Pensieri del carcere (quei pensieri che non ti abbandonano nemmeno quando ormai stai fuori da quelle mura)

 

Pensieri del carcere (quei pensieri che non ti abbandonano nemmeno quando ormai stai fuori da quelle mura)

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Bisogna uccidere il tempo per rimanere vivi!

Entrato in carcere ti cascano addosso tutti i problemi del carcere. Ma questi problemi non sono quelli di cui si discute nei convegni, nelle tavole rotonde e nei dibattiti.

Non è il problema del sovraffollamento, o la mancanza di fondi, oppure il personale civile scarso, o la sanità penitenziaria evanescente, macché, quelli verranno dopo. A quelli ci penserai quando sei diventato un vero carcerato e ti interessi del funzionamento del carcere. A volte perfino del suo buon funzionamento, come se Robespierre prima di salire sulla ghigliottina si fosse incaricato che fosse ben oliata e affilata e chissà che non l’abbia fatto. Quando un detenuto si occupa e preoccupa del buon funzionamento del carcere è allora che è diventato un “detenuto”.

In carcere ti ci buttano a forza ma “detenuto” si diventa.

All’ingresso, quando ti infilano dentro una cella, il primo impatto è l’isolamento, hai altri problemi! Il primo è questa separazione dal mondo. Ti sradicano dall’ambiente dove cercavi di arrabattarti nelle pratiche di sopravvivenza, di costruire stracci di relazioni umane- sempre più difficili- di percorrere strade, marciapiedi, guardare palazzi, frequentare bar, negozi, monumenti e sedi politiche o sociali; tappe del girovagare quotidiano, del raccapezzarsi per vivere. Ti tolgono questo, ti tolgono tutto. Erano queste povere cose la tua identità, te le tolgono e ti sbattono in un buco. E sei un nulla.

Ci devi mettere un po’ per ricostruire, per immaginare, che anche lì dentro puoi essere vivo, quando ti costruisci questa nuova identità, solo allora sei un carcerato ostile o collaborante. Nel frattempo sei un nulla

Quanto tempo è passato? Dall’ultima volta che sono stato in questa cella ne sono passati di anni. Eppure non vi è traccia, o forse si. Quasi vent’anni, l’ultima cella prima del viaggio nel territorio dei “quasi liberi”, ma ancora totalmente sotto il controllo penale. Il territorio della semilibertà, che di libertà, anche se “semi” non ha granché perché l’unica libertà cha hai è quella di rispettare a puntino gli obblighi del “trattamento”nell’arco delle 24 ore quotidiane. Ore libere non sono previste.

Vent’anni dopo la stessa cella. Cosa è cambiato? Qualcosa , ma non so cosa. Il mondo è cambiato e non è facile ricominciare. Anch’io sono cambiato. Il mondo è cambiato mi ripetono tutti, e ciascuno intende un certo cambiamento. Non so del mondo, non l’ho capito, ma il carcere si, è cambiato tantissimo. Sono cambiati gli uomini e le donne che lo popolano e sono molti più di prima, più del doppio. Sono cambiate le forme della protesta, sono cambiate, forse, anche le aspettative della popolazione detenuta. Ad esempio quella macchia di umidità era molto più piccola, alta appena un palmo da terra, ora si è propagata a un bel pezzo di parete è coperta di  muschio e ha contagiato anche la parete adiacente.

Il tempo in carcere cammina sui muri

 

Il tempo non passa, hai voglia a inventarti passatempi! È inutile che interroghi quella sottile lama di luce opaca che entra dall’alta finestra, quella luce è sempre grigia. In isolamento non hai la televisione. Se non hai la televisione il tempo in carcere è scandito degli scarponi delle guardie che si presentano davanti alla cella e, di volta in volta, dicono: aria, colloquio, socialità, vitto, ecc., oppure dello sferragliare del carrello del vitto.

Sono queste le lancette dell’orologio della vita carcerata.

Nei manicomi, anche se mascherati da clinica, il tempo è scandito dai i farmaci: da un farmaco a l’altro passa il tempo, passano i giorni, si consuma la vita.

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