Shubert DIE HIRTEN AUF DEM FELSEN

Il canto nostalgico di Franz Schubert

«La mia eterna ricerca tra le Suites di Bach»

di Alessio Tonietti

«La primavera arriverà, mia gioia, la primavera arriverà, e allora sarò pronto a partire». Sono le parole di un pastore solitario, che contempla la scura vallata sotto di sé e aspetta la primavera, quando potrà scendere e incontrare il suo amore. Ma la musica di Schubert non vuole descrivere il gelo invernale e nemmeno gli sterminati spazi che si aprono davanti al pastore. I suoi Lieder evocano sempre un mondo privato e raccolto, non esposto al rigore dei venti e delle stagioni. Il “viandante” tanto caro al suo mondo poetico non ci suggerisce un’affannosa ricerca, ma una nostalgia, un desiderio infinito. Una simile sensibilità è resa evidente dalla sua breve vita, priva di asperità come di gioie inaspettate, trascorsa in intimità con pochi amici fidati. La stessa predilezione per la voce smaschera il desiderio di rifugiarsi nel calore del corpo umano e, al contempo, di un accogliente focolare. In modo analogo, l’accompagnamento dei suoi Lieder non perde mai la semplice regolarità, che evoca terra solida sotto i piedi. Der Hirt auf dem Felsen (Il pastore sulle rocce) viene da alcuni considerato l’ultimo Lied del compositore austriaco.
Fu scritto nel 1828, per l’organico di voce, clarinetto e pianoforte, su richiesta di Pauline Anna Milder-Hauptmann, soprano di successo che aveva bisogno di un brano che strappasse applausi all’esigente pubblico viennese. Eppure, anche di fronte a esigenze così mondane e apparentemente superficiali, il canto schubertiano stringe il cuore. Non si abbandona a un vuoto virtuosismo ma dipinge immagini lontane, impossibili da raggiungere. Il pastore di montagna diventa Franz Schubert che sospira guardando il mondo dalla finestra. «Forse la primavera arriverà e io partirò». Se la primavera che aspettava sia infine arrivata, non si può sapere.

http://www.sistemamusica.it/2011/febbraio/14a.htm

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