Sonderkommando : È SCOMPARSO SHLOMO VENEZIA 01/10/2012

Il termine sonderkommando o, al plurale, sonderkommandos (in italiano: unità speciale) identificò gli speciali gruppi di deportati, per la maggior parte di origine ebraica, obbligati a collaborare con le autorità nazionalsocialiste all’interno dei campi di sterminio nel contesto della Shoah. Compito principale dei sonderkommandos fu collaborare con le SS nel processo di sterminio di altri ebrei deportati insieme a loro, durante le operazioni di rimozione dei corpi dalle camere a gas e quelle successive di cremazione.

Vita e morte nei sonderkommando

I sonderkommando furono attivi in molti campi di sterminio nazisti: Auschwitz, Sobibór, Treblinka, Majdanek e Bełżec. I potenziali membri di questa speciale unità venivano selezionati dalle autorità dei campi direttamente all’arrivo dei convogli di deportati: erano principalmente giovani ebrei di robusta costituzione fisica, necessaria per il gravoso lavoro. I sonderkommando raggiunsero notevoli dimensioni di manodopera impiegata, soprattutto ad Auschwitz – principale centro di sterminio dell’apparato nazista – dove vennero impiegati fino ad oltre 1.000 deportati. I membri di questa unità vivevano in appositi settori dei campi, completamente separati dai restanti deportati per impedire ogni fuga di notizie.

Normalmente i sonderkommando ricevevano, da parte delle autorità tedesche di guardia ai lager, un trattamento migliore: maggiori quantità di cibo, migliori vestiti ed anche, per meglio sopportare l’orribile lavoro, alcoolici.

Nelle parole di Primo Levi, internato ad Auschwitz ed autore di Se questo è un uomo:

« Aver concepito ed organizzato i Sonderkommandos è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo. […] Attraverso questa istituzione, si tentava di spostare su altri, e precisamente sulle vittime, il peso della colpa, talché, a loro sollievo, non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti »
(Primo Levi, tratto da I sommersi e i salvatilibro on-line)

Molti storici e alcuni deportati sopravvissuti criticarono successivamente l’operato dei sonderkommando accusandoli di «non aver fatto nulla», di non essersi ribellati, di non aver rifiutato l’infame compito, di non aver preferito la morte all’orribile lavoro. Lo stesso Primo Levi li definì «corvi neri del crematorio» e li dipinse come brutali, selvaggi, criminali. Tuttavia la sua non è una condanna senza appello ma anzi chiede una riflessione più profonda; infatti, nelle sue parole:

« Quelli di cui sappiamo, i miserabili manovali della strage, sono dunque gli altri, quelli che di volta in volta preferirono qualche settimana in più di vita (quale vita!) alla morte immediata, ma che in nessun caso si indussero, o furono indotti, ad uccidere di propria mano. Ripeto: credo che nessuno sia autorizzato a giudicarli, non chi ha conosciuto l’esperienza del Lager, tanto meno chi non l’ha conosciuta. Vorrei invitare chiunque osi tentare un giudizio a compiere su se stesso, con sincerità, un esperimento concettuale: immagini, se può, di aver trascorso mesi o anni in un ghetto, tormentato dalla fame cronica, dalla fatica, dalla promiscuità e dall’umiliazione; di aver visto morire intorno a sé, ad uno ad uno, i propri cari; di essere tagliato fuori dal mondo, senza poter ricevere né trasmettere notizie; di essere infine caricato su un treno, ottanta o cento per vagone merci; di viaggiare verso l’ignoto, alla cieca, per giorni e notti insonni; e di trovarsi infine scagliato fra le mura di un inferno indecifrabile. Qui gli viene offerta la sopravvivenza, e gli viene proposto, anzi imposto, un compito truce ma imprecisato. »
(Primo Levi, tratto da I sommersi e i salvatilibro on-line)

In effetti non esistevano alternative per un deportato selezionato per il sonderkommando, o la morte immediata oppure la tenue speranza di sopravvivere almeno per qualche mese: anche in caso di rifiuto qualcuno sarebbe stato “convinto” a prendere il loro posto. I pochissimi sopravvissuti di queste unità speciali, a differenza di molti altri deportati, non sentirono, in maggioranza, la necessità di scrivere le loro impressioni e memorie: il loro destino di «complici dei carnefici» era troppo crudele anche per essere ricordato. Rimangono solo poche testimonianze, tra le quali quella dell’italiano Shlomo Venezia, che cercano di inquadrare meglio il problema della collaborazione:

« Perché fai un lavoro così esecrabile, perché vivi, a quale scopo vivi, che cosa ti aspetti, dove vuoi arrivare con una vita così. Qui sta il punto cruciale del nostro Kommando, che non ho affatto intenzione di difendere nella sua totalità. A questo punto devo dire la verità, che alcuni di questo gruppo si sono talmente lasciati andare con il passare del tempo che ce ne vergognamo. Hanno semplicemente dimenticato che cosa stessero facendo e col tempo si sono abituati a tal punto, [da] farci disperare per il fatto che uomini così normali, comuni, semplici, modesti, volenti o no, si siano a tal punto assuefatti a tutto, da non provare più alcuna emozione per quanto accadeva. Ogni giorno assistono alla morte di decine di migliaia di uomini e [non provano] niente. […] Non si aveva mai a che fare con uomini vivi. Questo aveva un forte [effetto] psicologico nel limitare l’impressione della tragedia […] »
(Salmen Lewental, sopravvissuto del sonderkommando di Auschwitz)

 

« se siete vive, leggerete non poche opere che saranno state scritte a proposito del Sonderkommando. Ma io vi prego di non giudicarmi mai negativamente. Se tra noi c’erano buoni e cattivi, io sicuramente non sono stato tra questi ultimi. Senza paura del rischio e del pericolo, ho fatto in questo periodo tutto quello che era in mio potere per mitigare il destino degli infelici »
(Haim Herman, manoscritto sepolto e ritrovato dopo il conflitto nei pressi dei forni crematori di Auschwitz)

Nonostante le molte critiche alcuni membri cercarono di resistere (vedi sotto), altri preferirono suicidarsi, altri – e forse furono la maggioranza – persero ogni inibizione morale, reagendo con l’apatia all’orrore, ben sapendo che di lì a poco avrebbero seguito lo stesso destino di coloro che stavano collaborando ad uccidere pagando così, con la vita, il prezzo dei loro “peccati”. Rudolf Höss, primo e storico comandante del campo di concentramento di Auschwitz, così descrisse, seppur con chiaro intento denigratorio, una scena che in qualche maniera cerca di descrivere i livelli di degrado umano che venivano raggiunti:

« […] nell’estrarre i cadaveri da una camera a gas, improvvisamente uno del Sonderkommando si arrestò, rimase per un istante come fulminato, quindi riprese il lavoro con gli altri. Chiesi al kapò che cosa fosse successo: disse che l’ebreo aveva scoperto tra gli altri il cadavere della moglie. Continuai ancora ad osservarlo per un certo tempo, ma non riuscii a scorgere in lui nessun atteggiamento particolare. Continuava a trascinare i suoi cadaveri, come aveva fatto fino ad allora. Quando, dopo un poco, ritornai al comando, lo vidi seduto a mangiare in mezzo agli altri, come se nulla fosse accaduto. Possedeva una capacità sovraumana di celare le proprie emozioni, o era diventato talmente insensibile da non saper più reagire? »
(Rudolf Höss, tratto da Comandante ad Auschwitzulteriori passi tratti dal libro)

A conoscenza della verità che si celava dietro l’eufemistico termine soluzione finale della questione ebraica, il sistematico sterminio del popolo ebraico, i sonderkommando vennero a loro volta periodicamente eliminati per mantenere il segreto circa il destino di milioni di persone deportate da tutta l’Europa controllata dai nazisti. Nel campo di concentramento di Auschwitz, ad esempio, si susseguirono negli anni 12 diversi sonderkommando eliminati di volta in volta al termine delle diverse aktion – termine con il quale i tedeschi definivano lo sterminio dei diversi gruppi nazionali. Ogni sonderkommando “viveva” tre mesi, per poi essere sostituito da un nuovo sonderkommando.

Al termine del conflitto rimasero in vita solo poche decine di appartenenti ai sonderkommando, tra i quali, come detto, l’italiano Shlomo Venezia. Testimonianze dirette di membri dei Sonderkommando sono presenti nel documentario Shoah di Claude Lanzmann.

Compiti dei sonderkommando

I membri dei sonderkommando non collaborarono direttamente alle operazioni di uccisione che vennero effettuate esclusivamente da personale tedesco mediante monossido di carbonio in una prima fase e successivamente con Zyclon B (acido cianidrico). I compiti principali dei sonderkommando consistevano in:

  • Accompagnare, insieme al personale delle SS, i nuovi arrivati verso le camere a gas cercando di inculcare un senso di falsa sicurezza in coloro che stavano per essere uccisi. Era loro vietato, pena la morte, svelare quello che di lì a poco sarebbe successo. Questo non avveniva certo per motivi umanitari: la notizia avrebbe potuto generare rivolte e di conseguenza rallentato il processo di sterminio.
  • Aiutare i deportati a svestirsi dei loro abiti ed accompagnarli fino alle camere a gas, normalmente mascherate da locali doccia.
  • Rimuovere i corpi dalle camere a gas dopo l’avvenuta gassazione.
  • Estrarre eventuali denti d’oro dai cadaveri.
  • Radere i capelli delle donne uccise. I capelli venivano poi imballati ed inviati in Germania dove venivano utilizzati dall’industria tedesca.
  • Ripulire le camere a gas e prepararle nel minor tempo possibile per un nuovo gruppo di deportati.
  • Trasportare i corpi verso i crematori.
  • Alimentare i forni crematori con i cadaveri.
  • Disperdere le ceneri dopo la cremazione.

Inoltre, con l’avvicinarsi del termine del conflitto, i sonderkommando vennero impiegati per nascondere le tracce dell’avvenuto sterminio operando per:

  • Dissotterrare e cremare in grandi roghi le vittime precedentemente non cremate
  • Smantellare gli impianti di sterminio occultando ogni prova visibile attraverso la demolizione dei fabbricati e lavori di sistemazione del terreno.

Resistenza dei sonderkommando

Nonostante l’orribile compito a loro assegnato, e il generalizzato disprezzo che veniva loro rivolto dagli altri deportati, i membri dei sonderkommando, cercarono, ove possibile, di organizzare forme di resistenza:

  • Alcuni membri nascosero diari e documenti che comprovavano i meccanismi dello sterminio. La maggior parte delle prove venne seppellita in contenitori metallici nei dintorni dei crematori e molti di essi sono stati ritrovati dopo decenni.
  • In collaborazione con la resistenza esterna ed interna ai lager cercarono di far conoscere al mondo “esterno” quello che stava accadendo all’interno dei campi di sterminio attraverso prove fotografiche e documenti sottratti alle autorità tedesche. Queste notizie, raccolte tra inimmaginabili difficoltà e a rischio della vita, vennero fatte filtrare dalla Resistenza – principalmente quella polacca – fino alle nazioni alleate: in molti casi esse vennero semplicemente ignorate.
  • Ove possibile cercarono di sabotare, rallentandolo, il processo di sterminio.

L’evasione di massa da Sobibór

Il Campo di sterminio di Sobibór fu teatro dell’unico tentativo riuscito di rivolta da parte di prigionieri ebrei in un campo di concentramento.

Il 14 ottobre 1943, alcuni membri di un’organizzazione interna segreta con a capo l’ufficiale dell’armata rossa Aleksandr Pečerskij, riuscirono ad uccidere 11 guardie delle SS e un certo numero di guardie ucraine: sebbene il loro piano consistesse nell’uccidere tutto il personale delle SS e fuggire in massa dal campo, tali uccisioni vennero scoperte anticipatamente rispetto ai piani, e gli internati iniziarono a fuggire sotto i colpi di fucile delle altre guardie. Circa metà dei 600 internati a Sobibór riuscirono a fuggire dal campo; tuttavia la gran parte venne ripresa e fucilata nei giorni successivi, ma circa 50 riuscirono a sopravvivere alla guerra. I nazisti decisero perciò di chiudere e smantellare il campo, e cercarono di occultare il luogo, piantando centinaia di alberi.

La rivolta del sonderkommando di Auschwitz

L’episodio più importante (e forse più conosciuto) di resistenza dei sonderkommando avvenne il 7 ottobre 1944 quando i membri del sonderkommando di Auschwitz – nell’imminenza di una preventivata fine dovuta all’esaurirsi della deportazione degli ebrei ungheresi – si ribellarono alle SS uccidendone tre e facendo saltare un forno crematorio (Krematorium IV) con dell’esplosivo ottenuto grazie alla collaborazione di alcune donne “civili” polacche impiegate presso le fabbriche di munizioni dei dintorni.

La rivolta si risolse in un bagno di sangue, i deportati ribelli vennero sterminati e le SS intrapresero una serie di ricerche su coloro che avevano collaborato a procurare l’esplosivo e aiutato a farlo pervenire all’interno del campo. Il risultato di tali ricerche fu l’impiccagione di quattro donne polacche il 6 gennaio 1945: Ròza Robota, Ella Garner, Estera Wajcblum e Regina Safirsztajn.

Bibliografia

  • Shlomo Venezia, Sonderkommando Auschwitz. La verità sulle camere a gas. Una testimonianza unica, Rizzoli, 2007, ISBN 8817017787
  • Hermann Langbein, Uomini ad Auschwitz. Storia del più famigerato campo di sterminio nazista, Mursia, 1992, ISBN 8842513482
  • Salmen Gradowski, Sonderkommando. Diario da un crematorio di Auschwitz, 1944, Marsilio, 2002, ISBN 8831779117
  • AA.VV., La voce dei sommersi. Manoscritti ritrovati di membri del Sonderkommando di Auschwitz, Marsilio, 1999, ISBN 8831772457
  • AA.VV., Testimoni della catastrofe. Deposizioni di prigionieri del Sonderkommando ebraico di Auschwitz (1945), Ombre Corte, 2004, ISBN 8887009511
  • Primo Levi, I sommersi e i salvati, collana Gli Struzzi, Einaudi, 1986, pp. 181, ISBN 8806126594
  • Nyiszli Miklòs, Sono stato l’assistente del Dottor Mengele, Zane, 2008, ISBN 889032273X

http://it.wikipedia.org/wiki/Sonderkommando

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