Richard Brautigan e Il generale immaginario, Richard Brautigan’s A Confederate General from Big Sur, Dreaming …

 

Imparare a scacciare rane accarezzando coccodrilli con Richard Brautigan e Il generale immaginario

Io Brautigan non lo conoscevo.

Anzi, no. Facciamo un passo indietro: io la letteratura Beat non la conosco. Ho letto l’essenziale di Kerouac (quello che permette di dire al bar: “Kerouac?! Figurati, certo che lo conosco!”). Ho guardato e criticato il film On the road, uscito recentemente. Ho apprezzato poesie di Allen Ginsberg ripescandole nella libreria dei miei genitori (i quali hanno tutto l’accumulabile degli scrittori Beat. Edizioni ingiallite ma soprattutto sgualcite, segno che in qualche indefinito momento tra la passione per Sartre di mia madre, i loro viaggi in autostop e il casa-tradizione-famiglia, devono averli apprezzati molto). Ho spulciato come una fangirlante gossippara tra le biografie su wikipedia: chi ha amato chi, chi ha ucciso chi, chi è morto come, chi ha sperimentato cosa.

Tutto qua… D’altro canto, Sulla strada non m’era piaciuto mica tanto, per cui credevo di averne abbastanza.

Finché non mi trovo tra le mani un libricino piccino, copertina bianca col bordo rosso. Ruvido al tatto. E una trama che appare sufficientemente folle per attirarmi.

Il libricino in questione si chiama Il generale immaginario. Lo scrittore Richard Brautigan, che è questo signore che vedete qui in foto.

Comunque, Richard Brautigan è definito l‘umorista Beat. Io lo inserirei del tutto tra i Senza Schemi né Definizioni. Shane Jones l’ha inserito nella “Lista di Artisti che Hanno Creato Mondi Fantastici nel Tentativo di Curare Attacchi di Tristezza”.

Il fatto è che se tutti i romanzi di Richard Brautigan sono come Il generale immaginario, è tutto vero: è un umorista pazzesco, inclassificabile secondo tradizionali norme, crea mondi tutti suoi…

E’ stato il suo primo romanzo (1964). E cavoli, certo che se uno inizia così… 😉

Pubblicato in Italia nel 1967 da Rizzoli, nonostante l’autore fosse sconosciuto (il successo è arrivato con Pesca alla trota in America), è stato ripubblicato da ISBN edizioni nel 2009: una nuova traduzione (a cura di Enrico Monti) che ha liberato il testo delle censure ai contenuti sessuali.

Il generale immaginario è un mondo sottosopra, in cui Brautigan rivisita la Guerra di Secessione e la propria contemporaneità in chiave ironica e irriverente.

E’ una successione di vicende folli e di personaggi ancor più folli mostrati come normalissimi… Lee Mellon, uno sbandato con quattro denti (a volte di più, a volte di meno, mai allo stesso posto) convinto di essere l’erede di un valoroso generale degli Stati Confederati; uno scrittore – alter ego di Broutigan – che va a vivere nel Big Sur, dorme in una capanna alta un metro e mezzo sdraiato su una pelle di cervo marcia e campando di niente; un riccastro legato a un albero che viaggi con una valigia piena di soldi e preferibbe lanciarli in mare; una donna saggia che tre mesi all’anno fa la prostituta di lusso disposta a tutto; citazioni di opere e autori (Conan Doyle, Whitman, Miller, Steinbeck, e tanti altri) in bocche sdentate, con fiati un po’ sbronzi; una Big Sur bucolica e quasi hippy (quasi, perché manca ancora una manciata d’anni al movimento dei figli dei fiori).

E la scrittura… Santo cielo, la scrittura! Imprevedibile, imprevista, energetica, frizzante. Brillante come poche. Quelle che ti fermi a osservare e riguardare!

Leggere Il generale immaginario è… un’esperienza. Da fare. Difficile da descrivere. Non è e non sarà mai tra i miei libri preferiti. E ancora non sono certa fino a che livello mi sia piaciuto.

Però, mi sono ritrovata a sorridere continuamente, di quei sorrisi che partono da dietro le labbra e si allacciano allo stomaco e al cervello. Sorrisi intelligenti per parole che sono al contempo di pancia e di testa. Non lo faccio mai, ma per Brautigan ho, tra me e me, gridato al genio.

Genio!

Cose in giro:

– un’interessante intervista a Enrico Monti, curatore del recupero delle opere di Brautigan per ISBN edizioni.

pinboard dedicata a Brautigan. Un fracco di immagini.

http://lepaginestrappate.wordpress.com/2013/02/15/imparare-a-scacciare-rane-accarezzando-coccodrilli-con-richard-brautigan-e-il-generale-immaginario/

Brautigan, lo scrittore Usa di culto torna in Italia senza censure. In libreria “Il generale immaginario” (Isbn). Su Affaritaliani.it un estratto in esclusiva

Luciano Bianciardi ha scritto a proposito de Il generale immaginario” di Richard Brautigan, scrittore americano di culto che torna nelle librerie italiane grazie a Isbn, dopo che l’edizione curata dal compianto

 

Bianciardi, e probabilmente tradotta da lui…, era stata ‘cansurata’ in molti punti ‘erotici’ del libro: “Tanto per cominciare, il problema è questo: credere o non credere che fra gli stati confederati ci fosse anche il Big Sur? Chilometri di rocce, sabbie, gabbiani, patelle, nuvole, flutti, ranocchi, e in più certi indiani così selvaggi che non coltivavano la terra, non cacciavano, non raccoglievano bacche, non si riparavano dalle intemperie: possibile che tutto questo fosse un giorno uno Stato, capace di mandare al fronte i suoi volontari, agli ordini del favoloso generale Mellon? Ricerche in biblioteca dimostrano che un generale Mellon non è mai esistito, e pazienza. Esiste tuttavia, eccome, il suo pronipote, si chiama appunto Lee Mellon, abita nel Big Sur, anzi vi regna incontrastato, con pochi e cangianti denti in bocca, un appetito cronico in proporzione, due fucili da caccia senza munizioni, una motocicletta smontata, un autocarro senza serbatoio della benzina, una capanna dal tetto troppo basso (metri 1,50), con una parete di terra, una di legno, una di vetro e una d’aria. Sotto, gracidano a notte miliardi di ranocchi, e a farli tacere non valgono improperi, sassate, bisce, alligatori. Ci sono, naturalmente, le donne: per esempio Elizabeth, che per tre mesi all’anno fa la squillo di lusso a Los Angeles, e vive gli altri nove mesi (come una gravidanza) da brava massaia primitiva nel Big Sur; c’è Eliane, che si fece monaca il giorno della nascita, ma pare aver dimenticato per lo meno il voto di castità. C’è persino Henry  Miller, fermo ad aspettare il postino nella sua vecchia Cadillac. E c’è infine l’autore, che è un matto, anzi un poeta. La letteratura che chiamiamo beat ha trovato il suo umorista”.

L’AUTORE – Richard Brautigan (1935 – 1984) è stato uno dei più originali scrittori della controcultura Californiana. Ha vissuto a San Francisco, nell’Idaho, in Messico e nel Big Sur. Il generale immaginario, scritto nel 1965, è il suo primo romanzo. Isbn ha pubblicato anche American Dust, Una donna senza fortuna e Il mostro degli Hawkline.

LEGGI SU AFFARITALIANI.IT UN ESTRATTO IN ESCLUSIVA DAL LIBRO


A Big Sur si spezza il pane

La cena quella sera non fu granché. E come poteva esserlo se ci eravamo ridotti a mangiare roba che non mangiavano neanche i gatti? Non avevamo soldi per comprare niente di commestibile, né prospettiva di trovarne. Tiravamo a campare. Da quattro o cinque giorni aspettavamo che venisse qualcuno a portarci da mangiare, un passante o un amico, non importava.

Da un po’ di giorni quella strana forza che attirava gente a Big Sur si era esaurita. Avevano girato l’interruttore e staccato la luce su Big Sur. Era un po’ triste. C’era ovviamente il solito misero traffico sulla Statale 1, ma da noi non si fermava nessuno. C’era qualcosa che li faceva fermare prima oppure proseguire oltre. Sapevo che se avessi mangiato ancora orecchie di mare, sa rei morto. Se solo mi fossi infilato in bocca un altro pezzetto di orecchia di mare, sapevo che l’anima mi sarebbe scivolata via come dentifricio e si sarebbe dissolta per sempre nell’universo.
Avevamo un po’ di speranza quella mattina, ma svanì subito. Lee Mellon andò a caccia sull’altipiano dov’era la vecchia casa. Non che sparasse male, ma era nervoso. A volte giravano i colombi intorno alla casa o le quaglie dalle parti della sorgente dov’era morto il vecchio anni prima. Lee Mellon prese le ultime cinque pallottole del calibro .22. Lo supplicai di prenderne solo tre. Su questo punto ci fu un bel po’ di discussione.
«Tienine due da parte» dissi.
«Ho fame» disse.
«Non le sparare tutte di seguito come un pazzo» dissi.
«Voglio una quaglia» disse Lee Mellon. «Un colombo o un coniglio grosso o un daino o una costoletta di maiale. Ho fame.»

Le pallottole del 30:30 erano finite da settimane e ogni giorno, nel tardo pomeriggio, i cervi uscivano sul pendio. A volte erano in venti o trenta, grassi e insolenti, ma non avevamo pallottole per il Winchester. Lee Mellon non riusciva ad avvicinarsi abbastanza per fare qualche apprezzabile danno con il .22. Una volta colpì una femmina nel culo e quella si trascinò fino ai cespugli di lillà e scomparve. Comunque lo supplicai di risparmiare un paio di pallottole
del .22 per un giorno di pioggia. «Magari domattina troviamo un cervo nell’orto» dissi. Ma Lee Mellon non ne voleva sapere. Potevo anche parlargli delle poesie di Saffo per quanto mi ascoltava. Salì la montagna fin sull’altipiano. C’era una stradina sterrata. Lui diventava sempre più piccolo sulla strada e anche le
nostre cinque pallottole del .22 diventavano sempre più piccole. Ormai me le immaginavo delle dimensioni di un’ameba denutrita. La strada faceva una curva dietro un boschetto di sequoie e Lee Mellon non ci fu più, e con lui tutte le pallottole che ci restavano al mondo. Non avendo di meglio da fare, né un posto dove andare, mi
misi a sedere sopra un sasso sul ciglio della statale ad aspettare Lee Mellon. Avevo un libro con me, una cosa sull’anima.

Il libro diceva che tutto andava bene se non morivi durante la lettura, se le tue dita restavano vive mentre voltavano le pagine. Io lo leggevo come un giallo. Passarono due macchine. Su una c’erano un ragazzo e una ragazza. La ragazza era carina. M’immaginai che erano partiti da Monterey all’alba dopo aver fatto una gran colazione nella
stazione del Greyhound. Il che non aveva molto senso. Perché avrebbero dovuto far colazione nella stazione del
Greyhound? Più ci pensavo e più mi sembrava improbabile. A Monterey c’erano altri posti per far colazione. Forse anche posti più belli. Il fatto che io avessi fatto colazione una mattina nella stazione del Greyhound di Monterey non significava necessariamente che il mondo intero facesse lo stesso.

La seconda auto era una Rolls Royce con l’autista e una vecchia seduta dietro. Lei era piena di pellicce e di diamanti, come se la ricchezza fosse un improvviso acquazzone primaverile che l’aveva coperta di quelle cose, anziché di pioggia. Che fortuna. Sembrò un po’ sorpresa di trovarmi seduto lì sopra un sasso come uno scoiattolo. Disse qualcosa all’autista e il finestrino si abbassò senza sforzo.

«Quanto dista Los Angeles?» chiese lui. Aveva una voce perfetta. Poi anche il finestrino dietro si abbassò senza sforzo come il collo di un cigno trasparente. 
«Siamo in ritardo di parecchie ore» disse lei. «Ma avevo sempre voluto vedere Big Sur. Quanto dista Los Angeles, giovanotto?».
«Da qui a Los Angeles c’è un bel po’» dissi.
«Centinaia di
chilometri. La strada è tutta curve fino a San Luis Obispo. Doveva prendere la 99 o la 101 se aveva fretta.» «Troppo tardi» disse lei.
«Spiegherò quel che è successo. Capiranno. Ha un telefono?»
«No, mi dispiace» dissi.
«Non abbiamo neanche la corrente.»
«Non fa niente» disse lei.
«Gli farà bene stare un po’ in pensiero per la nonnina. Sono dieci anni che non mi tengono in considerazione. Gli farà un gran bene. Anzi, avrei dovuto pensarci prima.»
Mi piacque il modo in cui disse «nonnina», perché tutto sembrava fuorché la nonna di qualcuno. Poi disse grazie in maniera simpatica e i finestrini si rialzarono senza sforzo e i cigni ripresero la migrazione verso sud. Mi salutò con la mano e sparirono oltre la curva verso la gente che li aspettava a Los Angeles, gente che diventava a ogni istante
più nervosa. Probabilmente era una buona cosa che si preoccupassero un po’ per lei. Dove sarà? Dove sarà? Dobbiamo chiamare la polizia? No, aspettiamo ancora cinque minuti. Cinque minuti dopo sentii il colpo sordo del .22 e poi di nuovo, e poi una terza volta. Che tremenda sfiga avere una carabina a ripetizione: un altro colpo e un altro ancora, poi più niente. Aspettai e Lee Mellon venne giù per la montagna. Lo vidi scendere lungo la stradina sterrata e attraversare la statale. Si tirava dietro la carabina come se fosse ridotta all’impotenza di un bastone.
«Be’?» dissi.

A fine pomeriggio Lee Mellon si alzò e mi venne accanto sulla passerella. «Tra un po’ è buio» disse. Fissava lo stagno. Era verde e inerme. «Ci vorrebbe la dinamite» disse. Poi andò nell’orto e tagliò un po’ di verdura per l’insalata. Quando ritornò aveva in faccia un’espressione malinconica. «Ho visto un coniglio nell’orto» disse.
Con un’enorme dose di autocontrollo mi levai di bocca e poi anche di mente la parola Alice. In realtà volevo dire: «Cosa c’è, Alice, non hai il coraggio?», ma mi costrinsi a prendere atto che le cinque pallottole non potevano tornare indietro. La cena quella sera non fu granché. Un po’ di verdura in insalata e dei sugarelli. Il proprietario del posto aveva portato i sugarelli per i gatti che gironzolavano da quelle parti, ma i gatti non li volevano mangiare. Era un pesce così orribile che preferivano fare la fame. E la fecero. Il sugarello ti sfascia. Non appena ti arriva allo stomaco, cominci a rumoreggiare e a gemere e a piegarti in due. Lo stomaco è attraversato orizzontalmente dai rumori che si sentono in una casa infestata durante un terremoto. Poi cominciano a uscirti scoregge e rutti inimmaginabili. Il sugarello ti esce quasi dai pori.

Dopo una cena di sugarelli, resti lì seduto e gli argomenti di conversazione sono drasticamente ridotti. Ho constatato che è impossibile parlare di poesia, estetica o pace nel mondo dopo aver mangiato del sugarello. Per fare di quel pasto una perfetta Hiroshima gastronomica, come dolce mangiammo un po’ del pane di Lee Mellon. Il suo
pane corrisponde perfettamente alla descrizione della galletta servita ai soldati durante la guerra di Secessione. Il che non è certo una sorpresa. Avevo imparato a tenere il viso perfettamente sull’attenti e
a salutare con gli occhi una tacita bandiera, la bandiera dello chef, ogni volta che Lee Mellon diceva: «Mi sa che è ora d’infornare un altro po’ di pane».

Mi c’era voluto un po’, ma ormai riuscivo a mangiarlo: duro come un sasso, privo di sapore e alto un dito, mandava in fumo tutte le ricette di Betty Crocker, come migliaia di soldati in marcia lungo una strada della Virginia, con chilometri e chilometri di campagna tutt’intorno.

http://www.affaritaliani.it/entertainment/brautigan_scrittore_usa_di_culto_torna_in_italia_senza_censure201109_pg_4.html

Richard Brautigan‘s A Confederate General from Big Sur, Dreaming … –

 

 

Richard Brautigan All Watched Over by Machines

I like to think (and
the sooner the better!)
of a cybernetic meadow
where mammals and computers
live together in mutually
programming harmony
like pure water
touching clear sky.

I like to think
(right now, please!)
of a cybernetic forest
filled with pines and electronics
where deer stroll peacefully
past computers
as if they were flowers
with spinning blossoms.

I like to think
(it has to be!)
of a cybernetic ecology
where we are free of our labors
and joined back to nature,
returned to our mammal
brothers and sisters,
and all watched over
by machines of loving grace.

Mi piace pensare

(esiterà!)

A una ecologia cibernetica

In cui saremo liberi dalle fatiche

E ricongiunti con la natura,

restituiti ai nostri

fratelli e sorelle mammiferi,

e tutti coccolati

da macchine di amorevole grazia

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