Strike / Stachka – Sergei Eisenstein – 1925

In una fabbrica della Russia pre-rivoluzionaria, il suicidio di un operaio ingiustamente punito provoca lo sciopero degli operai, già da tempo in agitazione per l’esiguità dei salari e le dure condizioni di lavoro. I giorni passano senza che le richieste dei lavoratori vengano accolte. Mentre gli scioperanti sono costretti, per sopravvivere, a vendere o impegnare tutto ciò che posseggono, la polizia cerca di dividere e isolare i promotori dell’agitazione facendo ricorso alle minacce, alle provocazioni e alla corruzione. Infine, visti inutili tutti i tentativi per indurre gli operai a far ritorno nella fabbrica, la polizia assalta le loro case massacrando uomini, donne e bambini.

Primo lungometraggio di S.M. Ejzenštejn. Basato su due principi (le masse come protagoniste; rinuncia alla tradizionale trama narrativa), è, visto oggi, un affascinante film sperimentale di laboratorio, un brogliaccio più che un’opera compiuta e organica, ricco di metafore ora folgoranti per forza plastica, ora intellettualistiche e persino ingenue. Ma attraverso la sua frammentarietà s’intravede una struttura musicale più che narrativa in 3 tempi. Anni dopo Ejzenštejn riconobbe (spontaneamente?) che l’opera era affetta dalla malattia infantile dell’estremismo.

Il Morandini – Dizionario dei film, Zanichelli

Dopo l’esperienza fatta presso il teatro del Proletkul’t, nel 1924 Ejzenštejn si accosta decisamente al cinema in quanto è convinto che i mezzi cinematografici siano i più idonei per dare espressione adeguata alle proprie idee e teorie poetiche. Il passaggio dal teatro al cinema è dunque per il regista sovietico un passo verso il nuovo, verso ciò che l’uso della tecnica offriva all’uomo e all’artista (così come è indubbio segno di progresso l’abbandono del vecchio aratro per un moderno trattore).

Sciopero fu concepito dal Proletkul’t come quinto film di una serie di otto (gli altri sette non furono mai realizzati) che avrebbero dovuto trattare i vari stadi della lotta rivoluzionaria sostenuta in Russia dal proletariato. Il tema dello sciopero offriva già di per sé la possibilità di sostituire alle figure individuali, agli eroi che spiccano sulle masse nei film tradizionali, un personaggio “collettivo” : la classe sociale del proletariato. La massa – nota SkIovskij – è protagonista vera del film in quanto vi agisce concretamente, non è entità astratta, ma possiede una sua storia, sue peripezie, una sua autonomia di scelta. Sciopero è inoltre privo di “intreccio”, di “trama-narrazione”, dal momento che non esiste un collegamento di causa-effetto fra una serie di eventi privilegiati sugli altri. Esiste un “soggetto” ( la “mutua azione delle masse”), ma manca quasi completamente la dimensione drammaturgica. Tanto il mettere in risalto la personalità d’un eroe quanto la sostanza stessa della trama-narrazione, sottolinea Ejzenštejn, sono prodotti di una concezione del mondo individualista, e non compatibili con una concezione classista del cinema.

Osservando il film di Ejzenštejn, non ci troviamo di fronte alla storia di uno sciopero, bensì a un discorso sullo sciopero come forma di lotta politica e sociale, sulle contraddizioni che esso apre, sul tipo di reazioni che scatena. L’intreccio, si è detto, è assente; al suo posto abbiamo un “racconto” costituito da una serie di “quadri”, singoli episodi che non sono in relazione diretta fra loro, ma la cui caratteristica comune è il tema di fondo attorno al quale tutti ruotano: lo sciopero, appunto. È il “montaggio delle attrazioni” che trova nel cinema, più di quanto non accadesse nel teatro, il mezzo espressivo più congeniale. Secondo questa sua teoria, Ejzenštejn osserva che nel cinema quel che importa non sono i fatti mostrati, ma la combinazione delle reazioni emotive del pubblico. È teoricamente e praticamente pensabile, quindi (e Sciopero lo dimostra) una costruzione senza legame causale, che provochi una catena di riflessi condizionati, associati per volontà del montatore agli avvenimenti introdotti, col risultato che si viene a stabilire, collegata a quegli stessi avvenimenti, una nuova catena di riflessi. È questa la realizzazione dell’impostazione su un effetto tematico, cioè l’esecuzione del compito propagandistico. All’infuori dell’ “agit”, sottolinea il regista, non c’è, o meglio non ci dev’essere un cinema.

Ejzenštejn definisce perfettamente il contenuto e le scelte tematiche ed espressive di ciascun episodio del film immettendovi spesso il confronto fra l’episodio stesso ed un evento diverso che, per analogia di contenuto, lo chiarifica e lo “carica” emotivamente (basti qui ricordare i buoi sgozzati al mattatoio alternati e “confrontati” con il massacro degli operai portato a termine dalle forze della repressione). In tal modo, il regista crea un’opera dialettica, estremamente articolata, ove l’uso della didascalia esplicativa assume unicamente il compito di siglare i vari capitoli di cui il film è composto. Sciopero è opera “rivoluzionaria” anche da un punto di vista strettamente formale. L’intelligente uso di vari e numerosi espedienti tecnici (quali la dissolvenza, il montaggio alternato incrociato, la sovrapposizione delle inquadrature, la scomposizione geometrica di uno stesso fotogramma) tendenti ad esprimere il “patto sociale” tramite una serie di “figure retoriche” (analogie, sineddochi, metafore, metonimie) apre a tutta la cultura cinematografica prospettive nuove, che Ejzenštejn per primo svilupperà nelle opere successive. Lo sperimentalismo delle avanguardie storiche in Sciopero trova una sintesi convincente e vede aprirsi nuove possibilità espressive nell’ambito di un’arte autenticamente realista. È in queste motivazioni di fondo che va ricercata l’estrema originalità non solo di Sciopero, ma di tutta la produzione di Ejzenštejn, nella sua costante tensione ad aprire al cinema tutte quelle innumerevoli vie che gli sono proprie.

Guido Aristarco

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IL CINEMA SOVIETICO

http://www.controappuntoblog.org/2012/10/25/il-cinema-sovietico/

per voi il cinema

http://www.controappuntoblog.org/2012/08/05/per-voi-il-cinema/

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