a testare immediatamente la tenuta dell’esecutivo siano stati proprio i turchi che sono scesi in strada e che si sono mobilitati contro Erdogan.

NASCOSTI DIETRO GLI ALBERI – In molti paesi occidentali è apparso evidente il disagio nel riconoscere nella rivolta ai metodi repressivi e autoritari la matrice della protesta, ma non poteva essere diversamente. “Eccessi” come quelli ammessi dallo stesso Erdogan sono spettacoli già visti altrove, anche nelle più titolate democrazie dove negli anni il dispositivo repressivo si è specializzato nell’aggredire e confinare con brutalità le manifestazioni contro l’ordine costituito, comprimendo moltissimo la libertà di manifestare. I modi dei poliziotti di Erdogan non sono diversi da quelli mostrati dalla polizia italiana o di altri paesi europei, le retate in questa occasione sono addirittura modeste se confrontate a quelle preventive delle autorità statunitensi e nelle stesse ore a Francoforte chi voleva manifestare contro la BCE è stato sottoposto a ogni genere di limitazione e fastidio. La pretesa di Erdogan di andare avanti comunque non è diversa da quella dei politici italiani che vorrebbero portare la violenza in Val di Susa per realizzare un’opera fortemente controversa.

UN FALLIMENTO – Erdogan peraltro ha peggiorato le cose dichiarando che avrebbe usato il pugno duro e poi facendo marcia indietro dopo una telefonata con il presidente della repubblica, che pure è del suo partito, un minuetto che non potrà che apparire un segno di debolezza ai suoi avversari, che per quanto spontanei possono contare sul favore inespresso quanto evidente  dei militari, che sono rimasti silenti, e di quella parte rilevante dell’economia che non beneficia della sinergia con l’AKP e che pertanto è esclusa a favore dei concorrenti più devoti. Anche Erdogan ha un evidente interesse a focalizzare la crisi sul famoso parco oggetto di contesa tra immobiliaristi e cittadini e infatti mentre presentava le sue scuse e annunciava un’inchiesta per l’uso di lacrimogeni proibiti, per “errore” ha detto, ha tuonato ribadendo che qualsiasi cosa facciano i manifestanti il centro commerciale sarà realizzato, nel rispetto della legge che dà ragione ai costruttori e alle amministrazioni che hanno concesso loro la licenza.

LA SCELTA – Solo il tempo dirà se quello di questi giorni è un incendio estemporaneo che Erdogan saprà domare o se si allargherà, quello che appare abbastanza certo è che per l’AKP sarà difficile migliorare ancora il suo risultato alle elezioni del 2014, le prime con l’elezione diretta del presidente della repubblica, alla quale potrebbe concorrere Erdogan senza dimettersi da primo ministro perché ad essere esclusi dalla candidatura saranno solo gli ex presidenti. Non che questa considerazione ne segni la fine o la possibilità di rimanere al governo, l’opposizione resta insanabilmente divisa, ma è chiaro che essere paragonato a Hitler e subire rovesci come quello di questi giorni non gioverà alla sua candidatura e nemmeno al futuro del suo partito, che ora deve decidere se procedere nella tendenza islamizzante o darsi almeno una pausa tattica.

http://mazzetta.wordpress.com/2013/06/02/la-turchia-che-dice-no/

US, Germany warn their citizens about potential violence in Turkey

June/03/2013

The U.S. Embassy to Turkey has issued a warning to its citizens in Turkey about potential violence, the Hürriyet Daily News has learned.

The embassy issued a warning letter for the attention of American citizens, reminding of the tension in the country that has been ongoing since last week.

The Daily News has also learned that U.S. Ambassador to Turkey Francis Ricciardone has canceled a trip to the U.S. due to the ongoing unrest in Turkey. He had been due to attend an American-Turkish Council meeting.

Meanwhile, the German Foreign Ministry has urged German citizens to stay away from demonstrations, according to German Embassy spokesman Peter Kettner.

Germany also called on Monday for calm and for dialogue in Turkey after days of clashes between anti-government protesters and police.

http://www.hurriyetdailynews.com/us-germany-warn-their-citizens-about-potential-violence-in-turkey.aspx?pageID=238&nID=48155&NewsCatID=341+

 

Turkish president invites deputy prime minister to discuss unrest

June/03/2013

President Abdullah Gül has invited Deputy Prime Minister Bülent Arınç to the presidential palace for a meeting about the ongoing protests in Turkey, at a time when Prime Minister Recep Tayyip Erdoğan is on a visit to Morocco. The meeting between Gül and Arınç is set to take place at 10.30 a.m on June 4.

Gül also reportedly invited Nationalist Movement Party (MHP) leader Devlet Bahçeli and Peace and Democracy Party (BDP) Co-Chair Selahattin Demirtaş, according to sources.

Main opposition Republican People’s Party (CHP) leader Kemal Kılıçdaroğlu met with President Abdullah Gül earlier today to share his concerns about the week-long protests across the country, criticizing Prime Minister Recep Tayyip Erdoğan’s attitude on the issue.

Democracy is not just about elections, Gül said earlier today in response to the ongoing Gezi Park protests, adding that the message was received by authorities.

President Gül intervened on June 1 to stop the police crackdown in Taksim, urging “sensitivity and maturity” to calm the five-day-long tensions down.

 

http://www.hurriyetdailynews.com/turkish-president-invites-deputy-prime-minister-to-discuss-unrest-.aspx?PageID=238&NID=48157&NewsCatID=338

Ankara and Berlin: A unique partnership

 

As Turkey’s Prime Minister Erdogan visits Berlin, he knows that Turkey is a crucial partner for Germany, both in business and foreign policy terms. But the partnership comes with challenges for both sides.

Turkish Prime Minister Recep Tayyip Erdogan’s visit to Berlin highlights a new period in exceptionally close but at times uneasy relations between Turkey and Germany.

On Tuesday evening, Erdogan opened a new Turkish embassy complex in Berlin which is now Ankara’s largest in the world, symbolizing Turkey’s growing activism in international politics, as well as its growing interest in strengthening ties and gaining influence with the Turkish diaspora.

“This building is an expression of the great importance we attach to Germany; importance and value we attribute to our Turkish citizens living here,” said Turkey’s ambassador to Berlin, Huseyin Avni Karslioglu. “We will have a glorious embassy, which our people can be proud of,” he told the Turkish press.

Turkey and Germany enjoy close and wide-ranging relations, stretching back over centuries. The two NATO allies have developed a unique partnership, enriched by the 2.5 million people of Turkish origin living in Germany, most of them descendants of those arrived under a “guest workers” program in the 1960s. While issues and problems related to the Turkish diaspora have long dominated the bilateral ties between Turkey and Germany, more recently the economy and trade, as well close cooperation on international politics, have become determining factors on the bilateral agenda.

Economy at forefront

Germany today is Turkey’s biggest trading partner. Bilateral trade reached a new record of 31.4 billion euros in 2011, despite the economic and financial crisis in Europe.

Germany is also the leader in foreign investment in Turkey. The number of German companies and Turkish companies with German capital has exceeded 4,800. Germany is also the largest source of tourist revenue for Turkey with some 4,8 million Germans visiting the country each year.

Turkey’s decade long economic boom, which made it the world’s 15th-largest economy, has recently transformed the character of economic relations with Germany.

As a result of Turkey’s dynamic development, Germany this year terminated its 50-year-long development aid program to the country. The Federal Ministry for Economic Cooperation and Development announced in September that Turkey was now “an equal economic partner.”

Turkey’s new foreign policy

For many analysts, Turkey’s success in significantly increasing its trade with neighboring countries and regions in the last decade is strongly related to its new active foreign policy. Turkey’s “zero problem” policy with neighbors and Ankara’s goal of creating common economic zones in the immediate region is widely admired by German officials.

“The economic numbers are impressive. I would be hard pressed to name any other country that has been able to quadruple its foreign trade in less than 10 years,” Ambassador Nikolaus Graf Lambsdorff, the German Foreign Ministry’s Special Envoy for Southeast Europe, said recently at an international conference in Berlin.

“For many people in the countries of the Arab Spring, Turkey is a source of inspiration, if not a model,” Lambsdorff went on, adding, “Turkey has undergone impressive changes. It has become a regional player and an ambitious player on the international scene.”

Unresolved differences

Despite Turkey’s growing importance for Germany and the EU, European leaders are not yet convinced about full membership for Turkey in the bloc.

German Chancellor Angela Merkel and her party, the Christian Democratic Union (CDU), has been one of the strong opponents of full Turkish membership, offering Turkey a “privileged partnership” instead.

Due to the decades-long Cyprus problem and the reluctance of other leading EU states besides Germany, Turkey’s EU accession process has come to a standstill. The lack of progress has significantly undermined the democratization process in Turkey.

In its latest human rights report, the German Foreign Ministry sees some serious deficiencies and shortcomings in Turkey in the field of democratic rights and freedoms. Recently, the government in Turkey has applied increasing pressure on the media, which critics say is politically motivated to silence the opposition, and some 100 journalists remain imprisoned on various charges.

An alarming situation continues on the Kurdish question. In its fight against the Kurdish Worker’s Party (PKK), Turkey has detained more than 2,000 suspects on charges of being members of the Union of Kurdistan Communities (KCK), an alleged “parallel state” apparatus formed by the PKK.

A widening hunger strike by more than 600 Kurdish militants in prisons across Turkey is raising concerns about Erdogan’s policy on the Kurdish question. But the Turkish prime minister insists on a hawkish stance, recently blaming European countries and Germany for obstructing Ankara’s fight against the PKK.

“Germany does not want a solution. France does not want a solution. These countries do not help us. Instead, they let the terrorist leaders live in their territory,” Erdogan maintained in a televised interview last month.

Last year, Erdogan also accused German political foundations of supporting the PKK, causing a diplomatic dispute between Ankara and Berlin. All these claims have been flatly rejected by German officials. In the meantime, these foundations are facing difficulties in carrying out their activities in Turkey, which have long focused on issues of democratization, human rights and religious dialogue.

Erdogan: Not an easy partner

In recent years, Turkey has become more crucial for Germany, but despite the increased level of cooperation, “the new Turkey” is at times a difficult partner for Berlin.

On the Syria crisis, Turkey’s strong stance against the Assad regime and its welcoming of more than 100,000 Syrian refugees has received praise and appreciation from Germany, but the Turkish government’s assertive policy has also raised some concerns.

Turkey’s more active foreign policy is also reflected in its stronger engagement with the Turkish diaspora. The recently founded Overseas Turks Agency (YTB) is seeking to defend the rights of Turks living abroad and is trying to support them to preserve their cultural and religious identity. These activities, however, are viewed by many Germans as an attempt to undermine the successful integration of Turks in German society.

Both the Turkish and German governments agree on the need for integration policies, but they disagree on the approaches. Erdogan has been an outspoken critic of some of the policies of the Merkel government. During his meetings with the Turkish community in Germany, Erdogan has repeatedly called on Turks to first teach their children Turkish and then German. “Yes, integrate yourselves into German society, but don’t assimilate yourselves. No one has the right to deprive us of our culture and our identity. Assimilation is a crime against humanity,” he stressed, unleashing sharp criticism from German politicians, commentators and the public.

Turkish election campaign in Germany

Erdogan is expected to repeat his outspoken views during his visit to Berlin this week. But this time he will not only address German public opinion, but also Turkish immigrants, who will have a chance for the first time to vote in Germany for elections in Turkey.

As Erdogan focuses on becoming the next president of Turkey in 2014, he is seeking to gain the widest support possible, including from Turkish citizens living in Germany. With the recent legal amendments in Turkey, around 1.3 million Turkish citizens living in Germany will be eligible to vote during this election, making Germany the fourth largest Turkish electoral district, after Istanbul, Ankara and Izmir.

Because Erdogan will be addressing the Turkish community with the next election in mind, some German observers interpret this as another setback for integration, with Turks continuing to focus on politics in Turkey, rather than politics in Germany.

It is still not clear how Erdogan and his party will organize election campaign rallies in Germany, but Turkish politics has already spilled over into German streets. During his Berlin visit on Tuesday and Wednesday, he will likely face not only his supporters, but also opponents. Opposition groups associated with a wide spectrum of Turkish politics have already called for demonstrations in Berlin against Erdogan and his policies.

http://www.dw.de/ankara-and-berlin-a-unique-partnership/a-16339218

Turkish Labour Movement in the Era of Late Neoliberalism: From Proletariat to Precariat?

Sebnem Oguz

Abstract

In the last three decades, the number of precarious workers has increased dramatically in both developed and developing capitalist countries. The term precariat derived from the words precarious and proletariat has gained currency in reference to these workers. The precariat is characterized by an uncertainty not only in their working conditions, but their living conditions as a whole. In that sense, the very nature of precarity itself necessitates a new type of struggle. This paper will discuss the recent developments in the Turkish labour movement from this perspective. It will be argued that the earlier phase of neoliberalism in Turkey, which covers the 1980s and 1990s, was mainly based on the control of labour through policies of wage suppression. In the later phase which started with the late 1990s, another mechanism was added upon this, which was based on the control of labour directly in the sphere of production through policies of labour flexibility. It was in this period that significant steps were taken towards the precarization of work in both the private and public sector. This period also witnessed new forms of struggle by precarious workers, with the most notable example of TEKEL workers resistance that started in the last months of 2009. The paper will discuss the implications of these new forms of struggle for class formation, and assess the utility of the concept of ‘precariat’ in understanding this process.

http://www.historicalmaterialism.org/conferences/annual7/ttmp/turkish-labor-movement-in-the-era-of-late-neoliberalism-from-proletariat-to-precariat

The New Threshold In Turkey Labor Movement : Tekel Worker Resistancemore

by Huseyin Sevgi

The New Threshold In Turkey Labor Movement : Tekel Worker Resistancemore

collage primavera turca : questione socio-democratica, questione Siria, contrasti ai vertici, questione economica

http://www.controappuntoblog.org/2013/06/03/collage-primavera-turca-questione-socio-democratica-questione-siria-contrasti-ai-vertici-questione-economica/

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