Anton Cechov, arriva lo starnuto

Novelliere e drammaturgo russo (Taganrog, 1860 – Badenweiler, Germania, 1904).

Novelliere sommo  ed autore di opere teatrali la cui novità ispirò, all’inizio del XX secolo, al regista  Stanislavski una teoria della recitazione  fondata sulla ricerca della sincerità, sull’espressione degli stati d’animo e dei mezzi toni, Cechov, allo stesso tempo medico ed uomo di lettere, creò un’opera che fu inizialmente sinonimo di nostalgia sentimentale e d’esotismo slavo. Col tempo, la “piccola musica” dei suoi testi rivela una visione lucida, crudele e fondamentalmente tragicomica, della condizione umana.

La vita

Nipote di servo, figlio di  droghiere, Anton Cechov nasce nel 1860 a Taganrog, porto del Mar d’ Azov. L’ infanzia all’ombra di  un padre tirannico, in una famiglia di sei figli, è difficile. Sognatore, innamorato della natura, apprende rapidamente a sopravvivere in solitudine al centro di una famiglia numerosa ed all’ombra della tirannia paterna.  Dopo avere terminato il liceo, raggiunge nel 1879 i   genitori, che, a seguito del fallimento del padre, si sono trasferiti  a Mosca.

Studi di medicina ed inizi letterari

A diciannove anni, comincia i suoi studi di medicina pur mantenendo, grazie ai suoi primi successi letterari, la numerosa casata, responsabilità che sentirà  sua per tutta la  vita. Cechov scrive rapidamente delle novelle  e dei reportage, che pubblica sotto diversi pseudonimi in riviste umoristiche.

All’università, sta alla larga  dall’effervescenza politica degli anni ‘80 (assassinio di Alessandro II), e diffida degli estremismi e delle ideologie. Osservatore spietato, fa una constatazione rigorosa:  «La madre di tutti i mali russi, è l’ignoranza che sussiste in egual  misura in tutti i  partiti, in tutte le tendenze».  Si lega a Alexis Souvorine, direttore del grande giornale conservatore “Novoje Vremia” , che diventerà il suo editore. Nel 1884, la  doppia vita del giovane Dr. Cechov si concretizza con la pubblicazione della sua prima raccolta di novelle: «La medicina è la mia moglie legittima, la letteratura è la mia amante», scriverà. Nel 1888 appare La steppa, e  nel 1890 la sua sesta raccolta di novelle.

Il successo e l’impegno sociale

Incapace di trarre vantaggio dalla sua grande notorietà e nonostante i primi effetti della tubercolosi, parte per l’isola di Sakalin, ai confini della Siberia. Ha constatato che «tutto ciò che c’è di terribile nella vita si deposita in qualche modo nelle carceri», e le “carceri” sulle quali decide di indagare – in vero l’isola dove i deportati conducono una vita drammatica – anticipa il sistema dei campi di concentramento  che si vedranno nell’Europa del XX secolo. Dopo  un soggiorno di tre mesi, pubblicherà  uno studio molto documentato – allo stesso tempo geografico, sociologico e psicologico – sull’universo concentrazionario. La pubblicazione de L’isola di Sakalin, nel 1893, avrà per conseguenza l’abrogazione delle punizioni corporali, oggetto della sua denuncia.  Nel 1891, Cechov si reca sia in Francia, dove tornerà per farsi curare nel 1894 e nel 1897, sia in Italia. Nonostante il suo entusiasmo per Firenze e Venezia, ha nostalgia della Russia e della pianura moscovita; acquista, nel 1892, una proprietà a Melikhovo, dove riunisce  la sua famiglia. L’autore-medico si fa   giardiniere. In una casetta che fa costruire lontano dalla residenza invasa da visitatori, scrive La camera n° 6, Il  Monaco nero, Racconti  di uno sconosciuto ed Il gabbiano. Intensifica nel 1892 –1893, in occasione di un’epidemia di colera, la sua attività medica, che esercita per lo più gratuitamente, e maturerà  il racconto terribile intitolato Mugichi (1897). La sua malattia non rallenta il suo impegno sociale: fa ancora costruire tre scuole e, nel 1899, darà l’allarme all’opinione pubblica sulla carestia che regna nelle regioni della Volga  promuovendo una raccolta di  fondi.

Nel  1897, la tubercolosi peggiora, deve ammettere infine la sua malattia, vendere Melikhovo, lasciare i dintorni di Mosca per il clima più secco della Crimea. Va a vivere a Yalta nel  1899, dove pianta un nuovo giardino. Nel maggio del 1901, sposa Olga Knipper, una giovane attrice del teatro d’Arte che ha conosciuto  tre anni prima in occasione del trionfo del Gabbiano a Mosca. Mentre  lei lavora a Mosca, lui resta solo, esiliato in una regione che non ama; sa di essere spacciato, soffre, scrive. Dopo avere assistito al trionfo della sua ultima commedia, Il Giardino dei ciliegi, in cerca di  una guarigione, viaggia in Germania con sua moglie. Ma muore in viaggio, nel luglio del 1904, a Badenweiler. Ha quarantaquattro anni.

Un autore stoico

Avverso a qualsiasi sistema, a qualsiasi dogmatismo, a qualsiasi dispotismo, lavoratore accanito, Cechov è impastato di contraddizioni: è innamorato della vita, ma seriamente malato, sensibile ma lucido, tenero ma senza passioni. Svolge  la sua esistenza tra un intenso coinvolgimento nel reale (la sua attività sociale) ed una aspirazione al  ritiro, alla distanza, spesso presa per indifferenza. La sua opera  riflette un processo di costruzione interna, quella di un uomo libero che vuole farla finita con gli strascichi della schiavitù (la servitù della gleba  è stata abolita soltanto nel 1861), ma anche disfarsi di ogni  illusione, rifiutare le risposte già confezionate. Dopo Sakalin, respinge le idee di Tolstoj, alle quali si è avvicinato  ad un certo punto, e prende posizione, ne La camera n°6, contro l’ignoranza e l’oscurantismo retrogrado del ritorno alla natura e dell’ascetismo religioso: crede al progresso e alla scienza, alla medicina, ma senza esaltazione. Il  lungo corpo a corpo con la sofferenza e la morte, quella degli altri e la sua, lo induce a un amore disincantato, a una acuta visione del mondo.

Il “testimone imparziale”

Alla ricerca della giustizia sociale corrisponde quella della precisione nella scrittura, della semplicità senza riboboli, della brevità, della concisione e dell’obiettività: «L’artista non deve essere il giudice dei suoi personaggi né di ciò che dicono, ma soltanto il testimone imparziale», scrive, e quanto alla essenzialità narrativa: «Se nella vostra storia  descrivete un fucile, questo poi deve sparare».

Senza peripezie  o ricerca d’effetti, le sue novelle descrivono una realtà non idealizzata, esistenze banali, la vita   quotidiana, dove ogni ricerca spirituale è strettamente radicata  in dettagli prosaici. Lo stile è laconico, a volte allusivo e preciso:  «Più è breve, meglio è ».  Cechov ha molta  cura dei dettagli materiali – suoni, gesti, colori, forme, sapori -, che sa scegliere, combinare, senza accumularli. A metà strada tra un realismo reso trasparente dal lavoro sulla lingua ed il simbolismo, il suo stile tende verso una natura dove le annotazioni fuggitive (rumori, colori, immagini), le digressioni liriche, il tratteggio spietato, l’espressione dei sentimenti  confusi  e contraddittori, le descrizioni della natura russa ed i dialoghi si mescolano in una  miscela dolce-amara. In ogni novella, questa prosa musicale dal ritmo spesso ternario (frase strutturata in tre parti) si chiude bruscamente su un accordo dissonante che apre il racconto anziché chiuderlo e lascia un’impressione sfuggente, ambigua.

Il drammaturgo

La stessa atmosfera regna nel teatro di Cechov, raggiunta attraverso dialoghi fatti di scambi banali, di silenzi prolungati, di frammenti di parole dirette o oblique, di rotture di tono, di slittamenti, di lacerti di canzoni o di citazioni, di divagazioni, tutti elementi connessi in un ordine che, se sembra essere quello della vita stessa, è tuttavia innanzi tutto frutto di  una costruzione.

Un nuovo approccio al teatro

Cechov scrive inizialmente dei brevi vaudeville, rappresentati  con successo, che lo affinano sull’uso sapiente dei caratteri e dei tipi, prima di terminare Ivanov (1889), la sua prima grande pièce, quindi  Spirito dei boschi, che, rimaneggiato, diventa Zio Vania (1897). L’autore stesso  trova che le sue pièce  non si prestino al gioco scenico, mentre la critica gli  rimprovera  di disprezzare la forma drammatica. Le prime messe in scena dello Spirito dei boschi e del Gabbiano (1896) sono d’altronde  dei fallimenti. Portando sulla scena la vita nella sua continuità, imponendo il  tempo narrativo del romanzo, Cechov sembra “deteatralizzare” il teatro.

Ma nei fatti, scopre una struttura drammaturgica nuova caratterizzata dalla soppressione dell’eroe a beneficio del gruppo – un coro sprovvisto di centro dove ciascuno conserva tuttavia la sua individualità -, dai piccoli intrighi distribuiti tra personaggi  anch’essi  episodici, dal miscuglio dei generi (dramma, farsa, commedia, tragedia), dall’importanza del tempo e dalla composizione paradossale.

Se c’è poca azione apparente, se i personaggi si distinguono per la loro aspirazione a trasformare il mondo e la loro inanità, sono tuttavia lungi dal rimanere inattivi in scena: Cechov li presenta in un quotidiano scelto, d’occasione,  sia durante  feste familiari (anniversari, incontri ufficiali, balli, scampagnate), sia durante eventi drammatici (incendi, vendita di una proprietà, partenze), altrettanti punti di snodo  delle vite individuali e collettive.

Il tempo Cechoviano

A  differenza del tempo contratto del dramma classico, il tempo in Cechov è un flusso inesorabile che si conta in ore, settimane, mesi o anni (due anni passano tra gli atti III ed IV del Gabbiano, quattro tra l’inizio e la fine delle Tre sorelle). È una forza contro la quale l’uomo non può lottare, che usura i personaggi fisicamente e psichicamente – gli slanci rivoluzionari di Trofimov (Il Giardino dei ciliegi) sono contraddetti dal suo aspetto “appesantito”.  Punteggiato da crisi in germe che si riassorbono nel grigiore  del quotidiano, il tempo cecoviano lavora le vite deteriorando gli esseri e gli oggetti. Cechov iscrive l’”adesso” dei suoi drammi   in due direzioni temporali che lo allargano: il ciclo naturale delle stagioni e la doppia evocazione di un passato e di un futuro lontani, sotto una luce ironica che neutralizza il tragico. Senza essere sinonimo di sospensione né di letargia, le pause famose Cechoviane  danno il senso dello scorrere  lento del tempo come esige lo svolgimento dell’azione.

Antieroi presi al laccio  del quotidiano

L’ intrigo  nasce dall’incontro dei personaggi in circostanze eccezionali, si evolve a partire da un grumo di fatti che, nella vita, passerebbero inosservati, per ripiombare, incompiuti, nel quotidiano.  L’attesa, stato sensibile di molteplici eventi – e che annuncia il teatro dell’assurdo -, è uno dei modi d’esistenza scenica dei personaggi cecoviani, antieroi consapevoli del fallimento della  loro vita. I drammi sono costruiti intorno ad una grande immagine totalizzante ad un tempo reale e simbolica – la natura selvaggia (Il gabbiano), Mosca (Le tre sorelle, 1900), un frutteto meraviglioso (Il Giardino dei ciliegi, 1904) -, che si staglia  di fronte alla separazione dolorosa e alla deflagrazione dei rapporti  tra esseri votati alla solitudine, lontano dalla città o dalla casa dove hanno le loro radici.

I protagonisti provengono dalla media borghesia  terriera, militare, intellettuale, artistica. Di qualsiasi età, hanno tra loro legami di parentela, d’amicizia, di potere (padroni e servi). Fra loro, si trova spesso un medico ed un personaggio senza statuto sociale ben definito, come Charlotte l’ illusionista (Il Giardino dei ciliegi).  Complessi, finemente caratterizzati, in preda a salti bruschi d’umore, agiscono senza ragioni evidenti, provano emozioni multiple e contraddittorie, perduti talora nella chiacchiera nervosa, sperduti talaltra nel silenzio.

La forza del non-detto

Cechov non spiega nulla, lascia l’immaginazione dello spettatore intervenire in queste pause di cui punteggia la sua drammaturgia, momenti di disagio o di riflessione, dove il non-detto, così significativo quanto il detto, è espresso attraverso una lingua gestuale o suggerito da rumori, indicati in lunghe didascalie (indicazioni d’autore). Gli atti violenti ai quali possono ricorrere i personaggi, come il suicidio (Tre sorelle, Il gabbiano), non sciolgono le situazioni, ma sottolineano di più l’assenza di un’uscita da esse. La musica tiene in questi drammi un posto importante (Cechov ne indica espressamente  l’impiego) allo stesso titolo della musicalità della scrittura.

Interpretare Cechov

Il regista  Stanislavski ha sottoposto ad una lettura analitica  le pièce  di Cechov – che portò al  trionfo a Mosca a partire da 1898 -, grazie al suo metodo detto del “realismo psicologico”, il quale  esige che gli attori giustifichino costantemente con la loro vita interna il comportamento esterno del personaggio e che facciano sentire al pubblico tutto il contenuto latente del testo, evocato da un insieme di elementi non verbali, scambi di sguardi, gesti e movimenti di scena, che arricchiscono le battute rafforzando il loro senso o contraddicendolo.

È in quest’interpretazione, diventata tradizionale, che il teatro di Cechov è stato recitato in Europa e che è stato introdotto in Francia, in particolare da Georges Pitoëff, un emigrato russo, e ripreso negli anni  ‘50  del secolo scorso da  suo  figlio, Sacha.   La scena contemporanea opera un ritorno in forza a Cechov: i più grandi registi  europei, come Peter Brook, Giorgio Strehler o Peter Stein, hanno dato interpretazioni memorabili quanto diverse del Giardino dei ciliegi o de le Tre sorelle.

Uno sguardo lucido sul mondo

Il successo attuale delle pièce  di Cechov potrebbe spiegarsi con la caduta delle grandi ideologie nel  secolo appena tramontato. Lungi dall’essere un maître à penser, Cechov mostra l’impossibilità di risolvere il tragico individuale con l’impegno politico o sociale; incita tuttavia all’azione, senza illusioni, suggerendo che si possa migliorare la società con la cultura e mediante la scienza. Mette in dubbio la distinzione abituale tra i fatti giudicati essenziali e quelli che sembrano senza importanza, iscrivendo ogni evento nella vita quotidiana, senza isolarlo dal suo contesto. Non didattico, ironico, puntando sugli altri e su se stesso  uno sguardo acuto, da clinico, Cechov sa smorzare ogni eccesso d’emozione, mescolando il tragico, il triviale  ed il comico. Attraverso un’arte sfumata  e modesta, suggerisce  precisazioni fondamentali sull’esistenza umana.

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Giù il cappello: arriva “Lo Starnuto”

Il genere di racconto breve è stato scritto da molti narratori: fino ad ora ho parlato di scrittori americani, ma ce n’è uno che dall’Europa e dal secolo XIX passa sopra quasi tutti gli altri:
Anton Cechov

Una magnifica sera un non meno magnifico usciere, Ivàn Dmitric’ Cerviakòv, era seduto nella seconda fila di poltrone e seguiva col binoccolo “Le campane di Corneville. Guardava e si sentiva al colmo della beatitudine. Ma a un tratto… Nei racconti spesso s’incontra questo “a un tratto”. Gli autori han ragione: la vita è così piena d’imprevisti! Ma a un tratto il suo viso fece una smorfia, gli occhi si stralunarono, il respiro gli si fermò… egli scostò dagli occhi il binoccolo, si china e… eccì!!! Aveva starnutito, come vedete.

Starnutire non è vietato ad alcuno e in nessun posto. Starnutiscono i contadini, e i capi di polizia, e a volte perfino i consiglieri segreti. Tutti starnutiscono. Cerviakòv non si confuse per nulla, s’asciugò col fazzolettino e, da persona garbata, guardò intorno a sé:

non aveva disturbato qualcuno col suo starnuto? Ma qui, sì, gli toccò confondersi. Vide che un vecchietto, seduto davanti a lui, nella prima fila di poltrone, stava asciugandosi accuratamente la calvizie e il collo col guanto e borbottava qualcosa. Nel vecchietto Cerviakòv riconobbe il generale civile (1) Brizzalov, in servizio al dicastero delle comunicazioni.

«L’ho spruzzato!», pensò Cerviakòv. «Non è il mio superiore, è un estraneo, ma tuttavia è seccante. Bisogna scusarsi».

Cerviakòv tossì, si sporse col busto in avanti e bisbigliò all’orecchio del generale:

– Scusate, eccellenza, vi ho spruzzato… io involontariamente… – Non è nulla, non è nulla…

– Per amor di Dio, scusatemi. Io, vedete… non lo volevo!

– Ah, sedete, vi prego! Lasciatemi ascoltare!

Cerviakòv rimase impacciato, sorrise scioccamente e riprese a guardar la scena. Guardava, ma ormai beatitudine non ne sentiva più. Cominciò a tormentarlo l’inquietudine. Nell’intervallo egli s’avvicinò a Brizzalov, passeggiò un poco accanto a lui e, vinta la timidezza, mormorò:

– Vi ho spruzzato, eccellenza… Perdonate… Io, vedete… non che volessi…

– Ah, smettetela… Io ho già dimenticato, e voi ci tornate sempre su!

– disse il generale e mosse con impazienza il labbro inferiore.

«Ha dimenticato, e intanto ha la malignità negli occhi», pensò Cerviakòv, gettando occhiate sospettose al generale. «Non vuol nemmeno parlare. Bisognerebbe spiegargli che non desideravo affatto… che questa è una legge di natura, se no penserà ch’io volessi sputare. Se non lo penserà adesso, lo penserà poi!…».

Giunto a casa, Cerviakòv riferì alla moglie il suo atto incivile. La moglie, come a lui parve, prese l’accaduto con troppa leggerezza; ella si spaventò soltanto, ma poi, quando apprese che Brizzalov era un “estraneo”, si tranquillò.

– Ma tuttavia passaci, scusati, – disse. – Penserà che tu non sappia comportarti in pubblico!

– Ecco, è proprio questo! Io mi sono scusato, ma lui in un certo modo strano… Una sola parola sensata non l’ha detta. E non c’era neppur tempo di discorrere.

Il giorno dopo Cerviakòv indossò la divisa di servizio nuova, si fece tagliare i capelli e andò da Brizzalov a spiegare… Entrato nella sala di ricevimento del generale, vide là numerosi postulanti, e in mezzo ai postulanti anche il generale in persona, che già aveva cominciato l’accettazione delle domande. Interrogati alcuni visitatori, il generale alzò gli occhi anche su Cerviakòv.

– Ieri, all’Arcadia, se rammentate, eccellenza, – prese a esporre l’usciere,-io starnutii e… involontariamente vi spruzzai… Scus…

– Che bazzecole… Dio sa che è! Voi che cosa desiderate?-si rivolse il generale al postulante successivo.

«Non vuol parlare!», pensò Cerviakav. impallidendo. «E’ arrabbiato dunque… No, non posso lasciarla così… Gli spiegherò… ».

Quando il generale finì di conversare con l’ultimo postulante e si diresse verso gli appartamenti interni, Cerviakòv fece un passo dietro a lui e prese a mormorare: – Eccellenza! Se oso incomodare vostra eccellenza, è precisamente per un senso, posso dire, di pentimento!…

Non lo feci apposta, voi stesso lo sapete!

Il generale fece una faccia piagnucolosa e agitò la mano.

– Ma voi vi burlate semplicemente, egregio signore! -diss’egli, scomparendo dietro la porta.

«Che burla c’è mai qui?», pensò Cerviakòv. «Qui non c’è proprio nessuna burla! E’ generale, ma non può capire! Quand’è così, non starò più a scusarmi con questo fanfarone! Vada al diavolo! Gli scriverò una lettera e non ci andrò più! Com’è vero Dio, non ci andrò più!».

Così pensava Cerviakòv andando a casa. La lettera al generale non la scrisse. Pensò, pensò, ma in nessuna maniera poté concepir quella lettera. Gli toccò il giorno dopo andar in persona a spiegare.

– Ieri venni a incomodare vostra eccellenza, – si mise a borbottare, quando il generale alzò su di lui due occhi interrogativi, – non già per burlarmi, come vi piacque dire. Io mi scusavo perché, starnutendo, vi avevo spruzzato… e a burlarmi non pensavo nemmeno. Oserei io burlarmi? Se noi ci burlassimo, vorrebbe dire allora che non c’è più alcun rispetto… per le persone…

– Vattene! – garrì il generale, fattosi d’un tratto livido e tremante.

– Che cosa? – domandò con un bisbiglio Cerviakòv, venendo meno dallo sgomento.

– Vattene! – ripeté il generale, pestando i piedi.

Nel ventre di Cerviakòv qualcosa si lacerò. Senza veder nulla, senza udir nulla, egli indietreggiò verso la porta, uscì in strada e si trascinò via… Arrivato macchinalmente a casa, senza togliersi la divisa di servizio, si coricò sul divano e… morì.

http://lachiesadellestorie.ilcannocchiale.it/2006/04/24/giu_il_cappello_arriva_lo_star.html

Il treno in Pirandello e CECHOV

http://www.controappuntoblog.org/2012/11/05/il-treno-in-pirandello-e-cechov/

‘Il vendicatore’ di Anton Čechov

http://www.controappuntoblog.org/2012/03/12/il-vendicatore-di-anton-cechov/

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