31 gennaio 1968 Guerra del Vietnam: I Viet Cong attaccano l’ambasciata statunitense a Saigon

parte l’offensiva del Tet, L’offensiva è stata lanciata il 30 gennaio, quando le forze comuniste hanno attaccato Saigon, Hue, cinque delle sei città autonome, 36 di 44 capoluoghi di provincia, e 64 su 245 capoluoghi di distretto

L`offensiva dei Vietcong

  • 31/01/1968 –

Vietnam. Durante la notte, 80mila vietcong fanno irruzione in oltre cento citta’ sudvietnamite tra cui Saigon: cadono Hue, Dalat, Kon Tum, Can Tho e Quang Trei. Nella capitale del Vietnam del Sud, l’ambasciata degli Stati Uniti, considerata imprendibile, viene attaccata e occupata per sei ore. L’offensiva del Tet solleva per la prima volta negli Stati Uniti, a livello di massa, interrogativi sulla opportunità dell’intervento in Vietnam. Nel corso dell’offensiva del Tet, l’1 febbraio 1968, il generale Nguyen Ngoc Loan, giustizia a Saigon un guerrigliero vietcong catturato e la foto diviene il simbolo dei tempi.

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30-31 gennaio 1968: l’offensiva del Tet. Gli americani e la sconfitta mediatica in Vietnam

Ogni guerra ha il suo fronte interno. Il fronte del consenso e dell’opinione pubblica. Più o meno, nei secoli, è sempre stato così. E così continuerà ad essere. Un fronte tutto giocato su la propaganda, su la comunicazione, dai media. La guerra è giusta, la vittoria è vicina, Dio è con noi, etc. etc. Tutti proclami che servono a far immolare giovani corpi per la patria e per rassicurare chi è rimasto a casa. Ogni paese, ogni nazione, ha la sua narrazione del conflitto in atto, la sua rappresentazione mediatica. Rappresentazione che regge fino a che la realtà, un’altra realtà, non irrompe con tutta la sua carica shockante, mandando in frantumi la cortina dell’informazione d’apparato costruita da comunicati stampa e veline dello Stato Maggiore, dai briefing, trasmessi acriticamente dai media ed avvallati politicamente dalle classe dominante. Succede così che, mediaticamente, le sorti di una guerra si trovino a dipendere non tanto e solo dall’andamento delle operazione belliche, ma anche da episodi ed eventi, in se marginali.

Successe così per la Guerra del Vietnam (combattuta tra il 1964 e il 1975), quarant’anni fa, con la cosiddetta Offensiva del Têt, lanciata, dai nord vietnamiti e dai vietcong contro il sud del paese, controllato dagli USA, tra il 30 e il 31 gennaio del 1968.

Per quanto già dall’inizio del conflitto (1964), e negli anni successivi (1966, 1967), all’interno degli Stati Uniti ci fossero voci critiche rispetto all’intervento in Vietnam e all’intensificazione del consiglio, pensiamo soprattutto ai campus universitari, in generale però il grosso dell’opinione pubblica o era favorevole, o quanto meno pensava fosse finita presto, dato la disparità delle forze in campo. In generale diciamo c’era un fiducia diffusa, sia tra i civili, sia tra i militari coinvolti, rispetto agli esiti positivi del conflitto. Ma già dal 1967 si cominciavano a vedere le prime crepe. Tanto che lo stesso presidente Johnson e la sua squadra di saggi in ottobre discutevano su come riunire il popolo statunitense attorno allo sforzo bellico, e la risposta era fornire rapporti militari più ottimistici, giustificando l’incremento delle truppe con un’imminente vittoria, in virtù del considerare il nemico sull’orlo del collasso. Insomma, la fine era vicina.

Ma questa visione e la fede che vi riponeva l’opinione pubblica americana crollo quando il nemico dato già per spacciato lanciò un’offensiva, che prese il nome dalla più importante festività vietnamita, Tết Nguyên Ðán, il capodanno vietnamita, attaccando a sorpresa tutte le città principali del Vietnam del sud e la base statunitense di Khe Sanh. L’offensiva non ottenne successi militari, i nord vietnamiti e i vietcong non sfondarono da nessuna parte. Mediaticamente però fu la dimostrazione che il nemico era tutt’altro che domo e che la vittoria era lontana a venire, e dopo quasi 4 anni ormai, forse, anche impossibile.

L’impatto sull’opinione pubblica e sui mass media fu quindi molto forte. Si indebolì infatti non solo la fiducia generale degli americani, ma lo stesso morale dei soldati comincia a collassate: molti dal 1968 in poi furono coloro che si rifutarono di partire o che disertarono. Di contro si rafforzarono le posizioni e le idee contrarie alla guerra e alla politica imperialista degli usa. Una guerra le cui finalità erano sempre più oscure, una guerra che sembrava non avesse fine.

Una guerra sempre più percepita come ingiusta, negli Usa, come nel resto del mondo. Non a caso le proteste contro la guerra in Vietnam e le simpatie crescenti verso la causa dei vietcong furono uno dei temi fondamentali del ’68, forse il Vietnam, il primo conflitto ad andare in diretta televisiva, fu l’elemento che internazionalizzò il ’68. Simpatie che vedevano nel conflitto l’eterna lotta del debole contro il forte, del bene contro il male, del popolo contro l’impero: del popolo contro il capitale.

Ma questa inversione di ruoli (all’inizio erano gli Usa i buoni che andavano a combattere il male comunista in Indocina), questa inversione del punto di vista dell’opinione pubblica sulla guerra in Vietnam, come spesso accade, fu determinata da un’immagine. Da uno scatto, da una foto: del resto la lezione è nota, dalla bandiera di Hiwo Jima, al cormorano ricoperto di petrolio.

Il 1° febbraio, durante le prime fasi dell’Offensiva del Têt, l’americano Eddie Adams (1933 – 2004), in Vietnam per l’Associated Press, fotografò per le strade di Saigon l’esecuzione sommaria di un sospetto ufficiale Viet Cong, da parte da uno dei capi della polizia nazionale sudvietnamita (alleati degli USA), Nguyen Ngoc Loan. Loan sparò in testa al sospettato, sulla pubblica piazza, davanti a dei giornalisti.

La foto fece presto il giro del mondo (nel 1969 vinse il Pulitzer Prize for Spot News Photography) e contribuì ad influenzare l’opinione pubblica contro la guerra.

Adams, anni dopo, ebbe modo di dire:

The general killed the Viet Cong; I killed the general with my camera. Still photographs are the most powerful weapon in the world. People believe them; but photographs do lie, even without manipulation. They are only half-truths

Solo mezza verità. È questo, non di più, ciò che un’immagine, nel bene o nel male, può dare. E sempre bene ricordarsene e tenerne conto. Soprattutto in un epoca, come la nostra, in cui le immagini dettano totalmente i nostri stessi, ritmi di vita. 24 ore su 24.

Diventa così oltremodo importante la necessità di costruire, rispetto alle narrazioni dominanti, immaginari alternativi. Immaginari che di contro però trovano proprio nelle immagini, fotografiche od audiovisive che siano, nella loro carica emotiva, l’inevitabile nutrimento.

Lucio Baoprati

per Senza Soste.it

gennaio 2008

http://www.senzasoste.it/speciali/30-31-gennaio-1968-loffensiva-del-tet-gli-americani-e-la-sconfitta-mediatica-in-vietnam


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