IL RITRATTO DI DORIAN GRAY : DEL GRANDE METODO DI OSCAR WILDE

Coloro che scorgono brutti significati nelle cose belle sono corrotti senza essere affascinanti. Questo è un errore.
Coloro che scorgono bei significati nelle cose belle sono le persone colte. Per loro c’è speranza.
Essi sono gli eletti: per loro le cose belle significano solo bellezza.
La vita morale dell’uomo è parte della materia dell’artista, ma la moralità dell’arte consiste nell’uso perfetto di un mezzo imperfetto. L’artista non desidera dimostrare nulla. Persino le cose vere possono essere dimostrate.

Nessun artista è mai morboso. L’artista può esprimere qualsiasi cosa.
Il pensiero e il linguaggio sono per un artista strumenti di un’arte.

Ogni arte è insieme superficie e simbolo.
Coloro che scendono sotto la superficie lo fanno a loro rischio.
OSCAR WILDE

” Sua madre! Aveva qualcosa da chiederle, qualcosa che aveva covato in silenzio per molti mesi. Una frase udita per caso a teatro, un bisbiglio di scherno che gli era giunto all’orecchio una sera, mentre attendeva all’ingresso del palcoscenico, avevano scatenato in lui una serie di terribili pensieri. Se ne ricordava come una frustata in pieno viso. Le sue sopracciglia erano talmente aggrottate che formavano una sorta di cuneo di peli. In un sussulto di sofferenza si morse il labbro inferiore.
“Non ascolti nemmeno una parola di quello che dico, Jim,” esclamò Sibyl, “e io che sto facendo i più meravigliosi progetti sul tuo avvenire. Dimmi qualcosa.”
“Che cosa vuoi che dica?”
“Oh, che farai il bravo e che non ci dimenticherai,” rispose Sibyl, rivolgendogli un sorriso.
Jim scosse le spalle. “È più facile che sia tu a dimenticare me, che non io te, Sibyl.”
Lei arrossì. “Che cosa vuoi dire, Jim?” domandò.
“Ho sentito che hai un nuovo amico. Chi è? Perché non me ne hai parlato? Non promette nulla di buono per te.”
“Smettila, Jim!” esclamò lei. “Non devi dire nemmeno una parola contro di lui. Io lo amo.”
“Ma come, non sai nemmeno come si chiama,” obiettò il ragazzo. “Chi è? Ho il diritto di saperlo.”
“Lo chiamo Principe Azzurro. Non ti piace questo nome? Oh, cattivo! Non dovresti dimenticarlo mai. Se tu solamente lo vedessi, capiresti che è la persona più affascinante del mondo. Lo incontrerai un giorno, quando ritornerai dall’Australia. Ti piacerà moltissimo. Piace a tutti e… io lo amo. Vorrei che tu potessi venire a teatro stasera. Lui verrà e io sarò Giulietta. Oh! Come reciterò! Immagina, Jim, essere innamorata e recitare la parte di Giulietta! E averlo seduto là davanti! Recitare per la sua soddisfazione! Temo che spaventerò il pubblico, lo spaventerò e lo dominerò. Essere innamorati significa superare se stessi. Il povero, orribile signor Isaacs griderà “è un genio” ai suoi fannulloni del bar. Mi ha già predicato come un dogma, stasera mi annuncerà come una rivelazione. Lo sento. E tutto questo è suo, soltanto suo, Principe Azzurro, il mio meraviglioso amante, il mio dio della bellezza. Ma io accanto a lui sono povera. Povera? Che importanza ha? Quando la povertà entra strisciando dalla porta, l’amore arriva volando dalla finestra. I nostri proverbi dovrebbero venire rifatti. Sono stati scritti d’inverno e adesso è estate; credo che per me la primavera sia proprio una danza di fiori nel cielo azzurro.”
“È un signore,” disse il giovane, cupo.
“Un principe,” cantò la voce di lei. “Che cosa pretendi di più?”
“Vuole che tu diventi la sua schiava.”
“Tremo al pensiero di essere libera.”
“Voglio che tu ti guardi da lui.”
“Vederlo vuol dire adorarlo, conoscerlo vuol dire aver fiducia in lui.”
“Sibyl, sei impazzita per lui.”
Lei rise e lo prese per il braccio. “Caro vecchio Jim, parli come se avessi cent’anni. Un giorno ti innamorerai anche tu e allora saprai che cosa vuol dire. Non prendere quest’aria scontrosa. Dovresti essere contento al pensiero che, mentre sei lontano, mi lasci più felice di quanto non sono mai stata. La vita è stata dura per tutti e due, terribilmente dura e difficile, ma d’ora in poi le cose saranno diverse. Tu vai in un nuovo mondo, io ne ho trovato uno. Ecco due sedili, sediamoci e guardiamo passare la gente elegante.”
Sedettero in mezzo a una folla di gente intenta a guardare. Dall’altra parte della strada le aiuole di tulipani fiammeggiavano come palpitanti anelli di fuoco. Una polvere bianca, come una tremula nube di ireos, era sospesa nell’ansare dell’aria. Gli ombrelli da sole dai vivaci colori danzavano e cadevano come enormi farfalle. Sibyl spinse il fratello a parlare di sé, delle sue speranze, dei suoi progetti. Jim rispondeva lentamente a fatica. Si scambiavano le parole come i giocatori si scambiano i gettoni. Sibyl si sentiva oppressa, non riusciva a manifestare la gioia che provava. L’unica eco che le riuscì di suscitare fu un debole sorriso che curvò appena, la bocca imbronciata del fratello: Dopo un po’ tacque. D’un tratto colse un lampo di capelli d’oro, di labbra ridenti e Dorian Gray passò in una carrozza aperta con due signore.
Balzò in piedi. “Eccolo!” esclamò.
“Chi?” domandò Jim Vane.
“Il Principe Azzurro,” rispose lei, seguendo con lo sguardo la carrozza.
Jim balzò in piedi a sua volta e le afferrò rudemente un braccio. “Fammelo vedere. Chi e? Indicamelo. Devo vederlo!” esclamò. Ma proprio in quel momento sopraggiunse il tiro a quattro del duca di Berwic e, quando fu passato, la carrozza aperta aveva lasciato il Park.
“Se ne è andato,” mormorò tristemente Sibyl. “Avrei voluto che tu lo vedessi.”
“Avrei voluto anch’io perché, sicuro come dio in cielo, se mai ti dovesse fare del male, lo ucciderei.”
Sibyl lo fissò terrorizzata. Lui ripeté la frase. Le parole tagliarono l’aria come una frustata. La gente intorno iniziò a guardarli. Una signora che stava accanto a lei si scostò.
“Andiamo via, Jim, andiamo via,” sussurrò. Lui la seguì sempre con un’espressione ostinata in volto mentre Sibyl si faceva largo tra la folla. Era contento di quello che aveva detto. Giunti alla statua di Achille, Sibyl si voltò. Aveva negli occhi un’espressione di pietà che sulle labbra si trasformò in un sorriso. Scosse il capo. “Sei sciocco, Jim, sei tremendamente sciocco; un ragazzo dal pessimo carattere, tutto qui. Come hai potuto dire una cosa così orribile? Non sai di che cosa parli. Sei soltanto geloso e poco gentile. Ah, vorrei che anche tu ti innamorassi. L’amore rende buoni, mentre le cose che hai detto sono cattive.”
“Ho sedici anni,” rispose lui, “e so quello che dico. La mamma non ti può essere di aiuto. Non capisce che deve sorvegliarti. Adesso vorrei non dover andare in Australia: ho una gran voglia di mandare tutto a monte. Lo farei, se non avessi già firmato un contratto.”
“Oh, non essere così serio, Jim. Sei come l’eroe di uno di quegli stupidi melodrammi che la mamma recitava tanto volentieri. Non voglio litigare con te. L’ho, visto e, oh! il vederlo è una perfetta felicità. Non litigheremo. So che non saresti capace di far male a chi amo, non è vero?”
“Immagino di no, finché lo amerai,” fu la cupa risposta.
“Lo amerò sempre!” esclamò lei.
“Sarà meglio per lui.”
Sibyl si staccò dal fratello, poi rise e gli posò una mano sul braccio. Era solo un ragazzo.
A Marble Arch salirono su un omnibus che li lasciò vicino alla loro, squallida casa di Euston Road. Erano le cinque passate e Sibyl doveva riposare un paio d’ore prima della recita. Jim insistette perché lo facesse. Disse che preferiva salutarla mentre non c’era la madre. Avrebbe fatto di sicuro una scena e lui detestava le scene di qualunque genere.
Si separarono nella stanza di Sibyl. Nel cuore del ragazzo c’era gelosia e un odio feroce e mortale per lo sconosciuto che, secondo lui, si era messo tra loro. Tuttavia quando le braccia di lei gli allacciarono il collo e le sue dita gli si insinuarono tra i capelli, si addolcì e la baciò con sincero affetto. Scese con gli occhi pieni di lacrime. La madre lo aspettava da basso. Quando entrò, brontolò per la sua mancanza di puntualità. Jim non rispose, ma sedette davanti al misero pasto. Le mosche ronzavano intorno alla tavola, muovendosi sulla tovaglia macchiata. Attraverso il rombo degli omnibus e il fracasso delle carrozze, sentiva la voce lamentosa divorargli a uno a uno i minuti che gli restavano.”

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