Campagna italiana di Grecia -La guerra sporca di Mussolini (documentario integrale, 2008) – La Badoglieide

Campagna italiana di Grecia

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Campagna italiana di Grecia

parte della seconda guerra mondiale

La situazione in Europa prima della Campagna dei Balcani e le fasi dell’invasione


Data

28 ottobre 194023 aprile 1941

Luogo

Albania, Grecia

La Campagna italiana di Grecia ebbe inizio il 28 ottobre 1940, quando le truppe del Regio Esercito italiano, partendo dalle proprie basi albanesi, entrarono in territorio ellenico. Le forze greche riuscirono a contenere l’offensiva iniziale italiana e succe

Cause

La Grecia era un paese tradizionalmente e storicamente legato alla Gran Bretagna, con un re anglofilo[8] ma governata da un regime nazionalista, ideologicamente molto vicino al fascismo, da cui aveva mutuato anche diverse esteriorità come, per esempio, il saluto romano, con a capo Ioannis Metaxas.

I primi attriti tra l’Italia e la Grecia risalivano all’agosto del 1923, quando una commissione guidata dal Generale Enrico Tellini, incaricata di delimitare il confine tra l’Albania e il paese ellenico, venne massacrata nei pressi di Ioannina. I rapporti tra le due nazioni divennero particolarmente tesi e portarono anche alla temporanea occupazione da parte di truppe italiane dell’isola di Corfù. Successivamente i rapporti si normalizzarono, fino ad arrivare nel 1928 alla firma di un trattato di amicizia tra i due paesi, trattato che però nel 1939 non venne rinnovato a causa dell’annessione dell’Albania al regno d’Italia e al desiderio greco di mantenere il proprio atteggiamento il più neutrale possibile dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale.

Nella decisione di attaccare la Grecia, Mussolini aveva preso in considerazione diversi aspetti politici: dopo le sfolgoranti vittorie ottenute dall’esercito tedesco, occorreva controbilanciare il peso sempre maggiore assunto dalla Germania nazista di Hitler all’interno del Patto d’Acciaio; inoltre, secondo i comandi militari, conquistare una base come la Grecia e le sue isole avrebbe contribuito a rafforzare notevolmente la presenza italiana nel Mediterraneo orientale; infine Mussolini, influenzato dal suo ministro degli Esteri Ciano che vantava amicizie tra le personalità influenti del governo greco, riteneva che l’invasione sarebbe stata favorita dalla corruzione di alcuni esponenti della dirigenza politica ellenica, che al momento opportuno avrebbero operato un rovesciamento del governo stesso[9].

Già da luglio lo Stato Maggiore dell’Esercito, in vista di un possibile conflitto nei Balcani contro la Grecia o contro la Jugoslavia, aveva studiato vari piani di intervento. Nell’ipotesi che le forze armate italiane attaccassero da sole il paese ellenico venne concluso che occorressero almeno venti divisioni, con i relativi rifornimenti necessari a sfamare e far combattere una così notevole massa d’uomini, da dislocare in Albania già prima dell’inizio delle operazioni. Una seconda versione del piano si limitava a considerare la sola invasione dell’Epiro e delle Isole Jonie e partiva dal presupposto che si avverasse almeno una delle seguenti ipotesi:

  1. Decisione greca di non opporsi all’occupazione;
  2. Intervento dell’esercito Bulgaro in Tracia;

Quest’ultimo studio valutava in undici Divisioni le forze necessarie a portare a termine l’operazione. Da questo documento venne poi derivato il piano operativo italiano, denominato Esigenza G.[10] L’11 agosto il ministro degli esteri Ciano convocò a Roma il generale Visconti Prasca, comandante delle truppe italiane di stanza in Albania, e gli rivelò che il duce intendeva occupare la Ciamuria raccomandandogli che le sue forze fossero pronte entro la fine del mese. Il giorno successivo, Mussolini stesso gli chiese se i reparti alle sue dipendenze fossero sufficienti per invadere l’Epiro, il Prasca si disse ottimista a patto di eseguire l’operazione entro poco tempo. Tutto questo avveniva all’insaputa dello Stato Maggiore dell’Esercito, e lo stesso capo di Stato Maggiore Generale Maresciallo Badoglio ne ebbe notizia da Visconti Prasca solo dopo l’incontro di questi con il duce. Cosciente delle difficoltà alle quali si sarebbe andati incontro sottovalutando l’operazione, il 17 agosto il maresciallo Badoglio invitò Visconti Prasca ad eseguire solo gli ordini impartiti dai vertici dell’esercito.[11]

Nel frattempo la tensione cresceva, l’11 agosto la stampa italiana iniziò a dedicare articoli alla figura di Daut Hoggia, un ciamuriota ricercato per un lungo elenco di delitti dalle autorità greche che venne trovato ucciso in quel periodo, presentandolo come un patriota che lottava per l’indipendenza della Ciamuria dalla Grecia.[12] Pochi giorni dopo, il 15 agosto 1940, mentre nella piccola isola di Tinos si svolgeva una tradizionale e popolarissima celebrazione dedicata al culto della Madonna, il sommergibile italiano Delfino rimanendo immerso lanciò tre siluri contro le navi presenti nel porto, una delle armi affondò il vecchio incrociatore posamine greco Elli (che partecipava in rappresentanza del Governo greco alla festività), mentre le altre due colpirono il molo. Alla fine dell’azione da parte greca si contarono un morto e ventinove feriti,[13] tuttavia l’Italia respinse l’accusa di aver aggredito proditoriamente un paese neutrale[14].

L’11 ottobre Mussolini venne informato che truppe tedesche sarebbero entrate in Romania e, furente per non essere stato consultato da Hitler, che pure gli aveva raccomandato di non programmare alcuna forma di intervento nei Balcani, decise di dare il via al piano per l’occupazione dell’Epiro. Il 14 ottobre in un incontro riservato a Palazzo Venezia Mussolini comunicò a Badoglio e a Roatta (sottocapo di Stato Maggiore dell’Esercito) l’intenzione di dichiarare guerra alla Grecia, i due generali fecero quindi presente la necessità di impiegare almeno venti divisioni, per il cui trasferimento in Albania sarebbero stati necessari almeno altri tre mesi,[15] il capo del governo si disse d’accordo e ordinò di cominciare i preparativi. Ma già il giorno successivo, nel corso di una riunione segreta alla quale erano presenti Mussolini, Ciano, Badoglio, Roatta, Visconti Prasca, Soddu e Jacomoni, quest’ultimo in veste di luogotenente del re in Albania, venne deciso che l’attacco avrebbe avuto luogo il 26 dello stesso mese. Venne quindi stilato un ultimatum che l’ambasciatore italiano ad Atene, Emanuele Grazzi, avrebbe dovuto consegnare al primo ministro greco poche ore prima dell’inizio dell’offensiva. Il 16 ottobre il capo di gabinetto del Ministero degli Esteri italiano Filippo Anfuso, si recò in Bulgaria per presentare allo zar Boris III una lettera di Mussolini in cui veniva comunicata l’intenzione italiana di attaccare la Grecia e veniva richiesto l’appoggio dell’esercito bulgaro all’operazione, la proposta venne però respinta.[17] Alla riunione del 15 ottobre non erano presenti i massimi rappresentanti dell’Aviazione e della Marina: il generale Pricolo e l’ammiraglio Cavagnari, quando vennero informati della decisione presa, i due protestarono ed ebbero dalla loro parte anche il generale Roatta. Recatisi il 17 mattino da Badoglio per esprimere la loro unanime contrarietà all’impresa, ebbero da quest’ultimo l’impegno a chiedere una nuova riunione a Mussolini in cui potessero esprimere le proprie perplessità, ma invece l’unico risultato che ottennero fu la decisione di posporre l’inizio dell’offensiva di due giorni al 28 di ottobre[18].

L’ultimatum

Alle 3:00 del mattino del 28 ottobre, come stabilito, Grazzi si presentò alla villa di Kifisià ove risiedeva Metaxas, per presentargli il testo dell’Ultimatum italiano. Nel documento si intimava al governo greco di consentire alle forze italiane di occupare, a garanzia della neutralità ellenica nei confronti dell’Italia e solo per la durata del conflitto con la Gran Bretagna, alcuni, non meglio specificati, punti strategici in territorio greco. Veniva inoltre precisato che “ove le truppe italiane dovessero incontrare resistenze, tali resistenze saranno piegate con le armi e il governo greco si assumerebbe la responsabilità delle conseguenze che ne deriverebbero“. Il termine ultimo per l’accettazione delle richieste italiane erano le 6:00 del mattino dunque, anche se Metaxas avesse voluto esaudirle, non avrebbe avuto il tempo materiale per avvertire il re e il consiglio dei ministri e impartire gli ordini a tutte le guarnigioni di frontiera. Terminato di leggere il documento Metaxas diede la sua risposta: «Alors, c’est la guerre»[19]. Quella mattina le truppe italiane di stanza in Albania varcarono il confine, avanzando su un fronte di 150 km dal monte Grammos al mare.

Forze contrapposte nella fase iniziale del conflitto

La ripartizione delle forze italiane in campo era la seguente:

In totale circa 45 battaglioni, nella zona della Macedonia Occidentale stava inoltre affluendo dalla frontiera con la Jugoslavia la 19ª Divisione fanteria “Venezia” (10.000 uomini), il cui 83º Reggimento, primo reparto della divisione ad arrivare in zona d’operazioni, completò il trasferimento il 30 di ottobre. Con il profilarsi del fallimento dell’offensiva, venne deciso di rischierare alla frontiera greca anche la 53ª Divisione fanteria “Arezzo”, inizialmente lasciata a copertura del confine con il regno di Jugoslavia.

Da parte loro, i greci contrapponevano in prima schiera, invece, i seguenti reparti:

  • In Epiro l’8ª Divisione rinforzata dalla 3ª Brigata di fanteria e da una di artiglieria, su 15 battaglioni, cui andavano però aggiunti i reparti da posizione;
  • Nella Macedonia Occidentale la 9ª Divisione di fanteria e la 4ª Brigata, su 22 battaglioni;
  • Nella zona del Pindo un distaccamento, su 2 battaglioni;

In totale 39 battaglioni, truppe già mobilitate e che potevano essere rinforzate in maniera piuttosto veloce attingendo ai 7 battaglioni posizionati in seconda schiera che costituivano la riserva, o spostando le truppe che stazionavano in prossimità del confine con la Bulgaria e la Turchia dopo che questi paesi dichiararono la propria neutralità. Di fatto nel giro di una settimana il comando greco poté cominciare a far affluire in zona le forze di due corpi d’armata.

Offensiva iniziale italiana (28 ottobre 1940 – 13 novembre 1940)

Per approfondire, vedi Battaglia di Elaia-Kalamas.

Gli italiani attaccarono la mattina del 28 ottobre, respingendo le poche truppe lasciate dai Greci a presidio della zona subito a ridosso del confine. Le Divisioni Ferrara e Centauro, mossero verso Kalpaki, mentre il Raggruppamento Litorale avanzava alla loro destra lungo la costa, riuscendo poi ad assicurare una testa di ponte oltre il fiume Kalamas. L’avanzata progrediva lentamente a causa delle pessime condizioni ambientali (era una mattina piovosa), con i carri L3 in grave difficoltà sulle colline e sulle piste invase dal fango.

Il 31 ottobre il bollettino numero 146 del Comando Supremo italiano annunciava: «Le nostre unità proseguendo l’avanzata nell’Epiro hanno raggiunto il fiume Kalamas in vari punti. Le sfavorevoli condizioni atmosferiche e le interruzioni create dal nemico in ritirata non rallentano il movimento delle nostre truppe». In realtà l’offensiva italiana si muoveva con difficoltà e senza il vantaggio della sorpresa, mentre anche l’apporto dell’aviazione veniva meno a causa del brutto tempo; la leadership era incerta e divisa da rivalità personali; le condizioni avverse del mare resero impossibile il previsto sbarco a Corfù.[21]

Entro il 1 novembre, dopo quattro giorni, gli italiani avevano preso Konitsa e raggiunto la principale linea fortificata greca. In quello stesso giorno, il Comando supremo italiano assegnò al teatro albanese la priorità su quello africano.[22]. Nonostante i ripetuti attacchi, gli italiani non riuscirono a spezzare le difese greche, tanto che il 9 novembre l’offensiva venne sospesa.

Una minaccia maggiore per lo schieramento difensivo greco proveniva dall’avanzata dei circa 10 000 uomini della 3ª Divisione Alpina Julia sulle montagne del Pindo in direzione del passo di Metsovo, posizione strategica la cui conquista avrebbe permesso di separare le forze greche dell’Epiro da quelle presenti in Macedonia. A causa della pericolosità delle conseguenze nel caso tale località fosse stata presa dagli Italiani, lo Stato Maggiore Greco inviò in rinforzo al settore l’intero II Corpo d’Armata. Gli alpini della Julia, dopo aver percorso 40 km di terreno montagnoso sotto un tempo inclemente, il 2 novembre riuscirono a catturare Vovousa, 30 km a nord dell’obiettivo Metsovo, ma era ormai chiaro che non avevano abbastanza forze e rifornimenti per proseguire l’avanzata dopo l’arrivo delle riserve greche.[23]

A partire dal 2 novembre, i contrattacchi greci portarono alla riconquista di diversi villaggi, tra cui anche Vovousa. Nei giorni seguenti gli alpini continuarono a combattere in terribili condizioni meteo e sotto la minaccia costante di rimanere accerchiati, mentre la divisione di cavalleria greca guidata dal generale Georgios Stanotas li manteneva sotto pressione. L’8 novembre, al generale Mario Girotti, comandante della divisione Alpina, arrivò l’ordine di far ripiegare le proprie truppe in direzione di Konitsa per un percorso che passava attraverso il monte Smólikas. Dopo aspri combattimenti, il 10 novembre gli alpini riuscirono a completare la ritirata, raggiungendo la cittadina di Konitsa e sottraendosi così definitivamente all’accerchiamento. A partire dal 13 novembre la zona di confine fu liberata della presenza italiana, ponendo fine alla “battaglia del Pindo” con una completa vittoria greca.

L’inattesa resistenza greca colse il Comando supremo italiano di sorpresa. Venne deciso di spedire diverse divisioni in Albania, ma il numero degli uomini che potevano essere sbarcati periodicamente nel paese delle due aquile era limitato dalla scarsa ricettività dei suoi porti tanto che per cercare di ovviare al problema si fece ricorso anche all’aviotrasporto, mentre i piani per gli attacchi sussidiari alle isole greche vennero definitivamente cancellati. Le difficoltà incontrate dal Regio Esercito spinsero a cercare anche un utilizzo massiccio dell’aviazione per fiaccare il morale sia delle truppe che della popolazione greca, mentre già il 9 novembre Mussolini, infuriato per la mancanza di progressi, avvicendò il comandante del Gruppo di Armate d’Albania sostituendo Prasca con il generale Ubaldo Soddu, già vice-ministro della guerra e vice-capo di Stato Maggiore Generale. Al suo arrivo, Soddu ordinò alle sue forze di attestarsi sulla difensiva. Era chiaro che l’invasione italiana era fallita.

Il 10 novembre 1940, durante una riunione tra Mussolini e i Capi di stato maggiore, il Maresciallo Pietro Badoglio fu insolitamente polemico: non poteva essere addebitata alcuna colpa né allo stato maggiore Generale, né a quello dell’esercito che, sin dal 14 ottobre avevano fatto presente i tempi e i modi necessari per portare a compimento l’intervento con sicurezza, senza essere ascoltati[24]. Mussolini non replicò, ma, nei giorni successivi, Badoglio fu oggetto di aspre critiche da parte del gerarca Roberto Farinacci, sul quotidiano “Regime Fascista”. Il Maresciallo presentò allora le dimissioni dalla carica di Capo di Stato Maggiore Generale, che ricopriva ininterrottamente da oltre quindici anni. Il 4 dicembre 1940 le dimissioni furono accettate da Mussolini, che nominò al suo posto il generale Ugo Cavallero.

Le truppe impegnate nella campagna includevano diverse migliaia di soldati di etnia albanese che prestavano servizio in battaglioni albanesi aggregati alle divisioni italiane oppure raggruppati nella Milizia Fascista Albanese, che faceva capo alla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (le “Camicie nere”). La loro performance non fu decisamente brillante, essendo caratterizzata da sbandamenti, passaggi di interi reparti al nemico con conseguente cessione di settori di fronte, e da un altissimo numero di diserzioni,[25] come conseguenza i comandanti italiani, tra cui Mussolini, in seguito utilizzeranno i reparti albanesi come capro espiatorio per il fallimento dell’invasione.[26]

Controffensiva greca e stallo (14 novembre 1940 – 8 marzo 1941)

L’inattività alla frontiera bulgara permise al Comando Supremo greco di trasferire la maggior parte delle proprie truppe verso il fronte albanese. Il 14 di novembre il Generale Alexandros Papagos, forte di una superiorità di 232.000 uomini contro circa 125.000 italiani, lanciò la sua controffensiva.[27] L’attacco, portato in direzione di Coriza, sfondò le difese italiane il 17, la stessa Coriza cadde il 22. Il Comando Italiano conscio della gravità della situazione, ordinò alle proprie truppe di ripiegare, abbandonando anche quelle limitate porzioni di territorio greco che ancora si occupavano in Epiro, e attestarsi lungo una nuova linea difensiva all’interno dell’Albania. La manovra aveva lo scopo di accorciare sensibilmente il fronte per permettere di raggruppare i pochi reparti disponibili onde cercare di contenere l’offensiva ellenica.[28]

In questo frangente Mussolini pronunciò la frase:

« Dissi che avremmo spezzato le reni al Negus. Ora, con la stessa certezza assoluta, ripeto assoluta, vi dico che spezzeremo le reni alla Grecia. »
(Benito Mussolini, 18 novembre 1940)

Il 4 dicembre il generale Soddu nel corso di una telefonata con il generale Guzzoni, dichiarandosi pessimista sulle possibilità italiane di contenere l’offensiva ellenica, prospettò una soluzione politica per la guerra in corso, Mussolini interpretò le parole come la richiesta della firma di un armistizio con la Grecia.[29] Nell’occasione il duce dichiarò ai suoi collaboratori:

« Piuttosto che chiedere l’armistizio alla Grecia è preferibile partire tutti per l’Albania e farci uccidere sul posto »
(Benito Mussolini[9])

Dopo la telefonata il generale Cavallero venne mandato in Albania e dal 29 dicembre sostituì Soddu, prendendo il comando delle truppe italiane impegnate contro i Greci.[30] Nel frattempo l’avanzata ellenica continuava, dopo duri combattimenti veniva catturato il porto di Santi Quaranta, seguito dalle cittadine di Pogradec, Argirocastro e Himara alla vigilia di Natale, praticamente l’intera area meridionale dell’Albania risultava occupata. L’esercito ellenico, di lì a poco, riuscì anche ad impadronirsi del passo di Klisura di grande importanza strategica. Tuttavia i Greci non furono in grado di sfondare verso Berat, mentre anche la loro offensiva portata in direzione di Valona fallì. Entro la fine di gennaio del 1941, avendo gli italiani riguadagnato la superiorità numerica sul campo, la spinta offensiva greca ebbe termine.

La seconda offensiva italiana e l’attacco tedesco (9 marzo 1941 – 23 aprile 1941)

Per approfondire, vedi Operazione Marita e Invasione della Jugoslavia.

Fasi finali della guerra, aprile 1941

Il fronte si stabilizzò, in quanto entrambi gli avversari non erano abbastanza forti per modificare lo stallo che si era venuto a creare. Gli italiani, dal canto loro, volendo ottenere qualche successo in questo teatro di guerra prima dell’intervento tedesco, ammassarono le loro forze per lanciare una nuova offensiva, denominata in codice “Primavera”. Sotto la supervisione personale di Mussolini venne portato un attacco in direzione della Val Desnizza con obiettivo il passo di Klisura. L’assalto, durato dal 9 al 16 marzo, non riuscì però nell’intento di sfondare la linea di difesa ellenica sul Mali Scindeli e ottenne solo piccoli successi: come la conquista dell’Himara, dell’area del Mali Harza e del monte Trebescini vicino a Berat[31]. Una nuova offensiva era in preparazione da parte italiana, ma il 27 marzo il colpo di stato del generale Simović in Jugoslavia costrinse il comando italiano a ritirare varie divisioni dal fronte greco per guarnire la frontiera tra l’Albania e la Jugoslavia, i piani per nuovi attacchi contro l’esercito ellenico vennero quindi rimandati a dopo l’intervento tedesco. Da quel momento fino al 6 aprile, quando ebbe inizio l’attacco tedesco, non vi furono più variazioni significative del fronte.

I greci, nonostante i successi ottenuti, si trovavano ora in una situazione pericolosa, avendo dislocato 15 delle loro 21 divisioni sul fronte albanese[32], lasciando così relativamente scoperti tutto il tratto di confine con la Jugoslavia oltre alla linea fortificata posta a difesa del territorio a ridosso della Bulgaria, zona da cui sarebbe poi partito l’attacco tedesco. I britannici ed alcuni alti esponenti greci sollecitarono l’arretramento dell’esercito dalle posizioni tenute in Albania, in modo da concentrare le truppe lungo una nuova linea di difesa che essendo più corta, avrebbe permesso di contrastare in maniera più efficace l’offensiva nazista. Tuttavia, un sentimento d’orgoglio nazionale prevalse sulla logica militare e non si vollero abbandonare le posizioni duramente conquistate. Pertanto la maggior parte del esercito greco venne lasciato in Albania, mentre l’attacco tedesco si avvicinava.[32]

Il 6 aprile la Wehrmacht diede inizio alle operazioni belliche contro la Jugoslavia e la Grecia, di conseguenza a partire dall’8 aprile i greci ripresero la loro offensiva contro gli italiani, contando sul concomitante appoggio delle forze armate Jugoslave, ma senza risultati. Già dal 12 aprile, il Comando Supremo greco, allarmato per la rapida avanzata delle truppe tedesche, ordinò di ritirarsi dall’Albania. Il 14 i reparti Italiani, impegnati in continui scontri con le retroguardie greche, ripresero Coriza, seguita da Ersekë tre giorni dopo. Il 19 aprile gli italiani raggiunsero le coste greche del lago di Prespa e il 22 aprile una compagnia del 4º Reggimento Bersaglieri arrivò al ponte di Perati.

La Jugoslavia si arrese il 17 aprile, mentre il giorno dopo reparti motorizzati della SS Leibstandarte Adolf Hitler catturarono il Passo di Metsovo. Il 19 aprile i tedeschi presero anche Ioannina, completando così l’accerchiamento delle due armate greche schierate contro gli Italiani. Consapevole di quanto fosse disperata la situazione, il 20 aprile il Tenente Generale Georgios Tsolakoglu, in accordo con diversi altri alti ufficiali, ma senza l’autorizzazione del comandante in capo dell’esercito Papagos, offrì la resa alla sola Germania rappresentata dal Generale Sepp Dietrich, cercando così di evitare di dare una soddisfazione simile agli italiani[33]. I termini di resa erano decisamente vantaggiosi: i soldati greci non sarebbero stati presi prigionieri, e gli ufficiali avrebbero potuto mantenere il loro armamento personale. Questi accordi non vennero però ritenuti validi dal comandante delle truppe tedesche in Grecia Feldmaresciallo List, che il 21 stese, e fece ratificare, una nuova versione dell’armistizio in cui veniva indicato che i greci sarebbero stati trattati come prigionieri di guerra.

Mussolini, però, infuriato per quell’atto unilaterale, non ne accettò i termini e protestò con Hitler, ottenendo la modifica del documento e che la cerimonia fosse ripetuta il 23 aprile alla presenza di rappresentanti italiani. Una delle ultime azioni a cui presero parte dei soldati italiani in questo teatro bellico ebbe come obiettivo il possesso delle isole Ionie, il 28 aprile un nucleo di soldati trasportati sul posto da alcuni idrovolanti accettarono la resa del presidio di Corfù, mentre il 30 aprile elementi del II battaglione paracadutisti si aviolanciarono sull’isola di Cefalonia occupandola, successivamente utilizzando dei natanti trovati in loco presero possesso anche dell’isola di Zante. Il 3 maggio un’imponente parata italo-tedesca ad Atene celebrò la vittoria delle potenze dell’Asse.

La delimitazione delle zone di occupazione

 

Con la firma della resa e la successiva conquista dell’isola di Creta, il paese ellenico venne suddiviso tra le forze italiane, tedesche e bulgare:

Ad Atene venne instaurato un governo militare greco, sottoposto al controllo della Germania e dell’Italia, con alla guida il Generale Tsolakoglu.

Documentario sui crimini di guerra italiani durante l’occupazione della Grecia (1940-1943), con focus sulla strage di Domenikon, in Tessaglia, e riferimenti ad altri crimini compiuti dal Regio esercito in Jugoslavia e Africa. Regia di Giovanni Donfrancesco. Consulenza storica di Lidia Santarelli.

Con la partecipazione di Stathis Psomiadis (nipote di uno dei trucidati di Domenikon) e alcuni superstiti del massacro, e interventi di storici come Filippo Focardi, Lutz Klinkhammer e altri, oltreché del sostituto procuratore militare Sergio Dini.

Una coproduzione GA&A Productions e ERT, in associazione con Fox Channels Italy, RTI e Histoire e in collaborazione con la Radiotelevisione della Svizzera Italiana.

http://lucatleco.wordpress.com/2012/11/12/la-guerra-sporca-di-mussolini-documentario-integrale-2008/

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