Appunti di regia su L’eccezione e la regola

Appunti di regia su L’eccezione e la regola
Appunti di Strehler su Brecht in occasione della messa in scena di tre suoi drammi didattici: L’eccezione e la regola (storica regia strehleriana del 1962 ripresa nel 1995 da Gianfranco Mauri), Quanto costa il ferro e scene da Terrore e miseria del Terzo Reich (regia di Carlo Battistoni)

Appunti sullo spettacolo L’eccezione e la regola di Bertolt Brecht

Dal Programma – stagione 1995-96

Il grande e grave circo della Storia
(Non chiuderemo un’altra volta gli occhi)    

L’eccezione e la regola, dramma didattico di Bertolt Brecht fu rappresentato al Piccolo Teatro nel maggio del 1962 in uno spettacolo che metteva in contatto il teatro epico con il “teatro realistico” quest’ultimo rappresentato da un atto unico di Arthur Miller dal titolo Ricordo di due lunedì. Due modi di fare teatro e due tecniche di recitazione venivano a costituirsi come due poli dialettici davanti al pubblico. Appariva chiaro che la metodologia usata nella messinscena dell’una e dell’altra opera, sia come “forma” che come “stile” di recitazione appariva molto diversa, ma ambedue gli spettacoli erano drammaticamente validi e accessibili al pubblico che ne decretò un grande successo.
Oggi ripresentiamo L’eccezione e la regola nell’ambito della nostra ricerca e riproposta dell’autore Brecht, per conoscerlo meglio e per discuterlo con maggiore serenità e distacco.
I drammi didattici di Brecht appartengono ad un periodo ben definito della cronistoria dell’autore. Questo periodo, più o meno va dal 1928 al 1934. Appaiono così allora La linea di condotta, Il dramma didattico di Baden Baden (L’accordo), Il volo di Lindberg (che prese anche il nome di Il volo sull’oceano, per volontà dell’autore che considerò assai criticamente la posizione fascista del primo trasvolatore atlantico). Nacquero l’opera da camera Mahagonny, Il consenziente e Il dissenziente, L’eccezione e la regola, Teste tonde e teste a punta e Gli Orazi e i Curiazi, l’ultimo “dramma didattico” (che verrà rappresentato solo nel 1958).
Il momento è quello di una scoperta di Brecht, che studiando da una parte il teatro Nô e il Kabuki e dall’altro approfondendo lo studio sulle teorie marxiste, realizza una forma di teatro “non gastronomico” cioè non concepibile solo per divertirsi ma anche per imparare e per insegnare. Nella forma più semplice, meno realistica possibile, Brecht pone alcuni problemi, mette in drammaturgia alcuni interrogativi che gli sembrano urgenti. Il pubblico dovrà decidere i torti e le ragioni dei fatti e dei personaggi. Nonostante i grandi equivoci suscitati – Brecht freddo ideologo che “mostra” senza arte e calore umano proponendo “solo” teoremi politici – questa fase del teatro brechtiano è assai importante nell’evoluzione della sua scrittura, si integra in modi assai complessi con le sue opere successive. Ci è sembrato necessario mostrarla oggi con uno spettacolo che, muovendo dal nostro vecchio lavoro di teatro, lo rinnova in molte parti. Sulla traccia viva della prima Eccezione e la regola Gianfranco Mauri, allora interprete del ruolo del portatore, ha ricostruito perfettamente l’opera sulla scena reinventata da Luciano Damiani al Teatro Studio. Io l’ho rivista, si può dire, dal “di fuori” e ho continuato poi il suo lavoro fino alla fine. Gli interpreti di oggi sono attori noti e cari del Piccolo e molti ex-allievi del primo corso, ormai lontano, della nostra Scuola di Teatro, la scuola “fantasma” di cui credo il pubblico ha sentito parlare.
Nel lavoro mi è apparso ancora più chiaro uno degli scopi dei drammi didattici, mai sottolineato a sufficienza; che cioè il dramma deve insegnare qualcosa non solo al pubblico ma, innanzitutto, a coloro che lo interpretano. Ho visto sotto i miei occhi gli attori recitare con una nuova tecnica, con una nettezza che non è però frigidità, con un’autocoscienza di uomini prima che di attori, mostrata sempre come un avvenimento dialettico. Così ho capito, io stesso ancora meglio, che la verità dei drammi didattici è quella di mostrare agli spettatori un processo dialettico dove si è costretti a decidere. Al di là delle idee politiche o degli accenti sociali dell’autore.
Il valore estetico dell’Eccezione e la regola mi è apparso ancora più evidente; e non ha nulla di primitivo, non ha nemmeno quella secchezza che molti hanno voluto attribuire a Brecht.
Penso che il pubblico troverà utili queste mie riflessioni e ne farà a sua volta altre, le proprie, per discuterle con se stesso.
Accanto all’Eccezione e la regola abbiamo allestito un breve e folgorante “fatto teatrale”, non “didattico” come denominazione ma ugualmente ammaestrante. Quanto costa il ferro? è una “farsa da circo”, ma il circo è il grande e grave circo della Storia in un momento terribile della civiltà europea. La regia è di Carlo Battistoni, mio caro compagno di lavoro da decenni, che partecipa con sapienza e umiltà alle nostre avventure.
Alle soglie della Seconda Guerra mondiale, Brecht scrisse, nell’esilio in Svezia, questa crudele ed esilarante (ma fino a quanto?) parabola dove l’ascesa  di Arturo Ui procede implacabile e dove i clowns che lo attorniano non se ne vogliono rendere conto. Le date segnate, 1938-1939, sono cruciali per il nostro passato: sono il prologo, non ancora del tutto sanguinoso, del conflitto mondiale che seguirà di pochi mesi. L’ultima scena si svolge ancora nel 1939, ma un 1939 circondato da drammatici interrogativi. La guerra sarebbe sicuramente scoppiata e sarebbe stata terribile. Brecht lo sapeva, Brecht lo diceva, Brecht avvertiva – non come un veggente ma come un uomo che vede la storia nella sua realtà – che la catastrofe sarebbe avvenuta e presto. Il modo, i metodi, le date esatte non poteva saperle. Ma noi oggi sappiamo, e possiamo vedere quanta tragica verità sta nel “circo” nei clowns dello spettacolo. Dobbiamo porci l’unica domanda ineluttabile: perché “gli altri” non poterono capire ciò che era facile capire? Forse tutto questo può servire a noi tutti per guardare con maggiore attenzione a ciò che ci accade intorno; e chiederci se lo stiamo guardando attentamente, da persone coscienti, il “circo d’Italia” che è pieno anche lui di clowns e del quale, bene o male, anche noi facciamo parte.
Come conclusione della serata abbiamo fatto precipitare questo spettacolo composito, ma nello stesso tempo molto unitario, nella realtà: quella di Terrore e miseria del Terzo Reich. Due brevi scene e un tragico monologo, della “moglie ebrea”, interpretate da Giulia Lazzarini che passa sempre stupendamente da un personaggio all’altro, anche il più lontano.
Per me è agghiacciante ritrovare, ad ogni scena, altre date; la prima 1935, la seconda 1936, la terza 1937, in luoghi diversi della Germania. Per arrivare poi al 1938 e infine al 1939 di Quanto costa il ferro? Ci è quasi impossibile credere che l’Orrore abbia avuto tanti anni a disposizione per trascinare il mondo in uno spaventoso massacro umano. E constatare come nessuno abbia saputo e capito e agito contro. Nessuno o pochissimi. Allora a quei pochissimi e a tutti noi è dedicato oggi questo lavoro. Vogliamo credere che “noi tanti” non chiuderemo un’altra volta gli occhi alla realtà che sta lì davanti a noi, ai segni che essa ci dà, e che, questa volta, capiremo per impedire altre catastrofi, altre tragedie per il nostro e altrui futuro.

Giorgio Strehler

http://archivio.piccoloteatro.org/brecht/?tipo=6&ID=74&imm=1&contatore=9&real=0

http://controappunto.altervista.org/appunti-di-regia-su-leccezione-e-la-regola/

Trama:
La storia di un viaggio. Sfruttatori e sfruttati, soli in un deserto, alla ricerca dell’oro nero, davanti al fiume della pace.

Un apologo di Brecht può aiutare meglio a capire: il mercante Langmann attraversa il deserto di Jahí con un portatore carico di bagagli. Ha fretta, insulta e bastona il portatore perché non indugi. Durante una sosta il portatore gli si avvicina per offrirgli dell’acqua. Il mercante crede che la borraccia sia una pietra e che il portatore voglia colpirlo. Estrae la pistola e lo uccide. In tribunale si giustifica: «Ma io come potevo supporre che fosse una borraccia? Non c’era ragione perché quell’uomo mi offrisse da bere. Non gli ero amico». E il giudice, saggiamente: «In altre parole, voi avete avuto ragione di supporre che il portatore nutrisse rancore contro di voi. Avreste, cioè, ucciso un uomo che nella fattispecie era innocuo, ma del quale voi non potevate sapere che era innocuo. Qualche volta capita lo stesso alla polizia. Sparano sulla massa dei dimostranti, su uomini pacifici, soltanto perché non riescono a capire come mai questi uomini non li abbiano sbalzati di sella e linciati. Questi poliziotti sparano perché hanno paura, ecco tutto. E che abbiano paura è prova di buon senso. Voi non potevate sapere che quel portatore rappresentava l’eccezione! Non è così?». Di qui la sentenza: «Il mercante e il portatore appartenevano a classi diverse, e il mercante doveva aspettarsi da lui il peggio. Non poteva credere a un atto di amicizia da parte del portatore, dato che (come ha confessato lui stesso) lo aveva maltrattato. La ragione lo avvertiva che stava correndo un grave pericolo. L’accusato quindi ha agito in stato di legittima difesa, e poco importa che fosse realmente minacciato o che solo supponesse di esserlo: date le circostanze doveva necessariamente sentirsi in pericolo. L’accusato pertanto è assolto.


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