Protests in China over disputed islands

Da quando gli Usa si sono spostati sull’Asia la tensione militare è alle stelle

Ben McLannahan e Geoff Dyer

La disputa fra e Giappone e Cina sull’isola contesa di Sensaku è solo l’ultima in ordine di tempo. Le tensioni regionali sono aumentate quando gli Stati Uniti hanno annunciato i piani per lo spostamento della propria forza navale dall’Atlantico al Pacifico.  Scelto e tradotto dal Financial Times.

18 settembre 2012 – 11:29

Il segretario alla difesa statunitense Leon Panetta ha chiesto «calma e moderazione» in mezzo alle aspre dispute cino-giapponesi sulla catena di isole nel Mare Orientale Cinese, preoccupato che le tensioni possano sfociare in un conflitto regionale che coinvolgerebbero gli Stati Uniti.

In un discorso tenuto a Tokyo, Panetta ha dichiarato che gli Stati Uniti non prenderanno le parti tra le rivendicazioni degli stati in competizione. Ma ha fatto presente che Washington si aspetta una soluzione pacifica alla spirale di conflitti causata dall’isola controllata dai giapponesi, Senkaku, rivendicata da Cina e Taiwan.

«È nell’interesse di tutti – di tutti – per Cina e Giappone»  ha dichiarato Panetta alla prima tappa di un tour di una settimana in Asia, «mantenere buoni rapporti per cercare un modo di evitare un’escalation più violenta».

Il segretario Panetta, affiancato dal ministro della difesa giapponese Satoshi Morimoto, ha aggiunto ieri che entrambi erano d’accordo sulla necessità di posizionare un secondo radar per missili anti-balistici contro un possibile attacco dalla Nord-Corea, spiegando che la mossa non doveva irritare Pechino.

«Abbiamo presentato le nostre preoccupazioni in modo molto chiaro ai cinesi – che la Nord Corea e l’uso di questi missili balistici è una minaccia alla nostra sicurezza» ha dichiarato. «Inoltre, abbiamo messo in chiaro che faremo passi avanti per proteggere gli Stati Uniti e i suoi alleati».

Panetta è arrivato ieri a Pechino per i colloqui. Passerà tre giorni in Cina e si prevede che domani si incontri con Xi Jinping, il vice-presidente cinese, apparso in pubblico questo week-end per la prima volta dopo due settimane.

La Cina ha avuto sei giorni di dimostrazioni anti-giapponesi cominciate quando il Giappone ha dichiarato di aver comprato da privati l’isola di Sensaku – Diaoyu in cinese – per metterla sotto il controllo dello Stato. Venerdì, sei navi cinesi sono entrate in acque giapponesi intorno all’isola, una mossa condannata da Tokyo.

L’agenzia giornalistica Kyodo ha rivelato che Panasonic, la compagnia giapponese di elettronica al consumo, ha sospeso la produzione nella sua fabbrica di Qingdao dopo che dieci dei suoi impiegati «hanno dato avvio ad agitazioni gridando slogan anti-giapponesi». Un portavoce della Panasonic in Cina ha detto al Financial Times che la compagnia non ha ancora deciso quando verrà riavviata la produzione. Canon ha dichiarato di aver fermato la produzione in tre delle quattro fabbriche cinesi per proteggere i suoi lavoratori.

Il terzo viaggio in Asia del capo del Pentagono Panetta arriva a seguito di dispute territoriali della Cina non solo contro il Giappone, principale alleato degli Stati Uniti in Asia, ma anche con le Filippine.

Le tensioni regionali sono aumentate quando gli Stati Uniti hanno annunciato i piani per lo spostamento della propria forza navale dall’Atlantico al Pacifico da un 50/50 di divisione delle risorse fino a un 60/40 entro il 2020. I funzionari del Pentagono hanno descritto questa mossa come uno sforzo per concentrare maggiormente le proprie forze su una regione dove la crescente influenza economica e militare sta causando attriti con i vicini.

La Cina e le Filippine sono in stallo da aprile sul Reef di Scarborough, nel Mar Cinese Meridionale, isole su cui pendono le pretese di entrambi i paesi.

Un sistema di radar missilistico sarà posizionato da qualche parte nel sud del Giappone, aggiungendosi al già esistente radar X-band situato a Shariki, nel nord dell’isola di Honshu. Un funzionario statunitense ha insistito sul fatto che la decisione di espandere le capacità delle difese missilistiche fosse una risposta all’«aggressione nord-coreana». Oltre ad aver aumentato l’arsenale di missili balistici, il Nord-Corea, in aprile, ha testato, fallendo, missili a lungo raggio.

Comunque in Cina crescono i sospetti che il vero obiettivo del nuovo radar siano i suoi investimenti pesanti in nuovi missili e la creazione di un deterrente nucleare.

«Le accresciute capacità anti-missilistiche sviluppate dagli Stati Uniti sono, così pare, finalizzate ad opporsi alla capacità di Pechino di limitare l’influenza del potere statunitense sulla Cina» ha detto Li Bin, un esperto cinese sulle questioni nucleari che lavora ora presso il Carnegie Endowment.

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Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/giappone-cina-contesa-stati-uniti#ixzz26tknPm00

 

Senkaku Island (AS-194), contesa China-Japan (AGGIORNAMENTO

 

Oggi 14 settembre 2012, risale il nervosismo tra Giappone e Cina. Alla fine la prova muscolare e’ arrivata con tanto di impennata della tensione: sei motovedette cinesi sono entrate oggi nelle acque delle Senkaku, le isole controllate da Tokyo e rivendicate da Pechino (con il nome di Diaoyu), con due che, secondo la guardia costiera nipponica, hanno accolto “l’invito” ad allontanarsi senza ”alcun uso della forza”. Sempre più lontana la possibilità di un attività da questo gruppo di isole IOTA.

n.d.r. (fonte ANSA)

22 Agosto 2012 –  Sui giornali di tutto il mondo si parla in questi giorni della disputa tra Giappone e Cina sulle isole Senkaku, vedere ad esempio la Repubblica. Dxcoffee vi propone una panoramica sulla questione:

Geografia

Geograficamente le Senkaku si trovano a nord-est dell’isola di Taiwan (BV) e molto più vicine alla Cina che non al Giappone, fanno  parte però della prefettura Giapponese di Okinawa e sono amministrate dalla città di Ishigaki. Le isole sono totalmente disabitate.

Le Isole facenti parte di questo arcipelago hanno naturalmente un doppio nome: sia cinese che giapponese:

Nome giapponese

Nome cinese

Uotsuri Jima

(è quella nella foto in alto)

Diaoyu Dao
Kuba Jima Huangwei Yu
Taishō Jima Chiwei Yu
Minami Kojima Nan Xiaodao
Kita Kojima Bei Xiaodao
Okino Kitaiwa Da Bei Xiaodao
Okino Minami-iwa Da Nan Xiaodao
Tobise Fei Jiao Yan

La storia

Dopo la Prima guerra cino-giapponese (1894-1895) ed in seguito alla sconfitta dei cinesi, le isole passarono sotto la sovranità dell’Impero giapponese in seguito al trattato di Shimonoseki (aprile 1895).

Quando gli americani vinsero la seconda guerra mondiale le isole passarono sotto la propria amministrazione per poi tornare dal 1972 con il trattato di pace di San Francisco tra Usa e Giappone, all’amministrazione giapponese.

Quest’ultimo trattato però non fu mai nè riconosciuto nè firmato sia dalla Repubblica popolare cinese che dalla Repubblica di Cina (Taiwan).

Gli ultimi attriti tra Cina e Giappone sono nati lo scorso 8 settembre quando si è verificato uno scontro tra due vascelli della Guardia Costiera nipponica e il peschereccio cinese Minjinyu 5179 a circa otto miglia nautiche dalla costa della più estrema delle isole Senkaku: i pescatori sono stati accusati non di pesca di frodo, bensì di spionaggio.

Da allora la tensione è sempre aumentata fino allo sbarco, in questi giorni, di attivisti Giapponesi sull’isola. In seguito sono sbarcati anche attivisti cinesi che hanno piantato la loro bandiera.

Considerando che l’isola è ricca di gas metano e il suo mare molto pescoso, si spiegano tante cose….

I radioamatori

Per quanto riguarda ciò che più ci interessa, ecco le referenze IOTA delle isole in questione: (fonte IOTA-RSGB)

Nome del Gruppo: Senkaku Islands

Referenza: AS-194

Questo gruppo non è mai stato attivato.

Prefisso principale: JA6

Località: 25.67N – 26.00N / 123.42E – 124.67E

DXCC: JAPAN

Il gruppo contiene:

  • Kobi
  • Sekibi
  • Uoturi

Si tratta quindi di un New-One assoluto il cui prefisso dovrebbe essere JA6 o JR6, evidentemente riteniamo che lo sarà ancora per molto.

http://www.dxcoffee.com/ita/2012/09/14/isole-senaku-contesa-cina-giappone/

Les manifestations anti-japonaises à Shenzhen en Chine se sont terminées par des affrontements avec la police. Des canons à eau et des gaz lacrymogènes ont été utilisés pour la première fois au cours de ces actions. Il n’a pas d’information sur des blessés. Les organisateurs de manifestation dispersée affirment qu’ils organiseront une nouvelle action.

Une manifestation similaire a eu lieu à Guangzhou, où plusieurs centaines de personnes ont pris d’assaut la mission diplomatique japonaise. Ils ont brûlé des drapeaux en scandant des slogans.

Les manifestations anti-japonaises ont balayé des dizaines de villes chinoises. La raison était la «nationalisation» des îles Senkaku par le Japon, que la Chine considère comme son territoire.

http://french.ruvr.ru/2012_09_16/88400762/

Chinese protesters again took to city streets today to denounce Japan in a row over disputed islands, prompting the Japanese prime minister to call on Beijing to ensure protection of his country’s people and property.

In the biggest flare-up, police fired tear gas and used water cannon to repel thousands of protesters occupying a street in the southern city of Shenzhen, near Hong Kong.

The protests erupted in Beijing and many other cities yesterday, when demonstrators besieged the Japanese embassy, hurling rocks, eggs and bottles, and testing cordons of police.

Demonstrators have looted shops and attacked Japanese cars and restaurants in at least five Chinese cities.

“Regrettably, this is a problem concerning the safety of Japanese nationals and Japan-affiliated companies,” Japanese prime minister Yoshihiko Noda told a talk show.

“I would like to urge the Chinese government to protect their safety.”

The protests, the latest setback in long-troubled relations between Beijing and Tokyo, followed Japan’s decision on Tuesday to buy the disputed islands, which Tokyo calls the Senkaku and Beijing calls the Diaoyu and which could contain valuable gas reserves, from a private Japanese owner.

Beijing called that decision a provocative violation of its sovereignty.

China may have unleashed the protests to put pressure on Japan, but the government also risks a backlash from that same public anger ahead of a delicate leadership succession.

Many demonstrators in Beijing held aloft portraits of Mao Zedong, the late revolutionary leader who is still a patriotic icon – but one who can also serve as an implicit rebuke to present-day leaders.

“We think that the government has been too soft and we want to show it what we think,” said one 25-year-old protester, salesman Zhang Xin. “I feel disappointed in the government and it doesn’t heed our voice.”

A six-deep cordon of anti-riot police guarded the Japanese embassy in Beijing as demonstrators resumed their protest on Sunday, screaming slogans and insults as they passed by and throwing plastic bottles full of water.

“If Japan does not back down we must go to war. The Chinese people are not afraid,” said 19-year-old-student Shao Jingru.

Dissident artist Ai Weiwei, who walked by today’s protest in Beijing, told Reuters he believed the demonstrations were sanctioned by the government and the police.

“Chinese citizens need to thank the Japanese government because for the first time, they can mount a large protest on their own land,” he said.

“In China, there are no protests organised by the people.”

Police used loud speakers to tell protesters – many of whom were shouting “declare war” – they should respect the law.

In Shanghai, about 1,500 people marched towards the Japanese consulate, where they were allowed to enter cordoned-off areas in small groups.

Police headed off a crowd of at least 2,000 protesters who were trying to charge the US consulate in the southwestern city of Chengdu. Protesters said they wanted the United States “to listen to their voices”.

The Nikkei business newspaper said demonstrators had earlier attacked two Panasonic electronic parts plants in the eastern cities of Qingdao and Suzhou. The company will decide whether to continue operations after checking the damage.

Toyota vehicle dealerships were also set on fire and many vehicles were damaged, it said, citing Toyota’s China unit.

http://www.irishtimes.com/newspaper/breaking/2012/0916/breaking42.html

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