Mostra del Cinema di Venezia: quest’anno al Lido si porta la religione: ma mi sa che non è Dreyer

mercoledì 5 settembre 2012

Mostra del Cinema di Venezia: quest’anno al Lido si porta la religione: ma mi sa che non è Dreyer


Che sia anche questo un segno della crisi (non solo economica, ma di civiltà) dell’Occidente?

Fulvio Caprara


Quest’anno al Lido si porta la religione

Alzare lo sguardo verso l’alto, interrogarsi, sperare che in un altrove la vita possa essere migliore di qui. Non si era mai vista al Lido una simile sventagliata di film di argomento religioso. Dall’inizio con, Il fondamentalista riluttante di Mira Nair, fino ad oggi, con la Bella addormentata di Marco Bellocchio, la passerella di titoli sul tema non si è mai interrotta. Forse la crisi acuisce il bisogno di spiritualità, forse il desiderio di soprannaturale si avverte con più forza, ma è un fatto che così tanti autori abbiano sentito, tutti insieme, nello stesso periodo storico, il bisogno di indagare i territori della fede.

Se il film di Bellocchio, che ieri è sbarcato al Lido accompagnato da quasi tutto il cast, il figlio Piergiorgio, Maja Sansa, Isabelle Huppert, Roberto Herlitzka, Alba Rohrwacher, Michele Riondino, (Toni Servillo è in arrivo oggi), ha scatenato polemiche già mentre veniva girato, molti titoli visti in questi giorni alla Mostra hanno aperto confronti vivaci, discussioni, schieramenti. Non a caso, tra le immagini più singolari della rassegna, resterà quella di Ken Loach, il regista militante di tanti film sulla classe operaia, che riceve dal Patriarca il Premio della Fondazione Ente dello Spettacolo, in accordo con i Pontifici Consigli della Cultura e delle Comunicazioni sociali del Vaticano. Un connubio insolito, che ha stupito molti, ma che in fondo è perfettamente in linea con l’aria del tempo.

Così, mentre Bellocchio s’interroga sull’eutanasia mettendo in scena le diverse posizioni sul tema, senza giudizi preventivi, ma, anzi, lasciando allo spettatore la libertà di considerare ogni scelta, Loach riceve un premio cattolico pronunciando un discorso contro il capitalismo. Tutto si tiene, perfettamente. Come nel giorno in cui, a fare da contraltare alla provocazione di Ulrich Seidl in Paradise Faith, con la rappresentazione degli eccessi malati di una fede maniacale, il cartellone del festival proponeva le Clarisse di Liliana Cavani, documentario sulla vita delle suore e sulla loro posizione subalterna rispetto alle figure maschili della gerarchia cattolica.

Ma non basta. Nei film dei due maestri americani, To the wonder di Terrence Malick, e The master di Paul Thomas Anderson, la tensione religiosa è centrale. Nel primo l’amore è inteso come rappresentazione più alta della presenza di Dio, nel secondo campeggia il bisogno di una fede cieca e totale, capace di risollevare l’equilibrio mentale distrutto di un reduce di guerra alcolizzato. In To the wonder, l’unico baluardo contro l’inevitabile usura dei rapporti tra uomo e donna è «l’amore che ci ama», quello più alto e superiore che viene dal Cielo. In The master, la nascita della setta di Scientology è anche una risposta al senso di solitudine e di inadeguatezza, un altro modo di pregare e di credere.

Le differenze, integralismo e non, spiccano anche in Fill the void di Rama Bursthein, dove una ragazza di famiglia ebrea ortodossa rinuncia ai propri sogni per venire incontro ai desideri della comunità cui appartiene. E naturalmente nel Fondamentalista riluttante dove la tragedia delle Torri gemelle dirotta sul terreno dell’intransigenza religiosa la vita di un giovane pakistano che, all’inizio della storia, vediamo innamorato del sogno americano.

(Da: La Stampa del 5 settembre 2012)

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