Strabone (in greco: Στράβων, Strábôn; in latino: Strabo; Amasea, ante 60 a.C. -spazio nell’Odissea – Il viaggio infinito di Omero

Strabone (in greco: Στράβων, Strábôn; in latino: Strabo; Amasea, ante 60 a.C.Amasea (?), 23 d.C. circa) è stato un geografo greco antico.

Fonti

Fonti autoptiche

Strabone, descrive se stesso come un uomo che ha molto viaggiato, come mai alcun altro cultore della materia:

« […] dall’Armenia verso occidente, fino alla Tirrenia di fronte alla Sardegna, e dal Ponto Eusino verso sud fino ai confini dell’Etiopia. Né può trovarsi altra persona, tra chi abbia scritto di geografia, che abbia viaggiato per distanze più lunghe di quanto io stesso non abbia fatto »
(Strabone. Geografia. ii. 5,11)

E tuttavia la sua esposizione non è quella di un periegeta, come sarà invece in Pausania. Neppure i suoi viaggi sembrano potersi considerare finalizzati o in qualche modo propedeutici alla realizzazione dell’opera visto che egli sembra servirsi ben poco delle conoscenze acquisite da osservazioni autoptiche: quando queste ricorrono, e sono rarissimi i casi, il contributo che aggiungono è solitamente accessorio e marginale, con l’unica probabile eccezione del caso di Corinto.[7] Ma le scarne annotazioni autoptiche risultano per altro verso preziosissime per la datazione del complesso dell’opera e delle sue singole parti, oltre che per far luce su aspetti della vita e della cronologia di Strabone.

Fonti scritte

Strabone dipende invece, in maniera essenziale, dalle sue fonti scritte, di volta in volta menzionate o, in buona parte, preventivamente dichiarate.[8] Gli autori a cui attinge sono di varia estrazione: si va da poeti come Omero, da lui definito, in un altro passo, il padre della geografia,[9] a filosofi, matematici e scienziati come Anassimandro, Ecateo, Eraclito, Democrito, Eudosso, Dicearco, Eforo di Cuma, Eratostene, Ipparco, oltre ovviamente a geografi e storici come Polibio, Posidonio, Artemidoro di Efeso, Eforo di Cuma, Apollodoro di Artemita.

Si tratta, a ben vedere, di un repertorio che rinvia costantemente a un ambiente e una tradizione scientifico-letteraria di cultura e lingua greca. Strabone non mostra, infatti, di tenere in gran conto geografi e storici di cultura latina o comunque di estrazione culturale diversa da quella greca:

« Ma come per tutte le nazioni lontane o barbariche, tanto quanto piccole e frammentate, i loro resoconti [dei geografi, NdR] non sono né numerosi né così affidabili da poterli accettare; e come per tutte le nazioni che sono lontane dalla Grecia, la nostra ignoranza è ancora maggiore. Ora, sebbene gli storici romani siano imitatori dei greci, l’inclinazione alla conoscenza che essi mettono nelle loro storie è trascurabile; per cui, quando gli storici greci lasciano lacune, ogni tentativo di colmarle da parte di autori di diversa provenienza è privo di consistenza. »
(Strabone. Geografia. iii 4, 19.)

Dati questi presupposti, non stupisce se, perfino nella descrizione della Gallia, Strabone riesce a limitarsi a una sola e fugace menzione dei Commentari che Cesare redasse nel corso delle sue campagne galliche.[10] In altro momento, volendo riferire della fama oratoria di Menippo di Stratonicea, non può fare a meno di un vago accenno a Cicerone che, avendone ascoltata di persona l’eloquenza, poteva a buon titolo testimoniare il suo apprezzamento in un passo di una sua opera sulla retorica.[11]

Utilizzo delle fonti

Quello di Strabone è, con tutta evidenza, un lavoro basato su materiali estremamente disparati ed eterogenei, provenienti per di più da epoche diverse, e assai difformi nell’impostazione, nei diversi gradi di approfondimento e nella copertura spaziale e cronologica. Ne risulta, in maniera quasi obbligata, una disomogeneità della trattazione. C’è da aggiungere comunque che in Strabone, proprio in vista del carattere unitario della sua concezione geografica, è evidente la tendenza a far uso di un approccio di volta in volta diverso, a seconda dei luoghi descritti; infatti se, com’è nella sua ottica unitaria, la sfera geografica non può prescindere dai differenti aspetti umani, economici, ambientali, allora l’approccio ad aree geografiche diverse deve essere ogni volta declinato in funzione delle particolarità dei suoi abitanti.

Peso e limiti della tradizione omerica

Un altro importante elemento contribuisce disomogeneità alla trattazione e incostanza nell’approfondimento, finendo per essere un limite dell’opera: si tratta dell’accoglimento della testimonianza poetica di Omero quale fonte privilegiata della Geografia. Si è già ricordato il passo programmatico dei prolegomeni in cui l’autore dell’Iliade e dell’Odissea viene definito padre della geografia.[8] A questo va ad aggiungersi, nell’VIII libro (il Peloponneso) una enunciazione di metodo critico:

« Ora, mentre è facile dare un giudizio su quel che hanno scritto gli altri, le notizie date da Omero hanno invece bisogno di un’attenta indagine critica, dal momento che egli parla da poeta e, inoltre, non di argomenti attuali, ma molto antichi, che il tempo ha in gran parte offuscato »
(Strabone. Geografia. viii, 1, 1)

Nonostante le premesse, Strabone avverte spesso il bisogno di non dare per scontata questa sua impostazione, preferendone ribadire la necessità ogni volta che se ne presenta l’occasione. Procedendo da queste assunzioni programmatiche, il ruolo attribuito alla tradizione omerica e l’analisi critica che ogni volta ne consegue, comportano un notevole appesantimento dell’esposizione proprio per quei luoghi, come il Peloponneso, nei quali il confronto diretto con la narrazione epica si fa più serrato.[12] Il solo fatto di aver attribuito al poeta epico il ruolo di autorità in campo geografico, secondo Albin Lesky, che vede in questo un influsso della Stoa,[13] costituisce di per sé un limite metodologico che «gli impedisce di penetrare a fondo nelle cose».[2]

Finalità dell’opera e destinatari

È lo stesso autore a descrivere la scopo formativo e i destinatari della sua opera:

« In breve, questo mio libro dovrebbe essere di utilità generale – a beneficio sia del politico che del comune cittadino – come il mio lavoro sulla Storia. In questo, come in quell’altro lavoro, non intendo per politico la persona completamente illetterata ma qualcuno che abbia seguito il corso regolare degli studi che compete a un uomo libero e a uno studente di filosofia. E così, dopo aver scritto le mie Descrizioni storiche, che ritengo siano state utili per la filosofia politica e morale, mi sono deciso a scrivere anche questo trattato; perché questo lavoro è basato sullo stesso disegno, essendo indirizzato alla stessa classe di lettori, e particolarmente a persone di elevato status sociale. Inoltre, come nelle mie descrizioni storiche […] così in questo lavoro io non mi soffermo su ciò che è insignificante e indegno di nota, ma rivolgo la mia attenzione su ciò che è nobile e grande, e a ciò che contiene qualcosa di utile, memorabile o divertente. […] Si tratta infatti di un’opera enorme, che si occupa di fatti relativi alle cose grandi, e nel loro aspetto generale, eccetto per qualche dettaglio minore, laddove può stimolare l’interesse dello studioso o della persona comune. Ho detto tutto questo per mostrare che questo è un lavoro serio, e ben degno dell’interesse di un filosofo. »
(Strabone. Geografia. i, 22-23)

Prosa

In relazione a tale dichiarazione di metodo, e ai destinatari dell’opera, occorre rimarcare come il suo stile, pur senza esprimere particolari qualità, manifesti comunque un’aspirazione alla semplicità che non sembra più di tanto soggiacere ad influssi di impronta atticista[2] e che ha il pregio di garantire alla sua prosa una piacevolezza di lettura che, unita all’interesse per le sue descrizioni, permane immutata ancora oggi. La sua lingua, vicina a quella di Polibio, mantiene il contatto con la lingua viva dell’epoca. Ne risulta una koinè ellenistica ricca di forme popolari e di novità lessicali.[14]

Concezione della geografia in Strabone

 

L’Europa nell’oikoumene secondo Strabone.

Unitarietà

La materia trattata riguardava la geografia dell’intero ecumene allora conosciuto, in un’accezione che non si riduceva ai soli aspetti della Geografia fisica, ma che teneva in considerazione le relazioni esistenti tra questi ultimi e le connotazioni culturali, etnografiche, storiche, politiche: si tratta di ambiti di indagine appartenenti alla sfera conoscitiva si quello che, con linguaggio attuale, possiamo definire geografia umana e politica.

Importanza del rapporto con l’ambiente

È notevole ad esempio la sua osservazione su come l’espressione culturale di un popolo dipenda dal suo rapporto con il territorio. Strabone, ad esempio, individua la felice posizione della Grecia sul mare quale uno dei fattori della sua fortuna, stabilendo, in questo caso, un’interessante correlazione tra il progredire della civiltà di un popolo e il suo contatto con l’elemento marino.

Ma riguardo alla relazione con i luoghi e all’importanza di questa nel condizionare il percorso di una civiltà, la sensibilità del geografo non incorre nell’errore di trascurare gli effetti che, sulla sfera ambientale, sono indotti dall’attività dell’uomo. Così, riferito alla città di Roma:

« Questo per quanto riguarda i doni che la natura fornisce alla città; ma i Romani ne hanno aggiunti altri, che sono il risultato della loro lungimiranza; così se i Greci ritenevano di aver raggiunto il loro scopo con una felice fondazione delle città, perché aspiravano alla bellezza e sicurezza dei luoghi, degli approdi, alla fertilità dei suoli, i romani avevano si sono concentrati in ciò che i Greci avevano trascurato, come la costruzione di strade ed acquedotti, di fogne per incanalare i reflui della città nel Tevere. Inoltre, hanno costruito strade che corrono attraverso tutto il paese, tagliando colline e colmando valli, in modo che i loro carri potessero caricare quanto trasportato dalle imbarcazioni; […] E le acque fluiscono così abbondanti nella città grazie agli acquedotti che veri e propri fiumi scorrono attraverso la città e nelle condotte sotterranee; e praticamente ogni casa ha cisterne, tubature e abbondanti fontane, per la tanta cura che se ne diede Marco Agrippa, che pure ha adornato la città di tante altre costruzioni »
(Strabone. Geografia. v, 3, 8

Inclinazioni culturali dei popoli

Allo stesso tempo, insisteva sul fatto che i fattori ambientali e le interrelazioni con l’attività dell’uomo non erano in grado, da soli, di spiegare la grandezza di un popolo, senza considerarne le inclinazioni: nella determinazione della grandezza della civiltà greca, ad esempio, fermo restando la felicità del rapporto che essa aveva con il mare, Strabone attribuiva un grande peso all’interesse espresso da quella cultura per le arti, la politica, la speculazione scientifica e filosofica.

Spessore diacronico della descrizione

È evidente inoltre propensione dell’autore a non accontentarsi di una descrizione cristallizzata a un’epoca a lui contemporanea: Strabone indulge spessissimo ad excursus diacronici, a divagazioni sia mitiche che storiche. Non è un fatto casuale; fedele ai suoi precursori, e tra essi in particolare Polibio, Strabone segue una precisa e dichiarata scelta di metodo:

« Tuttavia, chi voglia accingersi alla descrizione della terra, deve occuparsi non solo dei fatti del presente ma, in qualche misura, anche di quelli del passato, soprattutto quando essi siano degni di nota. »
(Strabone. Geografia. vi, 1, 2)

 

« Forse non dovrei esaminare così estesamente cose che sono passate, ma limitarmi semplicemente a parlare in dettaglio lo stato attuale delle cose, se non vi fossero su questi argomenti racconti che abbiamo appreso fin da bambini »
(Strabone. Geografia. vi, 1, 2)

Conoscenza geografica e filosofia

L’investigazione geografica ha, in Strabone, una portata eminentemente filosofica.

Nella concezione di Strabone, come si può vedere dal passo precedentemente citato,[15] quella geografica è una forma di conoscenza che occupa un posto di grande rilievo. Così si esprime in apertura dell’opera:

« La scienza della Geografia, che mi propongo ora di investigare è, a mio parere, tanto quanto le altre scienze, di competenza del filosofo »
(Strabone. Geografia. i 1, 1)

La larghezza di vedute che essa presuppone, la vastità di conoscenze che pone in gioco, sono prerogativa di chi, per sua natura, è incline alle speculazioni sul senso più profondo dell’esistenza, la ricerca filosofica della felicità:

« […] l’ampiezza del sapere, la sola in grado di render possibile l’intraprendere lo studio della geografia, è prerogativa di chi ha saputo speculare sulle cose sia umane che divine, la conoscenza delle quali si dice costituisca la filosofia. […] l’utilità della geografia, intendo dire, presuppone che il geografo sia egli stesso un filosofo, un uomo che impegna se stesso nella ricerca dell’arte di vivere, o detto in altro modo, della felicità. »
(Strabone. Geografia. i 1, 1)

Matematica, geometria, astronomia

L’autore poi si intrattiene spesso, nei Prolegomeni dei primi due libri, a discutere sull’importanza della matematica e della geometria nella conoscenza geografica:

« Mi sembra, come ho già detto, che in una materia come la geografia sia prima di ogni cosa necessaria la geometria e l’astronomia; […] perché senza i loro metodi non è possibile determinare accuratamente configurazioni geometriche, fasce climatiche latitudinali, dimensioni, e altre questioni collegate; ma siccome queste scienze dimostrano, in altri trattati, tutto quello concerne alla misurazione della terra nel suo complesso, io potrò dare per assodato che l’universo è di forma sferica, che la superficie della terra è sferica e, soprattutto, dare per presupposto la legge che precede questi due principii, cioè che i corpi sono attratti verso il centro »
(Strabone. Geografia. i 1, 20)

Ma sono proprio le confutazioni in cui si produce e le discettazioni che egli intesse, in rapporto agli autori che l’hanno preceduto, a rivelare come questi campi di conoscenza non dovessero essere quelli a lui più congeniali.[2][14]

Fortuna dell’opera

Antichità

Il successo della Geografia di Strabone, nei due secoli successivi, non dovette essere proporzionale alla grandiosità della concezione e alla vastità del materiale presentato. Appare strano infatti, proprio in relazione a tali peculiarità che il testo straboniano sia completamente trascurato, per un paio di secoli, da logografi e scrittori greci e latini di geografia: Tolomeo arriverà a scrivere la sua importante Geografia trascurando completamente il testo straboniano; ma già Plinio, per altri versi un affastellatore acritico di notizie, mostra di ignorare completamente Strabone. In seguito, fino al V secolo, l’opera si guadagna qualche ancor rara citazione, ma perché essa riceva la dovuta attenzione bisogna aspettare il secolo successivo quando Stefano di Bisanzio, nella redazione del suo lessico Ethnikà, incorporerà frequenti notizie attinte dal testo straboniano. Di questa epoca ci sono pervenuti una trentina di papiri, databili presumibilmente al periodo dal 100 al 300.[16]

Medioevo e Umanesimo

Queste caratteristiche suscitarono invece un interesse maggiore in epoche successive, Medioevo e Umanesimo, tanto da favorire la trasmissione quasi integrale del testo fino ai giorni nostri. L’esposizione è infatti letteralmente costellata di annotazioni del genere più disparato: storia, miti di fondazione, mitologia, cultura, ambiente, opere d’arte; tutti questi elementi concorrono insieme a fare dell’opera una fonte inestimabile di informazioni.

Età contemporanea

Il ritrovamento dei resti del santuario di Hera Argiva alla foce del Sele, è stato guidato dalla fedele indicazione topografica del testo di Strabone

La visione geografica di Strabone, sottesa nella sua trattazione, ha suscitato l’attenzione e l’apprezzamento di importanti geografi del XIX e XX secolo, fondatori di una nuova concezione della geografia, come Friedrich Ratzel e Paul Vidal de la Blache.

I pregi della Geografia di Strabone ne hanno fatto col tempo uno strumento imprescindibile nello studio di tanta parte del mondo antico mediterraneo, nelle diverse implicazioni storiche, geo-topografiche, etnografiche, toponomastiche e archeologiche, tanto che essa è oggetto di frequentissime citazioni in studi moderni.

Non è un caso se importanti opere sul mondo antico mediterraneo sono largamente intessute di corsivi estratti dall’opera di Strabone. Esempi ne sono Jean Bérard, La Magna Grecia, Torino, 1963 e Mario Napoli, Civiltà della Magna Grecia, Eurodes, 1978.

La puntualità delle sue descrizioni, le preziose digressioni storiche, la precisione delle annotazioni topografica, sono elementi che sono di basilare importanza nell’inquadramento e nella soluzione di problemi di indagine archeologica. Un esempio eclatante risale al 1934, quando l’appassionata ricerca di due intellettuali confinati, Umberto Zanotti Bianco e Paola Zancani Montuoro, orientata proprio dalle parole di Strabone, rese possibile una delle più importanti scoperte dell’archeologia greca del XX secolo, lo spettacolare ritrovamento dei resti dell’Heraion alla foce del Sele, le cui origini mitiche risalgono a Giasone e gli Argonauti, con l’importante ciclo narrativo-metopale di epoca arcaica:

« Dopo la foce del Silaris, vi è la Lucania e il santuario di Hera Argiva,[17] fondato da Giasone, e vicino, a 50 stadi, Poseidonia»
(Strabone. Geografia. vi 1, 1)

Questa è invece la descrizione di Plinio:

« Da Sorrento al fiume Sele, si estende per 30 miglia l’agro Picentino,[18] che fu degli Etruschi, famoso per il tempio costruito da Giasone in onore di Giunone Argiva. All’interno vi troviamo le città di Salerno e Picentia. Dal Sele, inizia le regio tertia e il territorio dei Lucani e dei Bruttii […] »
(Plinio. Storia Naturale. iii 70-71)

È da rimarcare la differenza abissale tra la descrizione di Strabone e l’indicazione di Plinio: l’erudito romano colloca infatti il santuario sulla destra idrografica del fiume, nell’ager Picentinus, territorio che un tempo fu degli Etruschi. L’imprecisione di questo passo è stata all’origine dell’incertezza topografica fino alla scoperta del XX secolo.

Edizioni

Traduzioni

Nella B.U.R sono pubblicati, con testo greco a fronte, introduzione, traduzione e note a cura di Anna Maria Biraschi, i seguenti volumi:

Risorse in rete

La Geografia di Strabone è disponibile interamente in traduzione inglese e, parzialmente, con testo greco:

È in rete anche una traduzione in francese in quattro volumi di Amédée Tardieu, edita da Hachette, Parigi, 1867.

Su Google libri è presente addirittura una cinquecentina, la traduzione in lingua italiana di Alfonso Bonacciuoli, edita a Venezia da Francesco Senese nel 1562:

Sono presenti i primi due volumi della traduzione in lingua italiana (Della geografia di Strabone libri XVII) di Francesco Ambrosoli, Milano: Francesco Sonzogno (poi P. A. Molina), 1827-1835:

 

http://it.wikipedia.org/wiki/Geografia_%28Strabone%29

2011: Spazio nell’Odissea – Il viaggio infinito di Omero from BergamoScienza on Vimeo.

L’Ulisse di Joyce

http://www.controappuntoblog.org/2012/11/13/l%E2%80%99ulisse-di-joyce/

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