Franz Schubert : L’eterno viandante

L’eterno viandante: Franz Schubert

 

Ritratto di Schubert
a sedici anni
(Vienna, Museum der Stadt).

Nato a Vienna, ma figlio di un maestro di scuola elementare originario della Slesia. Ragazzo brillante, ma privo dei mezzi necessari per intraprendere gli studi di Medicina o di Legge, e costretto perciò, vista la brevità dei corsi, a conseguire egli stesso il diploma di maestro elementare, Franz Schubert fu come Mozart un ragazzo prodigio: compose infatti la sua Prima Sinfonia a sedici anni.

Nel 1827 Vienna piangeva il grande Beethoven. Tra la folla accorsa ai funerali c’è anche il trentenne Franz Schubert. Di lì ad un anno anche egli seguirà il grande maestro di Bonn nella tomba. La biografia di Schubert è tra le più scarne della storia della musica, forse l’unico musicista che gli possa essere accostato in questo senso è Anton Bruckner : Franz Schubert nasce il 31 gennaio 1797 a Lichtenthal, distretto di Vienna, quarto figlio di un maestro di scuola elementare. Ad undici anni, viene iscritto al collegio Stadtkonvikt, qui inizia la sua istruzione e ha modo di incontrare per la prima volta la musica; ultimati i corsi frequenta una scuola di perfezionamento per maestri. Schubert, come spesso accade ai giovani, viene indirizzato dal padre ad una professione che non ama, quella di insegnate appunto. Ma in questo caso non si tratta di una semplice prepotenza del genitore: data la povertà della sua famiglia, quello del maestro rimarrà l’unico mestiere in grado di dare a Schubert quel poco che basta per vivere (o meglio sopravvivere, visto che il magro stipendio gli consentirà di comprare appena un filone di pane alla settimana), e che egli lascerà e riprenderà a praticare in più occasioni della sua vita. Schubert vivrà per tutta la sua breve vita nell’indigenza e quasi completamente ignorato dal grande pubblico.

 

L’enfant prodige

 

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Michael Eder:
la casa natale di Franz Schubert
nel quartiere viennese di Lichtenthal
(Vienna, Gesellschaft
der Musikfreunde).

La vocazione di Schubert è la musica, e ciò appare evidente assi presto: Nel 1813 la sua produzione è già alquanto vasta, considerando che non vivrà che altri quindici anni. C’è di tutto: musica sinfonica (alcune Ouverture e dieci Sinfonie), musica sacra, musica da camera (Trii, Quartetti, Quintetti, anche senza pianoforte), musica teatrale, vocale e pianistica. Tra le punte di diamante di queste opere vi sono i Lieder, le “canzoni” per voce e pianoforte: un genere che conoscerà una grandissima fortuna fino al Novecento, e i circa mille pezzi di questo genere reperibili nel catalogo delle opere di Schubert, incoronano l’artista viennese come fondatore di questa forma musicale. Schubert non si mosse praticamente mai dall’Austria, se si esclude un breve soggiorno in Ungheria; alla ricerca di un sempre negato riconoscimento come musicista: troverà il sostegno di alcuni amici sinceri, fraterni, che gli donano i pochi momenti di serenità e un ambiente familiare che non ebbe più a conoscere dopo l’infanzia, e che gli daranno sempre generoso sostegno economico. Poi, improvviso, il dramma: un’infezione venerea contratta nel 1823 e che cinque anni dopo, nel 1828, lo porta verso la morte: la vita di Schubert è tutta qui, si consuma in trentuno anni. Una vita semplice dunque, a prima vista poco interessante, ma la sua musica rivela una profondità interiore assai più vasta, un’esistenza tanto ricca sul piano spirituale quanto povera su tutto il resto.

La rivoluzione intimista del linguaggio muiscale
Beethoven era un titano della musica, Schubert ne è il viandante solitario. Beethoven incarnava in musica i nuovi ideali della Rivoluzione Francese; dalla delusione del Con­gresso di Vienna, il genio di Bonn ne trae una dignità e una solitudine eroica che sopporta l’infrangersi delle speranze, pur mantenendo intatto il richiamo alla libertà, all’amore, e il vagheggiamento di una fratellanza universale. Beethoven vive la sua vita e compone la sua musica, in un’atmosfera percorsa da tensioni e conflitti estremi.

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Sopra: Gioco di società in un dipinto
di Moritz von Schwind,
uno degli artisti appartenenti
alla cerchia di Schu-bert
(Vienna, Österreichische Galerie).
In basso:
Passeggiata degli amici
di Schubert da Atzenbrugg a Au-muehl.
Collotipia da un acquerello
di Leopold Kupelwieser
del 1820 (Vienna, Schubert Museum).

Schubert è l’antitesi di tutto questo: con lui siamo in piena Restaurazione. I grandi ideali sono tramontati, e l’uomo si ritrova straniero in un mondo che non lo comprende e che a sua volta egli non comprende. Per esprimere questa nuova situazione dell’anima, Schubert deve inventare un linguaggio nuovo, poco appariscente, costellato di piccoli frammenti tematici che servono a scavare nei turbamenti profondi e pieni di solitudine dell’Io.
Già da qualche tempo infatti, gli studiosi hanno restituito alla figura di Schubert come alla sua musica, tutta la serietà del dolore esistenziale dal quale fu pervasa. L’iconografia dolciastra, che purtroppo ha afflitto la figura del musicista viennese, anche mostrando un’immagine distrorta delle “Schubertiadi” – le riunioni di musica e di svago con gli amici –, e banalizzando il tutto in un’aura di serenità superficiale, che finì per ripercuotersi negativamente sull’interpretazione della musica di Schubert stesso, è stata oggi abbondantemente superata, facendo luce invece sugli aspetti più dolorosi ed inquietanti del compositore. Indubbiamente in Schubert c’è anche la dimensione del quo­tidiano, il gusto “Biedermeier”, la sensibilità verso le “piccole cose”, il vagheggiamento di una vita domestica, tranquilla. Ma questa nostalgia della vita familiare, si trovò sempre il suo contrasto, in Schubert con la coscienza di una profonda estraneità al mondo e all’esistenza, uno spaesamento e un angoscia senza ragione e senza speranza.

L’icona del Viandante

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Franz Schubert
atteso dagli amici.
Dipinto a olio
di Hans Larwin
(Vienna, Schubert Schule).

Schubert fa esperienza di questa sua estraneità innanzitutto di fronte alla società che lo circonda e poi sperimentando la differenza di sensibilità fra sé e gli altri, che finisce per scavare un confine sempre più netto . Per questo Schubert sceglie di confrontarsi spesso con la figura del Wanderer, il Viandante, personaggio che costituirà uno dei topoi della sensibilità e dell’estetica romantica, una figura che compare nei cicli di Lieder, Die schöne Müllerin (La bella mugnaia, 1823) e Winterreise (Viaggio d’inverno, 1827), oltre che nella Wanderer Fantaisie per pianoforte (1822). il Wanderer è il pellegrino sempre in viaggio, più come condanna che come scelta, che vive nella lontananza, nella nostalgia, e nell’angoscia verso il nulla e la morte che può incombere da un momento all’altro.

Dietro di sé, il viandante lascia solo tracce, frammenti, elementi di un mosaico da ricostruire, come l’esistenza nella sua caotica contraddittorietà: ecco allora lo stupore di fronte alla natura, l’ascolto attento del rumore dei suoi stessi passi, il mutare dei paesaggi, tutto raccolto e conservato nella ricerca di una felicità perduta, o forse mai realmente posseduta, e comunque non raggiungibile o non più raggiungibile, almeno in questa vita. E’ un solitario male di vivere, di esistere, un’angoscia nei confronti del pensiero della morte, una desolazione di fondo perenne. Senza qusti temi non si comprendono i richiami nostalgici alla semplicità della vita, che diventa complessa semplicità nella sua musica. Il Viandante non possiede più la grazia divina, il Musicista non è più in grado di dominare la forma classica e la materia sonora si sgretola sulla tastiera del pianoforte.

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Ritratto del musicista.
Collotipia colorata
da un acquerello
di Wilhelm August Rieder
del 1825 (Vienna, Schubert Museum).

La purezza divina di Mozart è tramontata, la misurata costruzione illuminata di Haydn è perduta, l’eroica soggettività beethoveniana, che nella figura del genio ricompone – con il titanico sforzo della creazione e dell’intelligenza – i contrasti e il dolore, si è sgretolata anch’essa. Davanti a Schubert si aprono le dimensioni immense e tremende dell’infinità dello spazio e del tempo, del viaggio perenne, del mutare continuo del paesaggio, che rappresentano la perduta identità dell’anima, smarritasi nella infinita frammentarietà. Tanto infinito è questo itinerare dell’anima che arriva, anche con accenti talvolta inquietanti, a sconfinare nel fantastico, nel sogno, narrato con accenni, allusioni, segni. Frammenti melodici che sorgono dal nulla e vi ripiombano, che vengono di nuovo evocati, che rimangono sempre incompiuti. Un continuo vagare di armo­nie e di timbri sonori che sembrano descrivere il percorso del pensiero che insegue qualcosa di cui esso stesso ignora la natura, con una dilatazione dei tempi di durata della musica, che stravolge la struttura classica. Ora la melodia è dolce, poi dolcissima, ma subito si fa oscura, impenetrabile, sfuggente. Il pianoforte è l’incarnazione sonora, la voce del canto doloroso del viandante: una quantità di opere prive di soluzioni di continuità, che seguono percorsi tortuosi negli anni, rendendo disperato il lavoro di ricostruzione di un cammino musicale di cristallina intelligibilità. Ogni pagina è come una delle forme vane dei sogni, la stessa sostanza di cui anche noi siamo fatti; ogni timbro e colore musicale sembrano di volta in volta nascere dall’inquietante abisso del nulla, da cui l’esistenza stessa proviene.

L’ostinata ricerca di una felicità sempre mancata
Nel 1823, Schubert è colto da una profonda depressione: ha appena contratto la malattia che lo ucciderà, ed egli si abbandona ad un libero canto di struggente angoscia.

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Johann Baptist Jenger,
Anselm Hüttenbrenner
e Franz Schubert
in un acquerello di Josef Teltscher
1827, (Vienna, Geselschaft der Musikfreunde).

Nel 1822, Schubert compone la Wanderer Fantaisie, ma anche un capolavoro orchestrale: la Sinfonia D. 759, assai più conosciuta con il nome di “Incompiuta”. Ancora oggi ci è ignoto il motivo per il quale Schubert non portò a compimento questo suo lavoro sinfonico, né sappiamo perché il manoscritto autografo, lasciato all’amico Hùttenbrenner, rimase dimenticato per quasi mezzo secolo: la prima esecuzione dell’”Incompiuta”, in due soli movimenti, ebbe luogo a Vienna solo nel 1865. Il 1823 è l’anno della Sonata per pianoforte, la D. 784, composta contemporaneamente alle musiche di scena per Rosamunde e per Fierrabras, un’opera romantica in tre atti tratta da diverse antiche leggende non solo tedesche. Fierrabras, venne rappresentata nel gennaio 1829, dopo la morte di Schubert, rappresenta il migliore tentativo teatrale dell’autore, con un riuscito dominio dei materiali propri del teatro d’Opera e un’acuta resa psicologica dei personaggi, oggi rivalutata.

 La Sonata D. 784 possiede una strutturazione preminentemente orchestrale, soprattutto nel primo tempo e vede una geniale e rivoluzionaria divisione del tema in piccole cellule melodiche, microscopici universi poetici che vengono solo abbozzati, per lasciarli scomparire e farli poi di nuovo rivivere. La forma Sonata viene completamente messa in discussione.Tra le sconfitte terrene e il raggiungimento delle vette dell’arteIl 1823 è un “Annus horribils” per Schubert. La malattia è comparsa in maniera violenta ed improvvisa, un’infezione venerea che, come un pungolo nella carne, concederà poche tregue e molta sofferenza e lo ucciderà in soli cinque anni. L’artista cade in profonda depressione; sola consolazione, la musica: risalgono a questo periodo alcuni dei suoi grandi capolavoriCome lo stupendo ciclo di Lieder Die schöne Müllerin (La bella mugnaia), composto da venti liriche su testi del poeta tedesco Wilhelm Müller (1794-1827) – lo stesso del Die Winterreise —, che cantano la struggente malinconia dell’amore deluso, il vagabondare privo di meta, la dolorosa estraneità al mondo, la sempre negata ricerca di pace e felicità. Schubert si rivolge sempre più alla forma del Lied. I versi appartengono sia ai poeti più grandi che a quelli minori: Heine, Goethe, Schiller, Klopstock, Kòrner, Kenner, e altri. Non mancano testi composti anche dagli amici. In essi Schubert riesce a combinare melodia, ritmo, e il legame musicale e poetico con le parole: la melodia instaura un costante gioco di specchi con i versi, canto vocale e canto pianistico si reggono su di una preziosa e misteriosa armonia.

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II castello degli Esterhàzy a Zseliz
in un acquerello di A.F. Se-ligmann
(1909; Vienna, Historisches
Mu-seum der Stadt).

L’anno dopo, cioè il 1824, vedono la luce il Quartetto per archi D. 810 “Der Tod und das Mädchen” (“La Morte e la fanciulla”), e, durante l’estate passata a Zseliz, ospite del conte Esterhàzy in qualità di insegnante delle figlie, la Sonata D. 812 op. 140, per pianoforte a quattro mani, che a Schumann parve dapprima la trascrizione di una Sinfonia, tanta era la sua originalità. Schumann stesso, poi, pubblicò per primo, nella sua rivista musicale Zeitschrift für Musik, il secondo movimento della Sonata D. 840, iniziata da Schubert nel 1825 e rimasta incompiuta. Nei due tempi rimasti assistiamo al contrasto tra la scrittura pianistica, quasi elementare nella sua semplicità, e una sconvolgente forza ricca di pathos. Quest’opera, venne pubblicata a Lipsia, nel 1861, con il titolo apocrifo di “Reliquia”.

La fortuna editoriale di Schubert, finalmente ricevette un qualche risarcimento nel 1825, e anche l’anno dopo.

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La contessina Caroline Esterhàzy,
allieva di Schubert, alla quale il musicista
dedicò la Fantasia per pianoforte a quattro mani.
Acquerello di Anton Hàhnisch.

Tre sue Sonate consecutive, quasi contemporaneamente, vedono finalmente la stampa. Schubert stesso offre la D. 845 all’editore Hiither, il quale gli risponde di volerla pubblicare solo dietro richiesta, da parte del compositore, di un modesto compenso, essendo egli solo un “principiante”. Schubert non dovette accettare, perché la Sonata passò a un altro editore, e fu pubblicata nel 1826. Questa sonata D. 845, dedicata all’arciduca Rodolfo, grande amico di Beethoven, è uno squisito esempio del pianismo schubertiano: un’atmosfera profondamente drammatica pervade il primo tempo, mentre il secondo è dominato da una struggente e malinconica bellezza; nel terzo siamo nella dimensione onirica più pura. Lo sprofondare della coscienza in un mondo al di fuori del tempo e dello spazio.

In tournée

Durante l’estate, Schubert parte per Steyr; vuole raggiungere l’amico Johann Michael Vogl, cantante di un certo successo. I due iniziano una piccola “tournée” in alcuni centri turistici in voga all’epoca, tra i quali Linz, Gastein, Salisburgo, in un clima improntato alla più pura “domesticità”: si tratta di esibizioni per un pubblico ristretto, in un’atmosfera intima, ai quali seguono inviti a pranzo o piccole cortesie per i due musicisti. Ferdinand Hiller (1811-1885), compositore, pianista, direttore d’orchestra e critico musicale, che ebbe modo di ascoltarli scrisse «Schubert aveva poca tecnica, Vogl poca voce, ma entrambi avevano tanta sensibilità ed erano così assorti nella loro esecuzione che le meravigliose composizioni non avrebbero potuto venire interpretate con maggiore chiarezza e nello stesso tempo con maggiore pienezza».

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Johann Michael Vogl e Schubert.
Caricatura allusiva
al loro viaggio nell’Alta Austria.
Collotipia da un disegno di Schoper,
1825 (Londra, Coli. Curt Sluzewski).

«Non si pensava », continua, «né all’esecuzione pianistica né al canto: era come se la musica non avesse bisogno di suoni materiali, come se le melodie, simili a visioni, si rivelassero a orecchie spiritualizzate». In quell’estate del 1825 Schubert compone la Sonata D. 850, pubblicata dal famoso editore Artaria, e dedicata all’amico Cari Maria von Bocklet, virtuoso di violino e di pianoforte. Composizione improntata su un piano brillante, ricco di effetti, e con una resa del ritmo assai vivace.

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Giochi di società degli amici di Schubert
a Atzenbrugg. Collotipia
da un dipinto di Leopold Kupelwieser
del 1821 (Vienna, Schubert Museum).

La “Sonata op. 78 D. 894″ ci riporta nel mondo poetico del vero Schubert, con un finale onirico, fatto di accenni sfumati e toni smorzati, che lo rendono estremamente difficoltoso dal punto di vista interpretativo. Schumann scrisse «Qui tutto è organico, tutto respira la stessa vita…Resti lontano dall’ultima parte chi non ha fantasia per scioglierne l’enigma».

La Sonata D. 894, fu pubblicata da Haslinger nel 1827, e costituirà per Schubert uno dei pochi successi di cui potrà godere in vita. Haslinger darà poi alle stampe i Due Improvvisi op. 90, le tre ultime Sonate, mentre i Quattro Improvvisi op. 142 non vedranno la luce che come opere postume.

Le Schubertiadi

Leopold Kupelwieser, pittore amico del musicista, ci ha consegnato la memoria immortale di uno di questi eventi: Schubert è in primo piano di spalle, mentre innanzi a lui si svolge un gioco di società. Le “Schubertiadi”, che in seguito verranno distorte in un’immagine falsata, sono qui rappresentate da Kupelwieser che ritrae sé stesso, Moritz von Schwind, pittori anch’essi, Anselm Huttenbrenner e Johann Michael Vogl, musicisti; Eduard von Bauernfeld e Johann Mayrhofer, poeti; Josef von Spaun e Franz von Schober, avvocati: tutti uniti nello spirito Biedermeier, in una simpaticamente scapestrata allegria tra amici, semplice e fine a sé stessa, alla quale Schubert partecipa, un pò assente. L’amico Joseph von Gahy scrive : «Le ore passate con Schubert sono tra i più vivi piaceri della mia vita, e io non posso pensare a quei giorni senza sentirmi profondamente commosso. Non era solo il fatto che in tali occasioni conoscevo molte cose nuove, ma mi davano gran piacere il modo chiaro, scorrevole di suonare, la concezione personale, il modo di seguire (talvolta delicato e talvolta pieno di fuoco e di energia) del mio piccolo compagno grassottello».

Nella solitudine della malattia che incombe, perso nel delirio onirico, Schubert scrive i suoi ultimi capolavori, ormai isolato dal mondo.


Nel 1826 l’attività compositiva di Schubert si dirada, ma vedono comunque la luce la Sonata D. 894 e al Quartetto D. 887. Ma è anche l’anno di un grande capolavoro orchestrale: la Sinfonia in do maggiore n. 9, detta “Die Grosse” (“La Grande”). La Società degli Amici della Musica di Vienna, inviò a Schubert un modesto compenso, ma la sua prima esecuzione venne rifiutata, per via della durata giudicata eccessiva e per la sua complessità. Dopo la morte di Schubert lo spartito entrò in possesso del fratello Ferdinand, per essere dimenticato. Almeno fino a quando non fu riscoperto da Robert Schumann.

Schumann scopre Schubert

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Ritratto di Schubert
di Wilhelm August Rieder
(1875; Vienna, Schubert Museum).

Schumann scoprì la Grande Sinfonia nel 1839, e la propose a Mendelssohn, allora direttore dell’orchestra del Gewandhaus di Lipsia. La sera del 21 marzo l’opera fu eseguita, ma limitata ai soli primi due movimenti. Schumann scrisse sulla sua rivista: «In questa Sinfonia si cela qualcosa di più di una semplice melodia e dei sentimenti di gioia e di dolore che la musica ha già espresso altre volte in cento modi; essa ci conduce in una regione in cui non possiamo ricordare di essere già stati prima […] oltre ad una magistrale tecnica musicale della composizione, qui c’è la vita in tutte le sue fibre […] v’è significato dappertutto […] e questa divina lunghezza della Sinfonia è come uno spesso romanzo in quattro volumi di Jean Paul, che non finisce mai, per l’ottima ragione di lasciar creare il seguito al lettore […]». E ancora Schumann si rivelò interprete acuto: la sinfonia infatti anticipa temi che vedremo poi in Bruckner e Mahler.

Il 1827, è l’anno dei due Trii, op. 99 e op. 100, per violino, violoncello e pianoforte (quest’ultimo usato nella colonna sonora del film Barry Lyndon di Stanley Kubrick, del 1975). Entrambi pubblicati postumi, vennero eseguiti dall’amico di Schubert, Bocklet, al pianoforte, Link al violoncello, e il grande virtuoso Schuppanzigh al violino. Rimangono fra le vette della musica da camera di tutti i tempi.

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Moritz von Schwind:
La Sinfonia
(Monaco, Neue Pinakothek).

Gli improvvisi

Schubert non trascura il pianoforte solo: è l’anno degli Improvvisi, cioè i quattro dell’op. 90 e gli altri dell’ op. 142. Il genere Improvviso (Impromptu in francese), era stato già sperimentato dal compositore e pianista boemo Jan Vàclav Vofisek (1791-1825), con sei brevi opere pianistiche, e la sua op. 7, pubblicate da Haslinger appunto con il titolo di Impromptus. Non si tratta di improvvisazioni, ma piuttosto di invenzione musicale. L’invenzione semplice, che si appoggia ad una melodia facilmente riconoscibile e trattata in un clima confidenziale, è alla base di quello che diverrà un genere frequentatissimo nell’Ottocento, e di cui le due raccolte di Schubert furono il primo esempio. I quattro “Improvvisi op. 142″, pubblicati solo nel 1839 da Diabelli, rivelano il lato fantastico, e visionario di Schubert. A proposito dell’op. 142 Schumann scrisse: «Nella prima parte c’è la decorazione leggera e fantastica tra i “riposi” melodici, una cosa che ci potrebbe cullare nel sonno: il tutto è stato creato in un’ora di sofferenza, come nella meditazione di cose passate».

Il “Winterreise’

Questo capolavoro risale alla fine del 1827. Il ciclo liederistico Winterreise (Viaggio d’inverno), è composto da ventiquattro liriche su testi sempre di Wilhelm Muller (il poeta morirà proprio in quell’anno). Essi sono dei Tableaux che fissano alcuni momenti esistenziali del singolo posto di fronte al mondo. Dinanzi ai nostri occhi si dipana una vicenda carica di profonda tristezza che sconcertò anche gli amici più intimi di Schubert. Winterreise è un’opera essenziale, minimalistica. Essenzialità d’espressione, intima esperienza di un dolore senza nome e senza ragione. Il pianoforte elabora lunghi preludi che preparano il canto di dolore affidato alla voce, oppure esso intona lunghi commenti o controcanti di musica pura; il doppio canto, si unisce ad un’unica voce, che sussurra la sofferenza sconfinata dell’anima, in un intrecciarsi appena pronunciato di ricordi, pensieri, sensazioni che perdurano durante il lungo viaggio, e non danno mai pace all’anima in pena. Alla voce è affidato qualcosa di più del canto: essa narra, recita, rivela con il pianoforte che rimarca le situazioni, riecheggia la voce, anch’esso deve dare qualcosa di più che un semplice accompagnamento. Il rapporto fra canto e pianoforte diventa osmotico, ambivalente, in un continuo celarsi e rivelarsi, nascondersi e trovarsi dell’anima con sé stessa, della ragione con il cuore, della coscienza con l’inconscio. Un modo di fare musica inconcepibile al tempo di Schubert.

L’ultimo Schubert

Dopo aver composto dei preziosi “Momenti musicali op. 94″, nello stile degli Improvvisi, il 1828 vede nascere le ultime tre Sonate per pianoforte. Sonate di “celestiale lunghezza”, pagine improntate sull’onirico vagheggiamento ai limiti dell’allucinato, un perdersi nel mondo dei sogni e degli incubi.

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Quartetto alla Krebsenhaus.
Dipinto di Otto Nowak
(Vienna, Österreichische
Nationalbibliothek).

Ad esempio la Sonata D. 958, che è la completa confutazione della forma Sonata, la negazione di ogni sviluppo, la perdita di una meta e un percorso precisi, la pura rincorsa al primo tema, quasi un “fiore azzurro irraggiungibile”, e poi, dopo averlo inseguito invano, la riduzione dello stesso in infinite particelle melodiche, per poi rincorrerlo di nuovo attraverso un sottobosco di ulteriori schizzi melodici; poi, nel finale, appare un improvviso, martellante ritmo di tarantella basata su un tema musicale molto semplice e assai drammatico allo stesso tempo. Lo sviluppo tematico si perde, come il viandante, e sta’ proprio nel suo vagare senza meta, il valore e musicale poetico della Sonata D. 959, che scardina i sentieri dei confronti dialettici tra i temi principali, e si conclude con degli accordi arpeggiati che evocano la suggestione del fantastico, ottenuti attraverso un Pianissimo rarefatto. La Sonata D. 960, l’ultima, prosegue su questo percorso con sorprendente compiutezza. Tutta l’atmosfera è affidata ancora al Pianissimo che produce un timbro allucinato, esasperato da stravaganti timbri ottenuti incrociando le mani sulla tastiera e usando il pedale di risonanza. La Sonata D. 960 anticipa di molto lo stile pianistico dell’epoca impressionista.

 

 
L’angolo del pianoforte nello studiodi Schubert al 21 di Wipplingerstrasse a Vienna.

Disegno di Moritz von Schwind del 1821

(Vienna, Historisches Museum der Stadt).

E’ il settembre del 1828, Schubert ha nuove ricadute della sua malattia. Il medico gli prescrive di trasferirsi in un ambiente più salubre e dove possa essere assistito. Si stabilisce quindi a casa del fratello Ferdinand, che risiede in un quartiere di Vienna più adatto alle condizioni di salute del musicista. Schubert cominicia a sentirsi meglio e compone le ultime tre Sonate e l’ultimo suo Quartetto per archi D. 956. Il mese dopo, sulla strada di ritorno da una visita alla tomba di Haydn, a Eisenstadt, di nuovo il suo fisico crolla. L’11 novembre Schubert dopo otto giorni di agonia, muore. Viene sepolto nel cimitero di Wahring, accanto alla tomba di Beethoven.

 

Schubert in cielo, festeggiato dagli altri musicisti.
Silhouette di O. Bölher (Vienna, Österreichische Nationalbibliothek).

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