Profughi in rivolta nel centro Caritas

Bergamo – La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il rifiuto da parte di Caritas di concedere un contributo economico per i profughi disposti ad andarsene dalla struttura. Erano giorni che arrivavano notizie da parenti, amici e conoscenti che informavano di aver ricevuto il contributo. Ma alla Casa d’accoglienza Monsignior Amedei la richiesta è stata respinta con fermezza. Allora, improvvisa, è scoppiata la rivolta dei profughi: sono stati distrutti acluni arredi e i migranti si sono barricati nel seminterrato con alcuni operatori. La questura è intervenuta con enormi difficoltà in una situazione delicata. Ci sono volute ore di trattative per fare uscire gli autori della protesta dal seminterrato. Lo stesso seminterrato dove dormono ogni notte. L’intervento dei reparti mobili della questura ha faticato ad arginare la rabbia dei profughi.  A questo punto la protesta si è spostata all’uscita del centro di accoglienza, in via San Bernardino, bloccando il traffico per oltre un’ora.

La richiesta era semplice: poter avere a disposizione un contributo dalla struttura, che per l’accoglienza riceve oltre 1300 euro al mese per ogni persona accolta. Dopo venti mesi di permanenza, sapendo che il 31 dicembre sarebbe dovuto scadere il piano accoglienza del governo, i profughi stanno tentando disperatamente di trovare delle risorse per poter andare avanti. Perchè ormai il limbo in cui sono stati parcheggiati è terminato e la consapevolezza di non aver nessuno strumento in più di quando sono arrivati in Italia, è diffusa.

Una prospettiva che ha presumibilmente esasperato gli animi tra chi da troppo tempo sperimenta una condizione di attesa e inerzia disumana. In assenza di qualunque opportunità e soluzione dignitosa alla propria condizione. Per chi ha lasciato la Libia per sfuggire alla guerra, tornare a casa a mani vuote non è certo un’opzione allettante, ma i profughi pretendono ora di tornare titolari del proprio destino e riconquistare libertà di movimento, dopo oltre un anno e mezzo di “deposito forzato”. In gioco c’è la dignità di migliaia di persone che in Italia si sono imbattute in una situazione di costrizione che ha le sembianze di un muro invalicabile.

I profughi sul territorio bergamasco sono arrivati anche a quota 300, dispersi in varie strutture su tutto il territorio provinciale. Il 31 dicembre è prevista la chiusura del piano di accoglienza e quindi finiranno i finanziamenti per le strutture. La scadenza è stata prorogata dal Ministero dell’Interno per ulteriori due mesi. Se è servita a poco l’accoglienza fornita finora, non si capisce perchè due mesi dovrebbero mutare la situazione. L’accoglienza sta per terminare, ma la pazienza delle persone sembra essere ormai esaurita.

 

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Caritas e l’emergenza profughi: il business dell’accoglienza

Bergamo – I profughi scappati dal nord Africa e approdati nella nostra provincia sono ormai più di 300. Sono condannati all’ozio dalla legge italiana che non permette loro di fare nulla, se non attendere il proprio turno per presentarsi a Milano di fronte alla Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale. Ma la speranza di ottenere lo status di rifugiato si assottiglia di fronte al duro responso dei primi 23 casi  esaminati: i dinieghi sono stati infatti ben 17.

Questo vale in particolar modo per chi è fuggito dalla Libia senza essere libico, infatti a trovarsi in maggior pericolo erano proprio gli stranieri, sospettati di essere mercenari al soldo di Gheddafi. Molti di essi mancano ormai da anni dai paesi d’origine, ma questo non sembra interessare i membri della commissione. Sfuggiti alle persecuzioni dei rispettivi regimi, alle guerre o alla miseria, arrivati in Libia dove lavoravano e guadagnavano bene, sono dovuti nuovamente scappare e ora rischiano di dover scegliere tra due alternative: rimanere in Italia come clandestini o essere rimpatriati nei loro paesi di origine. Questa opzione si presenta dopo mesi di inutile attesa, trascorsa nell’inoperosità forzata e dispersi a Lizzola, Albino, Bergamo, Palosco, Cene, Zogno, Camerata Cornello, Taleggio e Bianzano. Una petizione è stata indetta per richiedere il rilascio di un titolo di soggiorno ai richiedenti asilo provenienti dalla Libia.

Se questa situazione è imputabile alle normative che regolano le migrazioni nel nostro paese, un discorso a parte va fatto per analizzare come l’emergenza sia stata gestita nella nostra provincia, dove un ruolo predominante è stato svolto da Caritas.

Cominciamo col ribadire un dato che tutti tendono a dimenticarsi: i soldi per gestire l’accoglienza ci sono e non sono pochi. Per ogni profugo vengono stanziati 45 euro al giorno per coprire i costi di vitto, alloggio, alfabetizzazione, accompagnamento nelle pratiche burocratiche. Se moltiplichiamo questa cifra per il numero di profughi presenti nel nostro territorio e per la durata dell’accoglienza ci rendiamo conto che l’affare è enorme.

Cerchiamo allora di valutare la qualità del servizio di accoglienza erogato nei confronti dei profughi del Nord Africa.

Le testimonianze di operatori e richiedenti asilo concordano nel segnalare che le strutture di accoglienza sono ordinate secondo una gerarchia al cui livello inferiore si situa la Galgario. Quest’ultima è infatti la struttura peggiore in cui un profugo può finire, perché l’ospitalità viene garantita solo per la notte e l’ospite deve andarsene alla mattina per tornare alla sera, dopo avere trascorso tutta la giornata in giro. Essere costretti a gironzolare tutto il giorno può essere anche divertente il primo giorno, ma rischia di non essere un modello di integrazione efficace, soprattutto se inizia a protrarsi per mesi. La Galgario è riservata ai profughi più indisciplinati, che evidentemente violano le regole delle strutture dove sono ospitati. Accanto alle scontate regole di convivenza civile alcuni profughi testimoniano che è stato loro vietato di parlare con giornalisti, di partecipare a dibattiti e di rivolgersi autonomamente a sindacati per essere assistiti nella richiesta di asilo. Insomma le regole sembrano essere finalizzate non solo alla mera gestione della convivenza, ma bensì a un controllo che probabilmente travalica i compiti degli enti di assistenza.

A profughi giudicati problematici si rifiuta l’assistenza nel ricorso in caso di non riconoscimento dello status di rifugiato.

La dislocazione nelle strutture e l’assistenza per i ricorsi sono due tra i dispositivi che vengono utilizzati come strumento di controllo nei confronti dei profughi.

L’ambulatorio Oikos, che si occupa di garantire l’assistenza sanitaria ai migranti irregolari, ha rifiutato di prendersi in carico persone che, avendo un permesso di soggiorno come richiedenti asilo, avrebbero dovuto essere indirizzate direttamente all’ASL. Eppure tra i compiti degli enti ospitanti c’era anche l’accompagnamento per accedere al sistema sanitario nazionale

E’ curioso notare come, nel caso della Galgario, Caritas incassi già un contributo fisso per accogliere i senza fissa dimora. a cui può quindi sommare il fondo mensile per ogni singolo profugo, che viene inserito al posto dei senza tetto. Insomma si moltiplicano gli introiti senza raddoppiare il servizio. In altri casi Caritas ha stipulato delle convenzioni con soggetti privati che garantiscono vitto e alloggio ai profughi, senza però che a queste strutture venga erogata l’intera quota prevista, che viene curiosamente decurtata.

Eppure in altre città si sono sperimentati modelli di accoglienza diversi: a Torino per esempio ha prodotto ottimi risultati quella che l’amminitrazione ha definito accoglienza diffusa. Le associazioni più sensibili e attive sul tema delle migrazioni si sono assunte l’onere di raccogliere famiglie disponibili a ospitare i profughi e hanno svolto la funzione di coordinamento e monitoraggio. In questo modo i profughi sono stati inseriti in un contesto familiare, dove hanno potuto imparare l’italiano, hanno costruito relazioni, sviluppando progetti finalizzati all’autonomia. Il modello sperimentato a Bergamo da Caritas invece tende a mantenere in gruppi numerosi i profughi, a isolarli dalle reti sociali, deresponsabilizzandoli completamente anche nelle più elementari operazioni domestiche (pulizie). Gestire gruppi numerosi infatti ostacola l’assunzione di responsabilità e la partecipazione da parte dei migranti.

Presentarsi come l’unico ente in grado di gestire l’emergenza  fa sì che Caritas rappresenti l’unico modello di accoglienza possibile, anche se i risultati dal punto di vista qualitativo lasciano a desiderare.

L’accoglienza dei profughi a Torino è costata 400 euro al mese, a Bergamo costa più del triplo. Ma forse a qualcuno conviene così, fino al prossimo finanziamento…

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