Cul-de-sac . Alberto Custerlina

Innanzitutto vorrei iniziare questa recensione, anche se il termine un po’ mi sta stretto e preferirei sostituirlo con riflessione letteraria, con una doverosa premessa: non è il primo libro di Custerlina che leggo. Per cui ho già un’ idea precisa di Custerlina scrittore, tuttavia per apprezzare questo libro è necessario compiere un piccolo sforzo e considerarlo un’ opera unica e a sè stante. Solo così è possibile notare il terreno sconosciuto in cui si muove e lo sforzo sperimentale che lo sorregge. Custerlina è uno scrittore istintivo, lo si può amare visceralmente o odiare per le stesse ragioni per cui lo si ama. Non permette vie di mezzo, non permette compromessi. Il registro linguistico che utilizza, lo stile solo apparentemente dimesso ma in realtà profondamente letterario, nutrito di autori classici che vanno da Musil, a Joyce, a Buzzati, a classici del noir e dell’ hard boiled  come Manchette, Hammet, o Leonard, l’anima profondamente pulp che lo avvicina inesorabilmente al fumetto, al teatro d’avanguardia, al cinema,  e proprio quest’ ultima arte penso ne costituisca la cifra distintiva su cui mi soffermerò, tutto insomma fa di lui un autore profondamente radicato nel suo territorio e nello stesso tempo alieno nel panorama letterario italiano. In Cul-de-sac  poi azzarda un esperimento narrativo che portato avanti da mani meno capaci avrebbe raggiunto le connotazioni dell’azzardo, sorreggere tre storie separate che si intrecciano solo nel finale risoluzione di un climax narrativo costruito con perizia passo dopo passo. Il collante che rende le tre storie parallele convincenti è la scrittura densa, compatta, non scevra da una certa durezza che ben si addice al genere che Custerlina corteggia senza accettarne del tutto le regole e gli stereotipi. Tornando al cinema, la scrittura di Custerlina è fatta di immagini, di flash, di lampi visivi, se non visionari, che me lo rendono particolarmente vicino al mio modo di concepire la letteratura, anche io nel mio piccolo quando scrivo vivo di immagini e riuscire a trasmettere un’ immagine nella mente del lettore è qualcosa di assolutamente sorprendente. Custerlina ci riesce con pochi tratti, con poche misurate sfumature, fatte di colori, dettagli insoliti, sensazioni. Per completezza penso di dover dire due parole sulla trama e sull’ambientazione per cui inizio con il presentarvi Zeno Weber, ex militare, ex poliziotto, ex contractor, ex guardiano d’obitori, fisicamente un po’ fuori forma, sanguigno ed estremamente concreto, un po’ sfigato, che vive con il busto del duce in corridoio tanto per caratterizzarvi il personaggio. Un giorno sfortuna vuole che, perso il lavoro come vigilante in un supermercato, si trovi a chiedere aiuto ad un suo vecchio amico che gli procura un lavoretto senza impegno: pedinare tre esimi professionisti di Trieste intenti a mettere le corna alle mogli oltre confine. Direte voi una passeggiata, se non fosse che uno dei tre ha la malaugurata idea di farsi massacrare assieme alla sua famiglia nel salotto di casa. Zeno sospetta di essersi cacciato in un brutto guaio, una strada senza uscita, un cul-de-sac come precisa Roman Polanski nella citazione all’inizio del libro, e non ha tutti i torti, pian piano si dipana una matassa dai risvolti inaspettati con diramazioni internazionali che portano Trieste al centro di un commercio altamente pericoloso di uranio che dal Congo viaggia dritto dritto verso l’Iran. A tessere le fila un mafioso russo ormai condannato a morte da una malattia che non lascia scampo e i suoi scagnozzi, tutti tesi a recuperare una borsa piena di un milione di euro. Mafia russa, criminalità albanese, antiterrorismo, cacciatrici di taglie, chi più ne ha ne metta. Riuscirà Zeno Weber a salvare la pelle? Vi tocca leggerlo per scoprirlo. Ah dimenticavo Trieste, bellissima e maledetta, crocevia di criminalità, sferzata dalla Bora con i suoi palazzi asburgici, le villette liberty i caffè dagli ori antichi  e i quartieri periferici di grandi edifici “con l’intonaco tenuto assieme dai graffiti” e di capannoni industriali circondati da recinzioni di metallo zincato. Godibile la scena dello scagnozzo del mafioso russo nel mercatino di bancarelle di Brixton terrorizzato dai riti voodoo.

http://liberidiscrivereblog.wordpress.com/2012/01/20/recensione-di-cul-de-sac-di-alberto-custerlina/

 

 Una grappa con Alberto Custerlina

 

Alberto “Al” Custerlina, è un uomo dai due volti. Consulente informatico di giorno e autore prettamente noir di notte. Profondo conoscitore dei Balcani e della zona di confine che è la provincia di Trieste, per noi è un piacere sorseggiare una Slivovitz (grappa di prugne tipica della zona), per chiacchierare su scrittura e noir.

Noir Italiano: Ciao Alberto, benvenuto a Noir Italiano. Che ci beviamo? Io, dato il tema, prendo un bicchere di Slivovitz. Tu?

Alberto Custerlina: Lo slivovitz va benissimo anche per me.

Noir italiano: Cosa significa per te “noir?”

AC: C’è un fraintendimento di base sul termine, soprattutto in Italia. Con qualche eccellente eccezione, oggi sembra che per scrivere un noir basti avere un omicidio, l’indagine di un investigatore con problemi personali, qualche sparatoria e una spruzzata (o una carrettata) di degradazione e/o perversione. Naturalmente il noir non è (solo) questo, basta pensare alla sua storia, che inizia con certa cinematografia statunitense a cavallo della Seconda Guerra Mondiale per poi passare in Francia nel dopoguerra (dove finalmente prende il nome “noir”) e fa irruzione anche nella letteratura.

In altre parole, possiamo sostenere che oggigiorno spesso si confonde il noir con il thriller e quando va bene con il poliziesco (giallo) a tinte scure o, come dicono bene gli anglosassoni, con la “crime fiction”.

Naturalmente, questa faccenda la potremmo anche considerare come l’evoluzione di un termine che nel tempo ha acquisito una nuova accezione, ma io preferisco usare il termine “noir” nel suo significato tradizionale. Per finire e per onestà intellettuale devo dire che non considero dei noir neppure i miei romanzi.

NI: Cosa rende Trieste una città da noir?

AC: Apparentemente nulla, oppure tutto. La posizione geografica di Trieste la rende una via di passaggio molto frequentata dalle organizzazioni criminali (e spionistiche) per i loro traffici illegali e proprio per tale motivo è necessario che questa città resti tranquilla, uno stagno immoto in cui è assolutamente vietato gettare sassi. Forse il lato noir di Trieste sta negli eventi criminali locali, spesso legati al disagio psichico o sociale.

NI: Il tuo delitto perfetto?

AC: Il delitto perfetto è quello che si sta perpetuando  nei confronti della Cultura, sia essa accademica che popolare. Tutti noi assistiamo immobili a un progressivo calo della capacità (e della volontà) di giudizio nelle persone e al conseguente aumento delle vendite di prodotti culturali massificati che di solito coincidono con una qualità molto scadente. E non mi riferisco soltanto alla letteratura, ma anche alla musica, tanto per fare un esempio che conosco abbastanza bene.

NI: Cosa significa l’espressione “Turbo noir”?

AC: Durante la guerra civile jugoslava, in Serbia era nato un genere musicale che fondeva la disco music al folk balcanico. Si trattava del Turbo Folk, oggi ancora molto ascoltato in quelle terre (anche fuori dalla Serbia). Quand’era uscita sul web una proposta/polemica sul post-noir, io avevo coniato il termine turbo-noir, in quanto i miei romanzi sono ambientati proprio nei Balcani. Una piccola provocazione, nulla più.

NI: Quanto tempo dedichi in media alla scrittura?

AC: Tutto il tempo possibile. Purtroppo, come quasi tutti i colleghi, non posso sostentarmi solo con la scrittura, quindi lavoro regolarmente come consulente informatico. Scrivo la sera e la notte, durante i weekend e quando sono in ferie. Per darti un dato numerico, diciamo che nella fase di stesura e di revisione scrivo mediamente per 2 ore al giorno.

NI: Quando sei a caccia d’idee, come ti comporti?

AC: Sono sempre a caccia d’idee, qualsiasi cosa io faccia, infatti ho nel computer una tale quantità di spunti da poter scrivere almeno altri quattro o cinque romanzi. Sul piano pratico, all’inizio di ogni romanzo mi documento molto e da questa attività scaturiscono altre idee, che poi introduco nella storia via via che la scrivo.

NI: Il consiglio che dai a un autore esordiente che volesse avvicinarsi al noir?

AC: Ci sono moltissimi autori esordienti o emergenti che hanno scelto il cosiddetto noir solo perché va di moda e quindi, senza avere il necessario bagaglio culturale ed esperienziale, l’hanno identificato come il genere giusto per riuscire ad arrivare alla pubblicazione. E infatti i risultati si sono visti: la maggior parte di queste persone hanno scritto romanzi da far accapponare la pelle per sciatteria, conformismo e scarso spessore. Certo, sono riusciti a pubblicare senza pagare, ma non per merito personale, bensì grazie all’industria editoriale attuale, che lavora più sulla quantità che sulla qualità. Quindi, a un esordiente consiglio di farsi un bel esame di coscienza. Superato eventualmente questo primo momento, allora gli/le consiglio di adottare la massima autocritica possibile e di lavorare sulla propria scrittura e sulle proprie idee con dedizione e devozione maniacali. Solo in questo modo si potrà raggiungere la vera qualità nei propri lavori.  Questo per quanto riguarda la scrittura in generale.

Sul noir, posso dire che c’è bisogno di innovare, per cui si debbono evitare i soliti cliché. Inoltre, bisogna essere veramente oscuri dentro. Uno scrittore di noir non può essere una mammina felice oppure un ingegnere appagato dalla vita, perché in questo caso gli consiglierei di dedicarsi ai gialli, ai thriller o ai rosa. Oppure, semplicemente, sarebbe meglio scegliesse di non scrivere.

NI: Il noir è fantasia ma anche documentazione e verosimiglianza. Come affronti la cosa?

AC: E’ fantasia nel senso che le storie, in linea di massima, sono inventate, ma come dici tu questo genere richiede comunque un fortissimo aggancio con la realtà (com’era per il Naturalismo, per esempio). Io affronto la questione dedicando moltissimo tempo alla documentazione e alla revisione, odio la sciatteria e quando in un romanzo che sto leggendo trovo errori relativi alla scarsa documentazione o alla troppa approssimazione, lo casso senza pietà e nemmeno finisco di leggerlo, perché sento di essere stato tradito dallo scrittore.

NI: Ti ringrazio. Regalaci una frase noir…

AC: Non saprei, non sono uno scrittore di noir.

http://noiritaliano.wordpress.com/2012/05/06/una-grappa-con-alberto-custerlina/

Questa voce è stata pubblicata in cultura e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.