Ilaria-Alpi, Miran-Hrovatin


Ilaria Alpi e Miran Hrovatin – Un caso italiano

Questa è la storia di due giornalisti italiani che stavano raccontando la Somalia negli anni della guerra civile, scoppiata dopo la caduta del regime socialista avvenuta nel 1991. Lei, Ilaria Alpi, è inviata del TG3. Invece lui, Miran Hrovatin, è esterno alla Rai. È un triestino che lavora come cameraman e fotografo in zone di guerra, e già aveva collaborato con Ilaria Alpi nei Balcani.

di Gabriele Cruciata – 3 dicembre 2013

Ci sono persone che provano un certo sentimento di venerazione nei confronti della verità. Non importa cosa riguardi questa verità: può essere una verità banale, una verità poco interessante, o ancora una verità scomoda, ma loro- questi individui- saranno sempre disposti a cercarla e poi a raccontarla. Ma quando la verità che trovano è davvero grande, allora iniziano ad essere in pericolo; e infatti le storie di queste persone sono spesso le storie di moderni martiri offertisi all’altare della giustizia e della cronaca.

Questa è la storia di due giornalisti italiani che stavano raccontando la Somalia negli anni della guerra civile, scoppiata dopo la caduta del regime socialista avvenuta nel 1991. Lei, Ilaria Alpi, è inviata del TG3: romana, ha lavorato per testate sempre più importanti, aprendo davanti a sé una promettente carriera. Approda per la prima volta in Somalia nel 1993: prima di allora era stata corrispondente in Francia, in Marocco, a Belgrado e a Zagabria. Invece lui, Miran Hrovatin, è esterno alla Rai. È un triestino che lavora come cameraman e fotografo in zone di guerra, e già aveva collaborato con Ilaria Alpi nei Balcani. L’11 marzo 1994 i due partono insieme da Pisa per andare a raccontare Mogadiscio: per Ilaria è la quarta missione somala.

Pochi giorni dopo, il 20 marzo 1994, i giornalisti inviati nella capitale somala raccontano la partenza del contingente italiano, giunto in Somalia alla fine del 1992 per via di una missione di pace guidata dall’ONU. Ma Ilaria e Miran non seguono l’avvenimento, perché stanno indagando. Nei giorni precedenti hanno fatto varie interviste in tutto il Paese, e il 15 marzo hanno scoperto che una nave, la Faarax Oomar, è stata sequestrata dai ribelli somali. Questa notizia dà loro la conferma di quanto avevano già sospettato: la Shifco, la compagnia cui appartiene questa nave, non trasporta pesce, come sostiene ufficialmente, ma armi e rifiuti tossici. La prova schiacciante non è solo la ripresa, da parte di Hrovatin, delle operazioni di carico e scarico di una di queste navi, ma anche- e soprattutto- l’intervista al sultano di Bosaso, che conferma gli illeciti compiuti dalla compagnia navale somala con sede in Italia.

Quel 20 marzo 1994, intorno alle 14:45, i due salgono su un’automobile, insieme ad un autista e ad una guardia del corpo armata. Fanno vari giri, ma non trovano nessuno, perché tutti gli altri giornalisti se ne sono andati, allertati dalla pericolosità del territorio. Mentre continuano a girare, alle 15:10 la loro automobile è bloccata da una Land Rover dalla quale escono due uomini armati. Vengono esplosi alcuni colpi, ed Ilaria e Miran muoiono pressoché all’istante, mentre l’autista e la guardia del corpo ne escono illesi.

Sul luogo accorrono molte persone, tra cui Giancarlo Marocchino, un trasportatore italiano trasferitosi in Somalia che subito dichiara “Allora non è stata una rapina; si vede che sono stati in certi posti dove non dovevano andare”. La salma di Hrovatin torna subito a Trieste, senza che venga eseguito alcun accertamento: gli effetti personali verranno restituiti solo dopo mesi; alcune sue registrazioni sono sparite. Stesso dicasi per Ilaria Alpi, i cui taccuini spariscono nel nulla: alcuni suoi appunti vengono trovati presso la sede della Rai a Roma. In quest’ultimi si legge:”1400 miliardi di lire: dove è finita questa impressionante mole di denaro?”.

Intanto in Italia iniziano le indagini e viene istituita una Commissione Parlamentare d’inchiesta. La verità ufficiale proposta dalla maggioranza di centrodestra opta inizialmente per il movente del fondamentalismo islamico, salvo poi modificarlo in quello- apparentemente più solido- della rapina. La Commissione di minoranza, invece, propone la versione dell’agguato teso per motivi di “oscurantismo”: qualcuno avrebbe assoldato i killer per uccidere due testimoni scomodi.

A favore di questa seconda ipotesi giocano, oltre ad una serie di fattori tra cui anzitutto i tagli- netti ed evidentissimi- all’intervista al sultano di Bosaso, la sparizione di numerosi documenti e l’esistenza di singolarissime coincidenze, tra cui la morte improvvisa e violenta di altri personaggi vicinissimi ai due giornalisti. Vengono uccisi in poco tempo Mandolini e Li Causi, agenti segreti italiani all’epoca in contatto con Ilaria; muore nel 2002, assassinato da ignoti, l’autista dei due- nonché testimone oculare della vicenda. Sparisce l’auto su cui viaggiavano, ed è quindi impossibile analizzarla: quando sembra essere stata ritrovata, viene prontamente mandata in Italia. Ma l’automobile non è la stessa: il colore degli interni e altri dettagli non coincidono. Insomma, una serie di curiose coincidenze che non vengono minimamente considerate dalla relazione di maggioranza, che per il tramite del proprio Presidente, l’avvocato Taormina, il 7 febbraio 2006 sentenzia:

La gente deve sapere che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin non erano depositari di alcun segreto […]. È falso che i due giornalisti fossero a conoscenza di cose inenarrabili nei campi della cooperazione, del traffico di armi, del trasporto di rifiuti. […] Nulla hanno mai saputo, e in Somalia, dove si recarono per seguire la partenza del contingente italiano, passarono invece una settimana di vacanza, conclusasi tragicamente senza ragioni che non fossero quelle di un atto delinquenziale comune”.

 

Peccato, però, che un bel documentario francese, Toxic Somalia, di Paul Moreira, abbia ricostruito le vicende dei due giornalisti, riprendendo le indagini laddove essi furono bloccati. Risultato: nel 1996 un magistrato di Asti, Luciano Tarditi, ha rivelato l’esistenza di prassi ben consolidate per lo smaltimento illecito di rifiuti tossici. Le industrie del nord Italia, attraverso un complesso sistema malavitoso, interravano enormi quantità di fusti contenenti materiali altamente nocivi. A capo del sistema vi erano figure come quelle di Guido Garelli, specialista di rifiuti tossici, Ezio Scaglione, ex console onorario in Somalia, il già citato Giancarlo Marocchino, e l’ex Presidente della Somalia, Ali Mahdi.

Per non parlare di figure quali Orazio Duvia, spezzino, e di Giorgio Comerio, imprenditore nella cui abitazione viene ritrovato il certificato di morte di Ilaria Alpi, scomparso da anni. Comerio era l’ideatore di un sistema alquanto singolare di smaltimento di rifiuti tossici. Egli faceva volontariamente affondare le proprie navi, al cui interno vi erano migliaia di fusti destinati a finire in fondo al mare. Tra l’altro, muore misteriosamente, nel dicembre del 1995, il Capitano Natale De Grazia, che proprio sugli illeciti di Comerio stava indagando.

Ad oggi, la giustizia sostiene ancora che Ilaria Alpi e Miran Hrovatin siano stati vittime di un agguato a sfondo delinquenziale, e non di un killer assoldato. Ed è sorte comune, l’essere sminuiti, a chi lotta contro l’ingiustizia.

http://www.lintellettualedissidente.it/societa/ilaria-alpi-miran-hrovatin-caso-italiano/

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