Dance Dance Dance : Murakami Haruki

MURAKAMI DANCE DANCE DANCE – english Сканирование: Янко ..

Un giornalista free lance esegue il suo lavoro con impegno e professionalità ma senza nessuna passione; una giovane receptionist in un albergo, un po’ nevrotica, invece ama il suo lavoro; un attore di successo, idolo delle ragazzine, lavora per pagare i suoi debiti e recita senza più distinguere il set dalla vita reale. Una tredicenne problematica vive praticamente da orfana pur avendo madre, padre e patrigno.
Questi i protagonisti di Dance Dance Dance, di Murakami Haruki, romanzo nel quale si confondono gli ingredienti del thriller e quelli del racconto introspettivo.
Il tema è quello caro allo scrittore giapponese, della ricerca del sé e del timore di perdere le persone che amiamo; della solitudine profonda dell’umanità che neanche l’amore spesso riesce a colmare. In questo romanzo viene riproposto all’interno di una narrazione ricca di colpi di scena, profonda e appassionata che si svolge tra realtà e finzione, esperienza e sogno.
Un giornalista improvvisamente “avverte” il richiamo di una donna con la quale ha avuto una relazione, scomparsa senza lasciare tracce di sé. Eppure adesso lui ne sente il pianto, sente che lei lo chiama e lo spinge a tornare nel luogo che li ha visti felicemente insieme, l’Albergo del Delfino. Decide di partire da qui ma quando vi ritorna di quell’albergo non è rimasto nulla, se non il nome, completamente inghiottito in maniera misteriosa da una nuova struttura super lusso per persone facoltose e uomini d’affari. Il primo incontro fondamentale è con la ragazza della reception che gli aprirà, involontariamente, alcuni spiragli tra i segreti dell’albergo. Il protagonista/narratore dovrà quindi improvvisarsi detective per cercare di sbrogliare la matassa e capire cosa c’è dietro la serie di sparizioni e omicidi, e per farlo dovrà vincere la paura e guardare fino in fondo dentro di sé. Scoprirà luoghi inquietanti, che sembrano reali ma dove i morti invadono il mondo dei vivi mentre i vivi sembrano già persi in uno spazio di morte. E sullo sfondo una società intellettualmente vivace ma intrisa di solitudine, capitalista e consumista, dove è quasi impossibile costruire relazioni profonde.
Il protagonista ha uno “spirito-guida” che lo indirizza nella sua ricerca, l’uomo pecora che vive nella stanza buia dell’ex Albergo del Delfino. Il giornalista non sa come ma sa che non può fare altro e allora mette da parte tutto, lavoro, interessi, anche un sentimento che sta nascendo ma che sente di non poter vivere finché non sarà approdato a qualche risposta. In questo percorso incontra una adolescente difficile, dotata di poteri paranormali, con la quale vivrà una relazione strana ma profonda; un vecchio compagno di scuola, che gli offrirà una amicizia vera e che scoprirà essere diverso dal personaggio affascinante che appare di fronte alle telecamere; un americano poeta e senza un braccio ma di una umanità disarmante. E donne: una fotografa completamente persa nel suo mondo di artista; prostitute d’alto bordo, sapienti sacerdotesse dell’eros; persone comuni oppure problematiche, ma mai banali. E dovrà cercare il filo che lega tutti questi avvenimenti.
Murakami Haruki, nato a Kyoto nel 1949 è uno degli scrittori più apprezzati in Giappone e da alcuni anni anche in Europa. Nella sua narrativa è facile scorgere le tracce della letteratura americana, di cui ha tradotto molti autori come Fitzgerald, Capote, Salinger, ma il suo stile rimane personale ed originalissimo.

Recensione di Denia

http://www.slowcult.com/letteratura/dance-dance-dance

ho finito ieri di leggerlo, devo dire che raramente un libro mi ha stimolato riflessioni tanto divergenti, da una parte quasi di rifiuto per tutta la metafisica contenuta dell’uomo capra, gli altri mondi, gli scheletri che guardano la tv e gli assassini inconsapevoli che ammazzano le ombre consenzienti poi si buttano nel mare, dall’altra parte ha toccato qualcosa dentro che anche ieri sera, mentre tornavo in macchina sotto un’acqua scrosciante, emergeva al punto da sentirmi in qualche modo vicina al protagonista della storia, una sorta di sintonia che va al di là dei contesti così diversi così lontani; forse se l’avessi letto molti anni fa l’avrei trovato ridicolo, e anche questo è un contrasto forte, da una parte è un libro giovanissimo, per l’età dei protagonisti, per i riferimenti musicali, per il giappone della modernità, dall’altra è un libro per vecchi, nel senso non anagrafico, ma della riflessione sulla vita, sulle esperienze, sulle possibilità si rivedere rivivere ma soprattutto vivere, la vita. mi ha fatto venire voglia di musica, intanto, ma tanta musica, e anche perchè no, di danzare, ovviamente non in senso letterale. e non mi sembra poco per un libro.

Romanzo bellissimo e spiazzante. Un’atmosfera noir che si snoda lentamente tra la quasi banalità di una dettagliatissima descrizione di immagini e gesti quotidiani ed un’angoscia esistenziale che sconfina nel paranormale. La storia è data da un percorso del protagonista nella sua interiorità alla ricerca di uno scopo, di una meta, e questo viaggio segue i dettami di un giallo intricato ed inquietante costellato di protagonisti assolutamente affascinanti. Sullo sfondo un Giappone modernissimo ed ultraoccidentale ed un minuzioso repertorio di musiche, abitudini e simboli degli anni 80 commentati dalle folgoranti considerazioni del protagonista. Interessantissimo il contrasto, peraltro non percepibile durante la lettura, tra l’assoluta assurdità della vicenda nel suo insieme e l’incredibile realismo, cui contribuisce un dialogo scarno ed essenziale, di ogni singolo tassello della stessa vicenda. Veramente godibile, da consigliare

http://www.ibs.it/code/9788806174347/murakami-haruki/dance-dance-dance.html

Incipi

Capitolo primo

Mi accade spesso di sognare l’Albergo del Delfino.

Dal sogno si direbbe che ne faccio parte in modo stabile. La forma dell’albergo appare distorta. È molto lungo e stretto. Tanto lungo e stretto da sembrare, più che un albergo, un lungo ponte coperto da un tetto. Un ponte che si estende, in tutta la sua lunghezza, dall’antichità alla fine del mondo. Io ne faccio parte. Lì dentro c’è anche qualcuno che piange. E io so che piange per me.

L’albergo mi comprende dentro di sé. Riesco a percepire le sue pulsazioni e il suo calore. Nel sogno, sono una parte dell’albergo.

Mi sveglio. Subito cerco di capire dove mi trovo. Me lo chiedo perfino ad alta voce: — Che razza di posto è questo? — Ma è una domanda superflua.

Prima ancora di formularla, so già la risposta.

Questo posto è la mia vita. La vita che vivo tutti i giorni, un’appendice della mia esistenza reale. Un insieme di eventi, fatti, circostanze che stento a riconoscere e tuttavia, senza accorgermene, sono diventati un prolungamento del mio essere. A volte accanto a me c’è una donna che dorme. Ma in genere sono solo. Con il rumore dell’autostrada che corre proprio di fronte alla mia casa, un bicchiere di vetro sul comodino (sul fondo un rimasuglio di whisky, non più di cinque millimetri) e la luce ostile – no, più che altro indifferente – del mattino, piena di pulviscolo. Qualche volta piove. In quel caso, resto a oziare nel letto. Se nel bicchiere è rimasto del whisky, lo bevo. E guardando la pioggia che cade dalla grondaia penso all’Albergo del Delfino. Provo piano piano a stirare le braccia, le gambe. E mi assicuro del fatto che questo corpo è proprio il mio e non una parte di qualche altra cosa. Ma ho ancora in mente la sensazione di quando sognavo. Nel sogno, se solo provo ad allungare un braccio, subito l’immagine che mi contiene comincia a muoversi tutta, come se il mio gesto avesse messo in azione un complicato congegno idraulico: il movimento si trasmette, lento ma inesorabile, da un ingranaggio all’altro, producendo nel suo passaggio un suono quasi inavvertibile. Se tendo le orecchie, forse riuscirò a capire in che direzione procede. Ci provo. E nel farlo percepisco la voce fievole di qualcuno che singhiozza. Riesco appena a sentirla. Un pianto che arriva da un punto imprecisato dell’oscurità. Qualcuno sta piangendo per me.

L’Albergo del Delfino esiste davvero. Si trova in un anonimo quartiere di Sapporo. Qualche anno fa ci ho passato una settimana. Un attimo però, voglio ricordare bene. Cercare di essere preciso. Esattamente quanti anni fa? Quattro, anzi, per l’esattezza quattro e mezzo. Non avevo ancora trent’anni. Ci andai con una donna. Fu lei a sceglierlo. Disse che dovevamo assolutamente scendere lì. Credo che se non fosse stata lei a volerlo, non sarei mai approdato all’Albergo del Delfino.

Era un albergo piccolo e modesto, del quale sembravamo essere gli unici clienti. Durante quella settimana, nella hall mi capitò di incontrare al massimo due o tre persone, e non ebbi modo di capire se anche loro pernottassero lì. Ma siccome sul quadro alla reception a volte mancavano alcune chiavi, ne dedussi che forse c’erano altri clienti oltre a noi. Magari non molti, ma c’erano. D’altra parte è abbastanza improbabile che in una grande città un albergo indicato da un’insegna e segnalato sulle Pagine Gialle resti vuoto. Ma ammesso che ci fossero altri clienti, doveva trattarsi di persone straordinariamente discrete. Non solo non avemmo mai occasione di vederle, ma nemmeno sentimmo mai il minimo rumore o scorgemmo alcun segno della loro presenza. A parte la posizione delle chiavi alla reception, che ogni giorno cambiava leggermente.

Forse percorrevano i corridoi trattenendo il respiro e rasentando i muri come pallide ombre. Ogni tanto si sentiva il cigolio, anche questo molto discreto, dell’ascensore che saliva o scendeva, ma cessato quel rumore tornava il silenzio, ancora più profondo di prima.

Insomma, era un albergo piuttosto strano.

Mi faceva pensare a un processo evolutivo entrato in una fase di stallo. A una regressione genetica. A un organismo malformato, sviluppatosi in una direzione irrimediabilmente sbagliata. Questa forma di vita orfana, estinto il suo vettore evolutivo, era rimasta sospesa, immobile, in un limbo spaziotemporale. Non era colpa di nessuno. Nessuno l’aveva danneggiata di proposito, e nessuno avrebbe potuto salvarla. Ma il vero sbaglio era stato costruire un albergo in quel luogo. I vari problemi erano cominciati di lì. Da quell’errore iniziale erano discesi tutti gli altri. Una volta che si sbagli ad abbottonare il primo bottone, è inevitabile che tutti gli altri risultino spostati. Ogni successivo tentativo di riparare a tale errore di impostazione, aveva solo creato ulteriore confusione. Il risultato era che tutto in quell’albergo appariva deformato in ogni sua più piccola parte. Così deformato che se uno osservava qualcosa lì dentro per troppo tempo, si trovava senza neanche accorgersene a inclinare la testa. Anche se, beninteso, si trattava di un grado di inclinazione così minimo da non causare grossi problemi. A stare lì a lungo, probabilmente si finiva col non farci più caso. Salvo poi, tornati nel mondo normale, continuare a guardare inclinando allo stesso modo la testa.

http://www.recensionieincipit.com/index.php?option=com_content&view=article&id=402:incipit-di-dance-dance-dance-di-haruki-murakami&catid=35:incipit&Itemid=54

Kafka sulla spiaggia di Murakami Haruki

http://www.controappuntoblog.org/2012/07/25/kafka-sulla-spiaggia-di-murakami-haruki/

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