il triangolo marrone e I rom nell’Europa neoliberale: antiziganismo, povertà e i limiti dell’etnopolitica

Simboli dei campi di concentramento nazisti

Pubblicato il 27 gennaio 2012 da admin

http://it.wikipedia.org/wiki/Simboli_dei_campi_di_concentramento_nazisti

http://www.terranews.it/news/2010/09/il-triangolo-marrone-la-dura-storia-di-rom-e-sinti

 

Triangolo giallo

Triangolo rosa

Triangolo nero

Triangolo marrone

Triangolo viola

Triangolo verde

Triangolo blu

più altre sottocategorie : P Polacco, T cecoslovacco, donna ariana con relazione interraziale uomo ebreo con relazione interrazziale

bracialle marrone al braccio di detenuti speciali

http://www.controappuntoblog.org/2012/01/27/simboli-dei-campi-di-concentramento-nazisti/

SHOAH

La persecuzione degli zingari da parte del fascismo

http://www.bibliolab.it/landolfi_shoah/shoahitalia/deportazionezingari1.htm

I rom nell’Europa neoliberale: antiziganismo, povertà e i limiti dell’etnopolitica

Saggio apparso in Razzismo Democratico

, a cura di Salvatore Palidda, Agenzia X, 2009.[Indice del volume: http://www.meltingpot.org/IMG/pdf/razzismo_ml.pdf]

I rom nell’Europa neoliberale: antiziganismo, povertà e i limiti dell’etnopolitica

Nando Sigona, Refugee Studies Centre, Università di Oxford

 Introduzione

A venti anni dalla fine dell’Unione Sovietica e dopo dieci anni di programmi di assistenza comunitari ai paesi dell’ex Patto di Varsavia al fine di prepararne l’ingresso nell’Unione Europea, la situazione dei rom in Europa centro orientale rimane drammatica.Milioni di euro in progetti di intervento per favorire l’inclusione sociale di questa minoranza non hanno prodotto gli effetti desiderati, anzi i rom oggi sono forse ancora più ai margini di quanto non lo fossero venti anni fa.Anche la situazione dei rom in Europa occidentale è grave. Il record di condanne ricevute dalla Gran Bretagna da parte dalla Corte Europea per i Diritti Umani in casi che riguardano appartenenti alla comunità zingara inglese, i campi nomadi costruiti dalle autorità italiane che secondo l’ONU e numerose organizzazioni internazionali (per esempio ECRI2002, 2006; ERRC 2000; OSCE 2009) sono il prodotto di pratiche amministrative razziste,gli attacchi ai rifugiati rom da parte di gruppi neo-nazisti in Germania e in Italia da parte di fascisti, nordisti e delinquenti di ogni sorta, oltre ai tassi di disoccupazione e sottooccupazione dei rom ben al di sopra della media dei rispettivi paesi, sono la testimonianza di quanto la persecuzione dei rom abbia una dimensione europea.

Povertà e antiziganismo

I nuovi assetti geopolitici che hanno ridisegnato la mappa dell’Europa dopo la caduta del muro di Berlino sono stati accompagnati dall’affermazione e dal consolidamento in tutto il continente, ma più marcatamente nell’Unione europea e nei suoi nuovi satelliti, della logic aeconomica neoliberale

. La gestione dei paesi che ha seguito tale ispirazione ha spinto in maniera crescente ai margini e impoverito gruppi di popolazione che per varie ragioni non hanno trovato alcuna collocazione stabile, pacifica e regolare nel nuovo assetto proprio perché segnato dall’instabilità: tra questi milioni di rom, per i quali disoccupazione cronica e l’esclusione sociale sono diventati la norma.

Il processo di pauperizzazione dei rom inizia negli anni ‘90, all’apice del trionfo neoliberale. Proprio allora, mentre alcuni beneficiavano del nuovo benessere, il reddito delle famiglie rom crollava insieme alla chiusura delle fabbriche di stato e alla riduzione drastica dell’impiego da parte delle amministrazioni pubbliche

. L’ex-presidente della BancaMondiale, James Wolfensohn, tra i principali sostenitori, insieme al finanziere e filantropo George Soros, della “Decade per l’Inclusione Sociale dei Rom” (Wolfensohn e Soros 2003affermava:

I rom sono stati tra coloro che hanno perso di più nella transizione dal comunismo a partire dal 1989.Agli inizi degli anni “90 sono stati i primi a perdere il lavoro, successivamente gli è stato impedito di rientrare nella forza lavoro a causa della loro formazione professionale insufficiente e di una pervasiva discriminazione.

Il caso dell’Ungheria, uno dei paesi più economicamente avanzati dell’ex blocco socialista, è emblematico: nel 1985, il tasso di occupazione degli uomini appartenenti alla minoranza romera quasi pari a quello del resto della popolazione maschile; oggi, invece, si stima che almenoil 70% degli uomini rom sia disoccupato (Kertesi 2005)

.Il tasso di povertà dei rom nei paesi dell’Europa centro orientale è spesso anche dieci volte superiore a quello degli altri cittadini. Nel 2000, quasi l’80% dei rom in Bulgaria e Romania vivevano con meno di 4 euro al giorno, in contrasto con il 37% del resto della popolazione in Bulgaria e il 30% in Romania. Mentre in Ungheria solo il 40% dei rom viveva sotto la soglia dei 4 euro, dato che va però comparato al 7% del resto della popolazione. Questi dati,combinati con l’alto tasso di natalità, lasciano presagire un’ulteriore crescita della povertà(Ringhold et al. 2003; UNDP 2002). Non sorprende pertanto che, secondo una ricerca UNDP(2002), la maggioranza dei rom nei paesi dell’Europa centro orientale rimpianga il passato e ritenga peggiorate le proprie condizioni di vita (vedi figura 1).

 

Elaborazione dell’autore su dati UNDP 2002

La marginalità sociale dei rom ha anche una sua dimensione – micro e macro -spaziale, nel senso che le comunità rom spesso si collocano in spazi urbani marginali e degradati, come accade per esempio in Italia, o in zone meno sviluppate, per esempio in Ungheria i rom sono concentrati soprattutto nelle regioni orientali e meridionali, in Slovacchia si concentrano nella regione sud-orientale, e in repubblica Ceca vivono nella parte orientale.Oltre alle tensioni strutturali dovute alla rapida trasformazione economica, la transizione al liberismo nei paesi ex-socialisti è stata caratterizzata anche dalla ricerca di miti fondatori che ridefinissero la relazione tra stato e nazione dopo la caduta dell’ideologia comunista (Brubaker 1996)

. In tale contesto, i movimenti nazionalisti hanno acquisito forza crescente e con essi anche numerosi gruppi di estrema destra razzista e xenofoba che sono riusciti a ritagliarsi spazi crescenti nella vita politica di quasi tutti i paesi europei. Questo complessivo slittamento a destra, dovuto anche alla confusione esistente nel campo social-democratico, ha reso i rom, minoranza debole e priva di una significativa rappresentanza politica, uno degli obiettivi privilegiati di campagne razziste, talvolta culminate in aperte manifestazioni di violenza.Il razzismo contro i rom pertanto non riguarda solo alcune frange estremiste.

 I sondaggi Eurobarometro (2007, 2008) mostrano quanto diffusi siano i pregiudizi e gli stereotipi su questa minoranza. Il 77% dei cittadini europei ritiene uno svantaggi oappartenere alla minoranza rom e il 24 % troverebbe sconveniente avere come vicino di casa un rom. Tale dato sale al 47% in Italia e repubblica Ceca, dove solo una persona su dieci afferma di non avere alcun problema ad abitare vicino ad un rom.

I dati della ricerca dell’ISPO (2008) condotta in Italia su commissione del Ministero dell’Interno offrono un quadro ancora più preoccupante, confermando lo scetticismo espresso da alcuni esperti e attivisti rom circa l’attendibilità dei dati dell’Eurobarometro.Secondo il rilevamento ISPO, gli italiani hanno un’immagine estremamente negativa dei rom:il 47% degli intervistati li vede prevalentemente come ladri, delinquenti e sfaccendati, il 35% lega la loro immagine ai campi nomadi, al degrado e alla sporcizia. Secondo Michael Guet(2008: 5), capo della divisione del Consiglio d’Europa che si occupa delle comunità rom inEuropa:

Lo scandalo di questi dati che rivelano la percezione estremamente negativa dei rom in tutte le societàeuropee diventa chiara non appena la si compara a quella di altri gruppi minoritari. Mentre il dibattito sociale e politico su tutte le forme di anti-semitismo e xenophobia può contare su vari strumenti, a partireda programmi educativi fino ad azioni di advocacy con l’intervento di attori politici, della società civile ma anche azioni legali, l’antiziganismo rimane una cosa quasi normale, alla quale non si presta alcuna attenzione. La stessa mancanza per decenni di un termine per descrivere il risentimento contro i rom ne è un indicatore.

Questa assenza di interesse per le forme di persecuzione e discriminazione dei rom ha un alunga storia, che si riflette anche, per esempio, nell’assenza fino a pochi anni fa di ricerch esullo sterminio dei rom all’interno della storiografia sull’olocausto.

Allo stesso modo, Nicolae (2008: 1) nota:

nonostante il fatto che l’antiziganismo possa rientrare nelle definizioni accademiche di razzismo,l’accademia lo ha ampiamente ignorato, o ha prestato un’attenzione superficiale e limitata alle sofferenze patite dai rom, senza alcuno sforzo per teorizzarlo e analizzarlo.

Il termini antiziganismo o romofobia sono entrati nel linguaggio politico europeo solo di recente. Il primo documento ufficiale in cui si affronta in dettaglio la questione delle forme di discriminazione verso i rom è la risoluzione del Parlamento europeo adottata il 28 Aprile 2005 (P6_TA(2005)0151) in cui si invita la Commissione Europea ad intervenire ‘per combattere antiziganismo/romofobia in tuttaEuropa’, nella consapevolezza ‘dell’importanza di eliminare urgentemente i continui e violenti fenomeni di razzismo e discriminazione razziale contro i rom’, dal momento che ‘ogni forma di impunità per attacchi razzisti, dichiarazioni d’odio di gruppi estremisti, gli sgomberi illegali e la persecuzione da parte delle forze dell’ordine motivate da antiziganismo e romofobia incidono sull’indebolimento dello stato di diritto e della democrazia’.Ci troviamo dinanzi ad una forma specifica di razzismo, ‘un fenomeno sociale complesso ch esi manifesta pubblicamente attraverso episodi di violenza, espressioni di odio, sfruttamento e discriminazione’, ma anche attraverso discorsi e rappresentazioni prodotti da politici e accademici, la segregazione abitativa e spaziale, la stigmatizzazione diffusa e l’esclusione socio-economica (Nicolae2008:1). Una forma di razzismo in cui è presente una componente biologica e che produce la de-umanizzazione dei rom. ‘I rom – scrive Nicolae (ibidem) – sono visti come dei “meno che umani” sono percepiti come non moralmente degni di essere titolari di diritti umani allo stesso modo del resto della popolazione’.

In sintesi, il peggioramento delle condizioni di vita dei rom nell’Europa centro orientale negl iultimi vent’anni e gli episodi di razzismo anti-rom sono due fenomeni separati e al contempo collegati. La prima causa dell’impoverimento dei rom dopo la fine dell’URSS non è stato il razzismo,che pure ha pesato e tuttora svolge un ruolo centrale nel definire esperienze e opportunità di vita degl iappartenenti alla minoranza rom, quanto piuttosto le trasformazioni strutturali che hanno radicalmente ridefinito le economia e il patto sociale su cui si fondavano i paesi ex-socialisti.

 Da migranti a minoranza

Ancor più che negli anni precedenti, dopo l’allargamento dell’Unione Europea e l’abolizione dei visti, abbandonati da tutti i governi e in balia delle trasformazioni repentine imposte dall’orientamento neoliberale, i rom dell’Europa centro orientale hanno cercato nell’emigrazione la possibilità di salvezza, suscitando ovunque allarme.Sino agli anni ‘90 i principali paesi d’emigrazione dei migranti rom erano stati Macedonia, Bosnia-Erzegovina, Jugoslavia (Serbia, Montenegro e Kossovo) e Romania , successivamente sono laRomania, la Bulgaria e la Slovacchia. Tra i paesi d’arrivo la Germania, la Francia e l’Italia sono storicamente le mete principali della migrazione dei rom, mentre consistenti flussi hanno toccato anche Gran Bretagna, Austria e Spagna negli ultimi anni.

La minaccia rappresentata dall’arrivo in massa (tidal wave) dei rom è stata la principale motivazione dell’interessamento dell’Unione Europea e delle altre principali organizzazioni europee del settore, Consiglio d’Europa e OSCE, verso questa popolazione a partire dagli anni ‘90.

Com’è noto la cosiddetta “invasione” dell’Occidente non c’è stata

e quantitativamente la migrazionedei rom corrisponde a quella del resto della popolazione dei rispettivi paesi d’origine. Nonostante ciò,la paura di tale “invasione”, manipolata attraverso l’uso distorto di dati, storie e immagini, ha influenzato le scelte di numerosi governi e li ha spinti ad intraprendere misure drastiche per fermare“gli zingari”.

Il processo di allargamento dell’Ue ha portato ad una graduale trasformazione di tale approccio per due tipi di ragioni, una di ordine demografico, l’altro più strettamente politico. Conl’allargamento del 2004 e 2007, infatti, circa due milioni di rom sono diventati cittadini europei emembri della più grande minoranza etnica europea rendendo ‘i diritti sociali e le preoccupazioni per la questione sicurezza una questione interna dell’Unione Europea’ (Guglielmo e Waters 2005: 776-7).Con l’allargamento, inoltre, è diventato pressocché impossibile bloccare la mobilità dei rom comunitari nei territori dell’UE – nonostante i tentativi recenti compiuti da paesi come Francia, Italia,Gran Bretagna e Belgio – essendo protetta dal principio cardine del sistema comunitario: la libertà dicircolazione.

 Per converso, i rom non comunitari incontrano ostacoli sempre maggiori per accedere all’UE attraverso canali legali, sia per la rigidità e selettività delle politiche migratorie comunitarie verso i cittadini di paesi terzi, sia per il generale restringimento del diritto di asilo politico, ancor più evidente per i cittadini di paesi che aspirano all’ingresso nell’UE, come Macedonia, Kossovo,Croazia, Serbia, Turchia, Albania e Montenegro.Le misure di natura prettamente repressiva, restrittiva e deterrente che hanno caratterizzato soprattuto la fase pre-allargamento come gli accordi bilaterali per il rimpatrio immediato dei migranti,gli scambi di intelligence e la formazione delle forze di polizia, l’applicazione selettiva delle norme sui visti e la progressiva riduzione dell’effettività del diritto d’asilo, hanno prodotto la segmentazione del concetto di cittadinanza e dei diritti ad essa associati.

 A tali misure se ne sono via via accompagnate altre di tipo diverso, volte ad incentivare la permanenza nei paesi d’origine attraversola protezione dei diritti dei rom e il miglioramento delle loro condizioni socio-economiche. La ragionepolitica di questo cambiamento d’approccio è riassunta da Guglielmo e Waters (2005: 764) che affermano:

Sebbene l’Unione Europea e le altre istituzioni europee fossero inizialmente focalizzate sui controlli esterni alla migrazione, il fatto che l’allargamento ai paesi dell’ex blocco sovietico fosse inquadrato in termini di “valori comuni condivisi” ha costretto i paesi membri ad elaborare una strategia di governo della mobilità dei rom più orientata verso l’interno, fondata sui diritti fondamentali e la protezione delle minoranze.

Così, con l’approssimarsi dell’allargamento, sarebbe diventato necessario per l’UE affrontare le questioni relative ai rom all’interno di un registro differente  il cui perno non era più il “se” i rom dovessero essere integrati nell’UE, ma il “come’.Non è certo stato un processo dall’esito scontato e la questione della migrazione dei rom ha rischiato di deragliare il processo di allargamento di paesi come l’Ungheria e la Slovacchia, accusate di non essere capaci di proteggere i diritti fondamentali dei rom e di non essere pronte alla libertà di movimento.Nonostante questi ostacoli e con una serie di restrizioni più o meno temporanee alla libertà dicircolazione, nel 2004 e 2007 l’allargamento dell’Unione Europea è avvenuto, cambiando in maniera significativa le carte in tavola. Così, mentre in alcuni paesi le tensioni si sono assopite, in altri, comel’Italia, la questione della libertà di movimento dei rom ha acquisito crescente urgenza, in pari con l’esasperazione del dibattito politico e la diffusione di sentimenti romofobi nell’opinione pubblica.

 L’europeizzazione della questione rom

Nonostante i proclami e le dichiarazioni di principio, l’interesse prioritario delle politichedell’Unione Europea verso i rom a partire dagli anni ‘90 è stato quello di controllarne e limitarne l amigrazione verso occidente.

Mentre va riconsciuto che la tutela delle minoranze, uno dei requisiti fissati per gli aspiranti membri dell’UE nel Consiglio di Copenhagen del 1993, rappresenta un importante progresso verso il riconoscimento della protezione delle minoranze tra le norme fondanti della democrazia, va anchee videnziato come la relazione tra “democrazia” e “il rispetto e la protezione delle minoranza” sia lasciata volutamente vaga ed ambigua nel testo di Copenhagen. A tal proposito, afferma Sasse (2006:4):

la formula linguistica adoperata nelle condizioni dell’UE evita la nozione forte di “diritti delle minoranze”. Essa inoltre non parla di “minoranza nazionale” e non specifica che tipi di minoranze siano coperte.

Inoltre, anche senza l’esplicito riferimento ai diritti, il criterio solleva legittime obiezioni concettuali ed empiriche sul tipo di democrazia che l’UE intendeva promuovere nei paesi aspiranti. È evidente,infatti, il rischio di finire coll’  incentivare la frammentazione su base etnica della società e accrescere lac onflittualità sociale e politica, come le manifestazioni di intolleranza e razzismo esplose violentemente in Ungheria in questi mesi hanno in qualche modo confermato.Il recepimento del principio della tutela delle minoranze da parte dei paesi aspiranti è stato efficacemente descritto da Tesser come “geopolitica della tolleranza” (2003), che ha sottolineato il carattere strumentale e verticistico di tale processo. Inoltre, hanno notato Guglielmo e Waters (2005),la protezione delle minoranze formulata nei criteri di Copenaghen è valida unicamente per i paesi che aspirano ad entrare nell’UE (mancava allora una normativa Ue in merito). La delega all’OSCE di definire il quadro di riferimento per la tutela delle minoranze è un ulteriore prova del fatto che agli inizi degli anni ‘90 l’Unione Europea non voleva impegnarsi nel definire una propria normativa sulle minoranze.Questo atteggiamento è gradualmente cambiato quando ad allargamento avvenuto la realtà concreta è cambiata e non è stato più possibile immaginare di gestire la questione rom solo nei termini di governo della mobilità. In effetti, anche se i rom non si muovono, le condizioni di estrema marginalità in cui molti si trovano sono, in quanto si tratta di cittadini comunitari, di per sé ragione sufficiente per giustificare l’interesse dell’UE: piuttosto che migrare i rom, sono i diritti che son omigrati da loro, almeno in teoria.I decreti “emergenza nomadi” del governo Prodi e poi Berlusconi, il pogrom di Ponticelli nel maggio2008 e la schedatura con raccolta dei dati biometrici dei residenti dei campi nomadi hanno provocato   l’indignazione nell’opinione pubblica progressista europea e tensioni diplomatiche tra due stati membri dell’UE (Romania e Italia), imprimendo un’accellerazione al processo di europeizzazione della questione rom (gli stessi governi di Romania e Italia nel novembre 2007invocarono l’intervento della Commissione Europea). Secondo Guy (2009):

Le conseguenze dell’allargamento dell’UE e dell’esclusione dei Rom si sono combinate ponendo una minaccia non solo alle relazioni tra due stati membri, ma anche al diritto fondamentale alla libertà di movimento all’interno dell’UE.

Gli episodi verificatisi in Italia hanno rivelato anche che la discriminazione sistematica e istituzionale dei rom e le manifestazioni violente di razzismo si producono non solo nei paesi dell’ex blocco sovietico ma anche in Europa occidentale (fatto volutamente sottovalutato dalla Commissione europe anegli anni precedenti). Inoltre, i fatti accaduti in Italia sono serviti a ricordare alla Commissione che,nonostante un decennio di coinvolgimento dell’UE nella “questione” e i numerosi progetti di assistenza finanziati attraverso il programma PHARE, i problemi della vasta maggioranza dei rom nei nuovi paesi membri rimangono irrisolti, spingendo molti rom a migrare verso ovest in cerca di una vita migliore.

In sintesi, il peggioramento delle condizioni di vita dei rom nell’Europa centro orientale negli ultimi vent’anni e gli episodi di razzismo anti-rom sono due fenomeni separati e al contempo collegati. La prima causa dell’impoverimento dei rom dopo la fine dell’URSS non è stato il razzismo,che pure ha pesato e tuttora svolge un ruolo centrale nel definire esperienze e opportunità di vita degliappartenenti alla minoranza rom, quanto piuttosto le trasformazioni strutturali che hanno radicalmenteridefinito le economia e il patto sociale su cui si fondavano i paesi ex-socialisti.

 ….

Mentre identificare tutti i rom come un’unica comunità può apparire una scelta razionale ed efficace per accrescere la loro visibilità nella sfera politica, al contempo la scelta omette di prendere in considerazione non solo le diversità di storia, lingua e cultura esistenti tra le comunità, ma nega la concreta opposizione, anche questa politica e legittima, che alcune di queste comunità oppongono all’assimilazione nell’etnonimo “rom”

.Brubaker et al. (2006: 358) hanno evidenziato come ‘l’etnicità non sia un oggetto, un attributo, o una sfera circoscritta della vita, ma piuttosto un modo di capire ed interpretare l’esperienza, un modo di parlare ed agire, un modo di formulare interessi ed identità’.La politica rom è quasi universalmente percepita come uno sviluppo positivo privo di alcuna ambiguità, che rappresenta l’atteso ingresso nell’arena politica di un popolo e di una comunità a lungo escluse dai processi decisionali e dalla partecipazione alla vita pubblica. Invece, sottolinea Kovats(2003), non si deve guardare alla politica rom di per se, né alla questione rom in generale, al di fuori del contesto politico, sociale ed economico in cui è emersa, e senza tenere conto della crescente ineguaglianza e dei fenomeni di razzismo diffuso che si vanno consolidando in Europa.La costruzione di un’agenda politica etnica e degli apparati per sostenerla oscura non solo gli interess iche i rom hanno in comune con i loro concittadini, ma li mette in competizione gli uni con gli altri.Scrive Kovats:

I soldi spesi per i rom sono semplicemente soldi non spesi per i “non-rom”. Questo accade in contesti caratterizzati non solo da intensa competizione per scarse risorse, ma anche da una cultura politica cristallizzata nel tempo di relazioni problematiche tra identità etniche/nazionali e potere politico (Kovats2003: 3).

La ricerca che sto conducendo sulle forme e i modi di partecipazione politica dei rom attualmente residenti in Kossovo, ha confermato le preoccupazioni espresse da Kovats, evidenziando come le politiche per le minoranze etniche volute e imposte dalle istituzione internazionali ed europee invece di migliorare la situazione sul terreno, finiscono con l’esacerbare le tensioni tra le comunità residenti in Kossovo mettendole in competizione tra loro su base etnica, piuttosto che rispondere trasversalmente ai bisogni e alle realtà esistenti sul terreno. Inoltre, alcuni attivisti rom kossovari hanno evidenziato come l’allocazione delle risorse e l’imposizione del vocabolario dei diritti umani e delle minoranze li mette talvolta in una posizione di conflitto con i membri della loro comunità e li forza a svolgere continuamente un ruolo di traduzione (non solo linguistica) tra il vocabolario umanitario e quello delle persone con cui interagiscono.

A proposito di parlare o meno la stessa lingua, Brubaker et al. (2004: 167) ci ricordano come ‘i desideri, le speranze, gli interessi e le credenze delle persone comuni non possono essere acriticamente assimilate a quelle degli imprenditori dell’etnopolitica che dicono di parlare in loro nome’.

Conclusioni

Povertà, esclusione sociale e razzismo sono tre fenomeni che dominano la quotidianità dei rom europei e determinano le loro aspettative e possibilità per il futuro. Povertà e antiziganismo sono fenomeni distinti, ma strettamente interrelati. Le radici del processo di pauperizzazione della minoranza rom in Europa centro orientale, infatti, non possono ridursi al prodotto di politiche razziste,ma vanno piuttosto ricondotte a fattori sistemici quali la trasformazione in senso neoliberale dellee conomie dei paesi dell’ex blocco socialista e dello stato sociale. Le riforme neoliberali dell’economiae la riduzione dello stato sociale hanno avuto un impatto anche nei paesi dell’Europa occidentale. La riduzione del problema ad un puro fenomeno di discriminazione razziale, come spesso accade, limita le possibilità di intervento e di trasformazione perchè omette di prendere in considerazione le cause strutturali della povertà dei rom. Afferma causticamente Kovats (2003: 5):

la moda di attribuire condizioni di svantaggio oggettive – quali disoccupazione, aspettative di vita ben sotto la media, segregazione abitativa – al razzismo, assicura non solo che le condizioni continuino a deteriorare, ma permette anche alle elite di negare le responsabilità per la loro incapacità di intervento,incolpando invece i pregiudizi delle masse.

 

Le condizioni di vita dei rom in Europa sono simili a quelle degli abitanti dell’Africa subsahariana. Ma in questo non differiscono da altri gruppi svantaggiati. Per questo motivo, non voglio un Commissario Speciale europeo per gli affari rom. Si tratta di questioni che tagliano trasversalmente vari settori come salute, educazione, condizioni di lavoro e stato sociale […] Invece di sprecare soldi e tempo in miniprogetti per minuscole associazioni, lo stato dovrebbe intervenire in maniera più diretta. Perchè lostato non può gestire fabbriche in aree ad alto tasso di disoccupazione?

http://www.academia.edu/381939/I_rom_nellEuropa_neoliberale_antiziganismo_poverta_e_i_limiti_delletnopolitica

Racial Criminalisation of Migrants in the 21st Centurymore

by Salvatore Palidda

http://www.academia.edu/716406/Racial_Criminalisation_of_Migrants_in_the_21st_Century

January 20, 2011 · 10:31 pm

Racial criminalization of migrants in the 21st Century

New book. Over the last two decades in the West, there has been a significant increase in the arrest, imprisonment and detention of migrants. The racial criminalization and victimization of migrants and Roma people has led judicial authorities, local governments, the police, mass media and the general population to perceive migrants and ‘gypsies’ as responsible for a wide range of offences. Taking into consideration the political and cultural conditions that affect and interconnect societies of emigration and immigration, the contributors examine and compare a range of cases in Europe and the United States. The contributions demonstrate how the persecution of the ‘current enemy’ is the ‘total political fact’ of the 21st century in that it ensures consensus and business, or what might be termed the ‘crime deal’ of today.

The collection, edited by Salvatore Palidda (Ashgate, 2011)  includes a chapter I co-authored with Nidhi Trehan on the (re)criminalization of the Roma in a neoliberal Europe

migration and mobility

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http://nandosigona.wordpress.com/2011/01/20/racial-criminalization-of-migrants-in-the-21st-century/

Se Auschwitz è nulla : Contro il negazionismo- Robert Faurisson, portrait d’un négationniste, de Valérie Igounet e alcuni video

http://www.controappuntoblog.org/2013/01/25/se-auschwitz-e-nulla-contro-il-negazionismo-robert-faurisson-portrait-d%E2%80%99un-negationniste-de-valerie-igounet-e-alcuni-video/

 

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