Trasimaco e il sospetto sul potere e sulla giustizia.

Trasimaco e il sospetto sul potere e sulla giustizia.

 

Tra le interpretazioni citate nel corso della bibliografia ragionata nelle sezioni precedenti, ce ne sono alcune che alludono al carattere disvelante e demistificatore della tesi di Trasimaco, senza però argomentare a fondo la portata filosofica di simile intuizione, in quanto spesso gli stessi studiosi che vi alludono non riconoscono uno spessore teoretico significativo alla posizione del sofista di Calcedonia.
Ci sono però interpreti che invece hanno rivalutato l’interesse primario di Trasimaco per la filosofia politica non solo platonica, proponendo confronti anche con altri pensatori moderni e contemporanei (come Hobbes, Marx e Nietzsche, per esempio): in particolare, Vegetti e Iacono (Vegetti, Trasimaco, 1998; Vegetti, 1989, 19964; Iacono, Milano 2000).
Nell’ interpretazione di Vegetti , la rivalutazione di Trasimaco si accompagna con il riconoscimento della portata disvelante della sua tesi sulla giustizia.
Trasimaco, secondo Vegetti, non mette in discussione che legge e giustizia si sorreggano a vicenda; egli va più a fondo, sostenendo che dietro ogni legge ed ogni giustizia c’è sempre la parzialità di un potere interessato, e che ogni tentativo di giustificare a monte la relazione storicamente data tra legge e giustizia è a sua volta sospettabile di parzialità interessata.
L’interpretazione di Iacono ha ben presenti questi brani di Vegetti.
Secondo Iacono, la tesi di Trasimaco «insinua il sospetto sull’ambiguità del confine che separa e, nello stesso tempo, unisce relazioni di potere e stati di dominio» (Iacono, Milano 2000, p. 45): se la distinzione fra relazioni di potere e stati di dominio richiama gli studi di Foucault [cfr. M. Foucault, L’éthique du souci de soi comme pratique de liberté, in Dits et écrits, IV, Gallimard-Seuil, Paris 1994; trad. it., L’etica della cura di sé come pratica della libertà, in Archivio Foucault. Interventi, colloqui, interviste. 3. 1978-1985. Estetica dell’esistenza, etica, politica, a cura di A. Pandolci, Feltrinelli, Milano 1998], la nozione di sospetto riferita a Trasimaco richiama pensatori come Marx, Nietzsche e Freud [Iacono suggerisce questi testi come primo riferimento: P. Ricoeur, La psicanalisi e il movimento della cultura contemporanea, in Il conflitto delle interpretazioni, Jaca Book, Milano 1972; Id., De l’interprétation. Essai sur Freud, Seuil, Paris 1965. Inoltre, M. Foucault, Nietzsche, Freud, Marx, in Archivio Foucault 1, a cura di J. Revel, Feltrinelli, Milano 1996].
Trasimaco, con la sua tesi sulla giustizia, presenta secondo Iacono una meta-asserzione disvelante e denaturalizzante; mostra il carattere mimetico di ogni potere legittimato e la differenza che persiste rispetto ad ogni pretesa di fondazione assoluta della giustizia politica e morale.
Come si è accennato, ci sono altri interpreti che hanno contribuito alla rivalutazione di Trasimaco, mettendo in luce gli aspetti più inquietanti, ma non facilmente confutabili, della sua tesi sulla giustizia. Secondo Nicholson, per esempio, la tesi di Trasimaco mette potentemente in discussione il re-filosofo di Platone, perché ne propone l’immagine riflessa (Nicholson, 1974) : più precisamente, il tiranno delineato dal sofista sarebbe l’immagine specchiata del re-filosofo socratico (platonico). L’intuizione di queste affermazioni non viene ulteriormente sviluppata perché Nicholson, aderendo all’interpretazione kerferdiana che privilegia la seconda tesi, sostiene che Trasimaco e Socrate concordano almeno in parte nel dirci ciò che è giusto per i governanti, ossia che provvedano al bene dei sudditi.
Shorey (Shorey, 1933) propone un parallelo fra Trasimaco, Callicle, Polo, La Rochefoucauld e Mandeville, sostenendo che, per tutti costoro, il linguaggio della morale è solo uno specioso mascheramento (disguise) delle reali motivazioni dell’agire umano.
Zeppi (Zeppi, 1974) osserva che il governante immaginato da Trasimaco non può essere considerato un superuomo nietzscheano, trovando conferma di ciò nel fatto che nessuno mai ha pensato di accostare Trasimaco e Nietzsche (cosa invece spontanea per Callicle), ma aggiunge che il sofista di Calcedonia può essere confrontato con Marx, per la tensione demistificatrice che pervade la sua tesi sulla giustizia: questa, mettendo in discussione la pretesa assolutezza e dignità dei comandamenti morali storicamente dati, individua nella giustizia legale il mascheramento degli interessi politici di chi detiene il potere. (ibidem, : sull’inopportunità di accostare Trasimaco e Nietzsche, cfr. p. 98; sulla citazione relativa all’accostamento con Marx, cfr. p. 104.)
Nagel invece (Nagel, 1986), a dispetto di Zeppi, pensa di poter accostare Trasimaco e Nietzsche, in questi termini: mentre Platone definisce la vita buona nei termini della vita morale, Nietzsche e il Trasimaco della Repubblica platonica sostengono che la vita buona supera la vita morale. Anzi, arrivano a sostenere che la moralità può essere cosa in sé cattiva per chi la possiede: mettono in discussione nel modo più radicale l’identificazione tra bene e morale, scalzandone la presunta ovvietà e suscitando il dubbio.
L’accostamento tra Nietzsche e Callicle è senz’altro più diffuso, almeno da quando Dodds (Dodds, 1959), nel suo commento al Gorgia, dedicò ad esso un’appendice breve ma significativa. Dodds sostiene la figura di Callicle più interessante filosoficamente di quella di Trasimaco (cfr. ibidem, Introduction, p. 14), ma riconosce che l’ammirazione nietzscheana per i sofisti era probabilmente riferita a «men of the stamp of Callicles or Thrasymachus» (cfr. ibidem, Appendix, pp. 388-389). Nella lettura di Dodds, Callicle e Nietzsche sono accomunati dal riferimento all’immagine del leone (la bionda bestia) come metafora del superuomo; si riferiscono alla physis per condannare il nomos dovuto al complotto della moltitudine dei deboli contro la natura; definiscono la morale dominante come Sklavenmoral; né l’uno né l’altro sono puramente nichilisti in etica. Il filosofo tedesco esprime l’esigenza di una Herrenmoral, ed intende porsi al di là di buono e malvagio (Böse), ma non al di là di buono e cattivo (Schlecht), come Callicle [Nella terminologia di Callicle, Dodds traduce Böse con to nomo adikon (ingiusto secondo la legge) e Schlecht con to physei adikon (ingiusto secondo la natura). In questo modo, si prospetta per Callicle e Nietzsche un’oltrepassamento della morale dominante, che è immorale dal punto di vista della natura (come quell’oltrepassamento è immorale per la morale dominante)]. La pleonexia calliclea sembra anticipare poi la volontà di potenza nietzscheana, intesa come Haben und Mehrhabenwollen.
Nietzsche, tuttavia, secondo Dodds, avrebbe rigettato il «crude hedonism» di Callicle, e comunque rispetto al sofista è molto più profondo e complesso nella riflessione filosofica.
Rivendicare l’importanza filosofica di Trasimaco come demistificatore degli inganni del potere e della giustizia significa, in qualche modo, riconoscere la persistenza della sua tesi come problema per ogni riflessione sulla giustizia politica e morale. Questa persistenza, Friedlaender preferisce attribuirla a Callicle, dicendo che Callicle non è stato confutato, e che quindi non c’è Socrate senza Callicle (Friedlaender, 1979).
Un’ultima citazione per questa breve rassegna. Höffe (Höffe 1995, pp. 203-204) ha sostenuto che Trasimaco, oggi, sarebbe considerato «machiavellico», perché sostiene la tesi del puro potere messo al servizio di interessi particolari. Secondo Höffe, Trasimaco, con cinica serietà, sostiene una forma di amoralismo politico, che può essere messo in relazione con la teoria imperativistica. A questo proposito, inoltre, Höffe aggiunge questa interessante osservazione: la critica della giustizia politica, del diritto e dello stato, tesa ad individuarvi un mezzo di sfruttamento nelle mani dei governanti, non risalirebbe a Marx, ma alla sofistica greca (o, almeno, all’immagine datane da Platone).

Trasimaco nel Libro I della Repubblica

La fama di Trasimaco come filosofo politico, tuttavia, è dovuta a Platone, che lo sceglie come interlocutore di Socrate nel Libro I della Repubblica. Si è molto discusso sulla datazione di questo libro, anteriore agli altri che compongono l’opera: in particolare, si è messo in relazione il personaggio di Trasimaco con quello di Callicle nel Gorgia, per via delle consonanze tra le tesi proposte dai due. Callicle individua il bene con il piacere: felice è colui che, grazie alla propria forza, è in grado di soddisfare ogni desiderio e sottomettere i più deboli. Similmente, Trasimaco definisce la giustizia come l’utile del più forte: è il più forte a dettare legge secondo i propri interessi, e quindi a essere felice. Da ciò si è ipotizzato che il Libro I della Repubblica e il Gorgia siano pressoché contemporanei, e pertanto la loro stesura andrebbe collocata attorno al 390 a.C. Qualche studioso ha inoltre avanzato l’ipotesi che il Libro I fosse stato in un primo momento pubblicato come dialogo a sé stante, forse intitolato Trasimaco, e solo successivamente inglobato nella Repubblica – tesi che però desta non poche obiezioni.[6]

Ma veniamo ora alle tesi sostenute da Trasimaco nella Repubblica. Il sofista fa il suo ingresso nella discussione in 336b, dopo aver ascoltato la dialogo tra Socrate, Cefalo e Polemarco sulla giustizia, e il suo esordio si dimostra piuttosto violento, tanto da intimorire Socrate e gli altri interlocutori.[7] La tesi di Trasimaco ruota attorno ad una visione utilitaristica della giustizia, articolata in due tesi: dapprima egli sostiene che «il giusto (dikaion) è l’utile (sympheron) del più forte»,[8] mentre in seguito, nello sviluppo del discorso, aggiunge che «la giustizia è un bene altrui».[9] Ogni governo, infatti, promulga le leggi in base al proprio utile, e in base al proprio utile stabilisce quindi cosa sia giusto per i sudditi, punendo i trasgressori di conseguenza. È così che i regimi tirannici promulganno leggi tiranniche, le democrazie leggi democratiche, e via dicendo, secondo il proprio bene. D’altra parte, però, ne risulta che la legge reca danno a chi obbedisce, poiché osservandole, e quindi perpetrando l’utile di chi comanda, i sudditi faranno del bene ai potenti, rendendo felici loro e non certo se stessi. Come fa notare Vegetti, l’identificazione di potere e ingiustizia permette a Trasimaco di sostenere che l’ingiusto, essendo forte, è in grado di sopraffare i giusti (più deboli), e quindi di trarne felicità. Tale identificazione, tuttavia, non è basata su un assunto logico, ma su una fallacia retorica, poiché dalla prima tesi risulta che il potere, all’atto della promulgazione della legge, è eticamente neutro. È dunque possibile ipotizzare, seguendo Vegetti, che Platone attribuisca a Trasimaco la seconda tesi come conseguenza della prima con lo scopo di dimostrare come il rigorismo del sofista e le tesi sue sulla neutralità etica del potere portino in realtà all’affermazione del potere autarchico del tiranno.[10] Vi è inoltre da notare che la somiglianza di tali conclusioni con quanto affermato da Callicle, pone la questione se Trasimaco abbia effettivamente sostenuto queste tesi, o se esse invece siano state attribuite al sofista da Platone.

http://it.wikipedia.org/wiki/Trasimaco

Cefalo e la prima definizione della giustizia

http://www.controappuntoblog.org/2012/02/21/cefalo-e-la-prima-definizione-della-giustizia/

Platone, Apologia di Socrate – (RE)VISIONI – “Socrate” di Robe

Platone, mito della caverna. | controappuntoblog.org

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