Canti d’amore e di libertà del popolo Kurdo

Numero otto – gennaio 1995

 

Canti d’amore e di libertà del popolo Kurdo

a cura di Anna Villa

 

Per centinaia di anni la poesia kurda d’autore, salvo qualche eccezione, non si è discostata molto dalla poesia del Medio Oriente in generale, per quanto riguarda i contenuti, le forme espressive, la metrica. […]

Le voci educative, patriottiche, tese ad insegnare il valore della libertà sono state poche, nella poesia kurda, fino alla conclusione della prima guerra mondiale. Le conseguenze di quella guerra sono state tragiche. Non soltanto il popolo kurdo non ha ottenuto i benché minimi diritti nazionali, ma lo stesso territorio del Kurdistan, e quindi la nazione kurda, sono stati smembrati e divisi tra gli Stati confinanti. Tali Stati hanno immediatamente cercato di annullare al loro interno l’identità Kurda e per cancellare il nome dei Kurdi e del Kurdistan dalla storia del mondo hanno applicato politiche di oppressione con incarcerazioni, deportazioni, massacri, nella totale negazione di ogni diritto umano. Per applicare questa politica in modo più silenzioso e più facile, hanno cominciato ad attuarla in primo luogo nei confronti degli intellettuali, nonostante il loro numero, all’interno della società kurda, fosse relativamente esiguo. Ma gli intellettuali erano considerati, dal potere nemico, come il fuoco che cova sotto la paglia. Per tagliare i contatti tra gli intellettuali e la popolazione, per evitare che la loro voce arrivasse alla nazione e illustrasse gli obiettivi della sporca politica del nemico incoraggiando la resistenza, la rivolta, la lotta per riottenere i legittimi diritti, negati, il potere ha vietato ogni forma di libertà. La realtà ha dimostrato che i nemici del popolo kurdo anche in questa politica si erano sbagliati e non avevano capito ancora che “quando un popolo paga la libertà con il sangue, nessuno può sbarragli la strada”. Così, il piano realizzato dai governi per tagliare i contatti tra gli intellettuali e la popolazione del Kurdistan ha avuto l’esito contrario, ha rinsaldato i contatti e ha provocato l’avvicinamento tra la popolazione e gli intellettuali, soprattutto poeti e scrittori, i quali, con scelta appropriata, hanno puntato molto sulla poesia. La poesia d’autore, che era un genere prima piuttosto elitario, è diventata allora uno strumento di espressione quasi normale per rivelare la volontà, gli obiettivi, la sensibilità, il dolore e la felicità degli esseri umani in una forma attraente che, unita con la musicalità del ritmo, riusciva a entrare in tutte le orecchie e a risuonare su tutte le bocche. La poesia è così andata incontro alla popolazione, abbracciando tutti con amore e portando con sé le idee di libertà, di patriottismo, di democrazia, di umanità. La poesia ha espresso il dolore del popolo e il suo odio nei confronti dell’oppressione e ha mostrato che la liberazione nazionale è l’unica strada per ritornare a vivere. […]

Alcuni tra i poeti hanno combattuto sul campo di battaglia e hanno dato la vita, come martiri.

L’oppressione, la tirannia degli occupanti del Kurdistan, torturatori dei Kurdi, hanno dunque provocato una rivoluzione anche nella poesia.

(Tratto dalla prefazione di Ibrahim Ahmad)

 

 

 

QUARTINE

 

Sono l’aquila che vive sulle vette
dall’alto osservo i pascoli.
Senza famiglia, senza casa e terra
come sudario avrò le mie ali soltanto.

Tutto quel che io desidero è di avere accanto
un volto splendente come il tulipano.
Se alle montagne narrassi il mio soffrire
sui pendii non crescerebbero più i fiori.

È addolorato il mio cuore, Signore,
soffre e trema d’angoscia
anela alla patria, piange l’esilio.
E questo fuoco mi brucia.

Baba Tahir, sec. X

 

 

 

LE STELLE E IO

 

Brillano nella notte le stelle lontane
tristi come io son triste, come me insonni.

Da anni, loro e io, conosciamo notti di veglia;
quante notti, loro e io, senza posare il capo!

Ieri, all’alba, piangevano la mia sorte
vedendomi perso, infelice fra amici e nemici.

Mai avevo sentito per me tale affanno, mai,
sulla mia sorte, un pianto di nuvola che si disperde.

Lacrime di stelle! E credevo fosse solo rugiada.
Al vento ho chiesto di farsi dire il motivo di tanta tristezza.

Perché le stelle non sono come noi siamo,
le stelle, loro, stanno vicino al cuore di Dio.

E il messaggero tracciò sull’erba, con la rugiada,
“La fiamma del dolore dei Kurdi è salita fino al cielo,

il grido dei Kurdi del Nord è arrivato al cielo:
è l’ardore dei loro sospiri, che ci fa lacrimare”.

Piramerd, sec. XIX/XX

 

 

 

CALZE

 

Fuori, il freddo Dicembre
ha reso muto il vento.
Dentro, lei siede
tutta sola.
Come agnellini
intorno a lei dormono i suoi figli.
Suo marito, da molti anni ormai,
è un uragano che insegue
l’amore di queste montagne.
Lei siede tutta sola
lei sembra un salice piangente,
il capo curvo sul grembo.
Lavora e lavora e lavora
per finire il paio di calze di lana
che lui le ha chiesto.
A mezzanotte saranno pronte.
Ma lei non sa
che quando quel paio di calze arriverà
dov’è il suo uomo,
a lui, servirà soltanto la sinistra.

Sherko Bekas, sec. XX

 

 

 

DIALOGHI

 

Ho posato l’orecchio sopra il cuore
della terra.
Parlava d’amore, del suo amore
per la pioggia,
la terra.

Ho posato l’orecchio sul liquido cuore
dell’acqua.
Il mio amore, l’amor mio
è la sorgente, cantava
l’acqua.

L’ho posato sul cuore
dell’albero.
Della sua folta chioma,
– l’amore suo – diceva,
l’albero.

Ma quando accostai l’orecchio
all’amore stesso,
che non ha nome,
era di libertà che parlava,
l’amore.

 

Sherko Bekas

 

 

 

QUANDO

Quando prendi un suo raggio
e con quello scrivi,
ti fa visita il sole
e ti regala un libro.

Quando sai leggere
le parole dell’onda
ti fa visita l’acqua
e ti regala la sua ninfa più bella.

E quando ti si accende nel cuore
l’amore per gli oppressi
ti fa visita il futuro
e ti offre tutta la felicità del mondo.

 

Sherko Bekas

 

 

 

LA NOSTRA POESIA È SCRITTA CON LE LACRIME

 

Nell’oscurità di anguste celle,
tra usci infami e solidi ferri
fra topi e scarafaggi
seminiamo la nostra parola,
e matura la nostra storia
irrigata dalle lacrime dei bambini
per il padre dietro le sbarre,
nutrita dal desiderio umiliato
delle giovani spose
cui il carcere ha tolto
ben presto l’amore.
La fantasia tesse nuovi racconti,
ricama con fili di lacrime,
con colori di sangue,
del sangue dei ragazzi e delle ragazze
che scorre eroico sui nostri monti,
su queste montagne kurde
e così continuano le nostre leggende
si intrecciano altre canzoni.
La nostra ispirazione non nasce
da labbra rosse dipinte,
da occhi e volti
elegantemente abbelliti:
da lacrime, sangue, desiderio
sorge la poesia
rinnova il nostro amore
e sospinta da un soffio leggero vola
oltre le sbarre.

Mehmet Emin Bozarslan, sec. XX

 

 

 

ESSERE LIBERI

Vivere è bello, quando si è liberi,
tutti, uomini e donne, non tu e io soltanto,
liberi di dire la nostra,
di vagabondare per mari e terre,
liberi di bere e mangiare, di lavorare e giocare,
liberi di sceglierci il cammino.

Non trovo le parole; non so con chi prendermela.
Per quanto tempo ancora vivremo incatenati,
nell’oscurità, nella vergogna?
Basta.
Finiamola, con l’ignoranza, andiamo verso la luce!
Spada alla mano, liberiamoci dai mostri
e ritroviamo la fierezza di un nome
così caro, così sacro per noi tutti.

Gegherxuin, sec. XX

 

 

 

QUEL FIORE

Quel fiore –
gli hanno strappato i petali, ma è vivo
quel cuore –
nella sventura, è rimasto saldo
quella stella –
è caduta, con una scia di luce nella foresta
come chi sa morire con un sorriso
quando spalanca le ali
il vento dell’altopiano.
Li porto con me,
sono l’immagine
del non arrendersi.

 

Hejar, sec. XX

 

 

 

 FRONTIERE

 

Terra adorata, mia terra,
amore che ho perduto
se tu fossi remota
in un cielo inaccessibile
o su una vetta ai limiti del mondo
saprei correre da te
anche con scarpe di ferro.
Ma ti separa da me un tratto sottile.
L’invasore lo chiama confine.

Hemin, sec. XX

 

 

Da Canti d’amore e di libertà del popolo kurdo, (a cura di Laura Schrader), Newton Compton, Roma 1993.

 

 

http://www.ilfoglioclandestino.it/8%20-%20kurdo.htm

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