Maksim Gor’kij

Nella seconda metà del XIX secolo la Russia attraversava un periodo di profonda inquietudine: erano sorte le prime industrie, l’economia capitalista aveva avuto uno sviluppo notevole e la borghesia alle cui spalle stava la piccola proprietà agraria e patriarcale era praticamente arbitra dell’impero zarista. Verso la fine del secolo comparve una forza nuova: la classe operaia. Era ancora, nell’immenso continente russo, soprattutto popolato di contadini, una minoranza sparuta, ma ad essa guardarono subito, con interesse, gli intellettuali e gli scrittori più sensibili, con la speranza che il proletariato riuscisse – come classe rivoluzionaria – a eliminare le contraddizioni di una società chiusa, facendo compiere alla Russia zarista un decisivo passo verso strutture economiche e politiche più moderne.

Aleksej Maksimovic Peskov [Peshkov] nacque il 14 marzo 1868 a Niznij Novgorod, una cittadina provinciale, povera e squallida. Il padre era un tappezziere che dopo anni di fatiche era riuscito a diventare agente di navigazione ad Astrahan, dove la famiglia si trasferì per breve tempo. Il padre morì quando Aleksej aveva soltanto cinque anni e la madre riportò il bambino a Niznij Novgorod presso i nonni. (Descriverà nell’opera Infanzia, le figure indimenticabili del nonno dal carattere chiuso e della nonna, donna straordinaria, buona e sensibile).

La madre si risposò con un intellettuale, e morì poco dopo. Il nonno che aveva insegnato al nipote a leggere sui Salmi e su un breviario, lo mandò fuori di casa a nove anni perché si guadagnasse da vivere nella bottega di un ciabattino. Tra il 1875 e il 1893 il ragazzo esercitò ogni sorta di mestieri che lo portò a contatto con ogni sorta di umanità: fu venditore di bevande, aiuto giardiniere, aiutante di un pittore di icone, sguattero su un vaporetto di linea sul Volga. E fu proprio il cuoco di bordo che svegliò nel ragazzetto l’amore alla lettura: gli fece leggere le vite dei santi, le opere di Gogol’, di Dumas…
(Scriverà: “Prima di conoscere quel cuoco avevo odiato i libri e tutta la carta stampata compreso il passaporto. Passati i quindici anni cominciai a sentire un ardente desiderio di studiare e a questo scopo andai a Kazan’, pensando che là l’istruzione fosse impartita gratuitamente a tutti coloro che la desiderassero. E invece nulla. Tanto che entrai al servizio di un pasticcere per tre rubli al mese”).

E cosi, come dirà nell’opera Le mie università, le sue scuole furono i bassifondi di Kazan’, dove vivevano i rifiuti della società, che saranno più tardi i protagonisti dei suoi racconti.

Tornò a vagare tra il Volga e il Caucaso, dalle steppe alle montagne: nessuno conoscerà mai la Russia come l’ha conosciuta lui.
Furono anni di tormentosi contrasti; per una delusione amorosa tentò anche il suicidio, sparandosi al petto. Fu positiva, invece, una delle ultime sue esperienze, quella di giovane di studio presso un avvocato di Niznij Novgorod, che gli fece intravedere e sentire l’importanza della cultura.

Tra i 18 ed i 20 anni fece amicizia con molti rivoluzionari e proprio a Niznij Novgorod fu arrestato e schedato come sovversivo. Aveva già cominciato a scrivere, durante le sue peregrinazioni, dei poemetti: Il canto del falco e La procellaria, ma il famoso scrittore Vladimir Korolenko lo dissuase dallo scrivere in poesia e ciò fu per Aleksej una grossa delusione.Si votò allora alla prosa. Il suo primo importante racconto fu Makar Cudra pubblicato nel 1892 sul giornale “Kavkaz” (Il Caucaso) con lo pseudonimo di Maksim Gor’kij (Massimo Amaro). Il racconto ebbe successo, tanto che Korolenko stesso gli pubblicò sulla sua rivista “Russkol bogatstvo” (La ricchezza russa) il racconto Celkas.

L’incoraggiamento del grande scrittore fu determinante per il giovane Gor’kij, che nel 1898 raccolse in due volumetti tutti i suoi racconti, tra i quali i famosi Konovàlov, Suprughi Orlovy (I coniugi Orlov) e Mal’va.
Non solo i racconti piacquero, ma la figura stessa dello scrittore divenne popolare, e la sua fama varcò i confini della Russia. Ad aumentare la sua popolarità arrivò anche il successo teatrale dei drammi I piccoli borghesi, L’albergo dei poveri (o Nei bassifondi), I figli del sole

Nel 1905 Gor’kij fu nuovamente arrestato e rinchiuso nella fortezza Pietro e Paolo a Pietroburgo, perché coinvolto nei moti rivoluzionari di quell’anno. Il fatto provocò reazioni in tutto il mondo, perché lo scrittore era ormai conosciuto ovunque per l’enorme diffusione che avevano avuto le sue opere teatrali, entrate ben presto anche nel repertorio dei maggiori teatri d’Europa.
Liberato, Gor’kij decise di lasciare la Russia per gli Stati Uniti, ma per strani motivi di puritanesimo si trovò a disagio: si era saputo che la donna che lo accompagnava non era stata da lui regolarmente sposata.

Tornò in Europa e si stabilì a Capri dove rimarrà fino alla scoppio della Prima guerra mondiale e dove creò un centro per l’emigrazione rivoluzionaria e dove portò a compimento il romanzo La madre, cominciato in prigione.
Protagonista di quest’opera è la vedova Pelageja Nilovna. Sposa a un fabbro crudele e rozzo che la picchiava regolarmente, alla morte del marito non ha che il conforto del figlio Pavel, un ragazzo di intelligenza vivacissima, desideroso di imparare. Votato alla causa della rivoluzione, egli porta a casa opuscoli politici e libri proibiti che legge e commenta in compagnia di amici. A poco a poco anche Pelageja, che dapprima non capiva nulla e aveva soltanto paura, comincia ad interessarsi ai loro discorsi e a sentir nascere in sé i sentimenti di libertà, di giustizia, di diritto alla vita.
Tutto questo è descritto in pagine di mirabile penetrazione psicologica. Quando Pavel verrà arrestato ed esiliato in Siberia, la donna farà propria la causa rivoluzionaria e assumerà la parte che il figlio rappresentava, soprattutto perché rivolta a combattere l’ignoranza e l’oppressione. La persecuzione passa dal figlio alla madre e un giorno in cui ella sta per reccarsi in un’altra località per diffondere le idee da cui è tutta pervasa, è arrestata, calpestata, ingiuriata, martirizzata, fino a che il martirio, che le strappa soltanto frasi di ribellione in mezzo alla folla circostante, farà di lei, la contadina ignorante, l’amorevole madre di Pavel, la madre di tutti i giovani rivoluzionari, il simbolo stesso della rivoluzione.

Il romanzo al suo apparire fu accolto dalla critica russa con grandi elogi e si parlò di capolavoro: in realtà il libro era destinato ad imporsi sulle folle derelitte e misere che nel 1917 avrebbero travolto per sempre la Russia zarista.
A quest’opera seguirono periodi di fervida attività e di grandi incertezze; Gor’kij attraversò anche una crisi quasi religiosa sotto l’influenza delle idee di Tolstoij. Ne parlò egli stesso nel suo libro Una confessione.

La lunga permanenza a Capri – dove curava anche i postumi di quel tentato suicidio – gli ispirò i Racconti sull’Italia, nei quali oltre all’ammirazione per la natura e la gente italiana esprime interesse e partecipazione per i problemi sociali e politici della nazione a lui cara.

Alla vigilia della guerra, Gor’kij si schierò con i pacifisti come Lenin e fondò la rivista Letopis (Cronaca) contro la guerra. Allo scoppio della rivoluzione d’ottobre, mentre si scatenava la violenza della lotta aperta, si preoccupò di fondare a Pietroburgo un comitato per la protezione dei musei, delle chiese monumentali e delle opere d’arte.
Nel ’21 Lenin gli consigliò di tornare per qualche tempo in Italia per curarsi; Gor’kij ubbidì, ma fino al ’24 non ottenne il visto d’ingresso e si stabilì in Germania, a Marienbad, dove scrisse L’affare degli Artamonov, una saga familiare che analizza spietatamente la fine del capitalismo in Russia.

Dal ’24 al ’28 dimorò a Sorrento in vista dell’amata Capri, poi tornò definitivamente in Russia dove fu festeggiato in occasione del suo sessantesimo compleanno.
Negli ultimi anni lavorò intensamente alla ricostruzione culturale dell’Unione Sovietica, un’attività che gli permise, tra l’altro, di organizzare e dirigere una collana di traduzioni di capolavori di tutto il mondo. Scrisse ancora romanzi e drammi di contenuto sociale, come La vita di Klim Samgin rimasto incompiuto, anch’esso una ricostruzione della borghesia russa prima della rivoluzione e del suo dissolversi e che, con le opere Dastigaev e altri e Egor Bulycev, avrebbe dovuto costituire una drammatica trilogia.

Motivo centrale delle opere dello scrittore fu sempre la sofferenza umana, e anche se fu definito il “primo scrittore proletario dell’Unione Sovietica” non fu un semplice propagatore di quelle idee, ma illuminò sempre con una luce di poesia, a volte rude e scontrosa, tal’altra appassionante ed elegiaca, la condizione umana, l’estrema miseria morale degli emarginati della società, come egli era stato.

Morì a Mosca il 18 giugno 1936. I suoi funerali furono celebrati solennemente; la sua tomba è scavata dietro il mausoleo di Lenin, che sorge sulla Piazza Rossa.
Grazia Deledda, il nostro premio Nobel per la letteratura, scrisse di lui: “Maksim Gor’kij è noto e amato per la sua umanità, la forza della sua arte, la sua penetrazione nei problemi fondamentali che forgiano lo spirito dell’uomo moderno e soprattutto per il suo innato sentimento di simpatia per i respinti”

 

http://www.larici.it/culturadellest/letteratura/gorkij/index.htm

“La Madre” di Maksim Gor’kij

Con questo romanzo lo scrittore evidenzia i problemi del movimento del proletariato dell’epoca, non ripudiando con ciò il canovaccio di vita quotidiana familiare dei suoi personaggi. Il fulcro delle opere degli scrittori contemporanei di Gor’kij è sempre quello della narrazione del destino delle avanguardie del movimento proletario, ma il loro tratto psicologico e spirituale è contenuto. In Gor’kij, al contrario, la narrazione è intrinsecamente collegata alla struttura mentale e psicologica dei suoi personaggi. Se per lo slavista, E. Lo Gatto, “La Madre” risente del tono ampolloso e idealizzato con cui i personaggi rappresentano le idee dello stesso autore, tuttavia, dal punto di vista psicologico il romanzo è sicuramente una tra le pagine più belle scritte da Gor’kij, anche nel commento di personaggi secondari. All’inizio del romanzo, la noia domina la vita del villaggio. Una noia turbata solo dai bestiali eccessi nel bere e nel picchiarsi l’un con l’altro, che finiscono con il renderla solo più disperata. Il vivere senza ragione e senza scopo ap-pare alla maggior parte della gente del villaggio come ineluttabile. Gli abitanti della palude, dunque, vegetano nel grigiore d’ogni giorno, passando da una sbornia all’altra. Vivono una vita squallida, senza sbocco, nella quale cia-scuno agisce isolatamente. La protagonista centrale, Pelageja Vlàsova è, dapprima, una donna avvilita e percossa dal marito, che si sforza persino di muoversi “senza far rumore e quasi di fianco come se temesse sempre di urtare contro qualcosa”. I suoi stati d’animo sono sempre pieni di paura. Poi, spinta dall’esempio del figlio, in rivolta con-tro la vita apatica e senza prospettive del sobborgo, modifica poco alla volta il suo comportamento. Cresce in lei il sentimento di libertà e del diritto alla vita. Questa contadina, in cui ogni ricordo del passato è stato cancellato a for-za di pugni, acquista a contatto con il figlio e i suoi amici una visione chiara della propria vita. Per lo scrittore, l’ottusità e l’inconsapevolezza degli individui appaiono anche nella vita privata come la conseguenza più orribile dell’inumano regime dello knut (frusta) della Russia zarista. Pochi scrittori hanno odiato profondamente, come lui, la crudeltà della vita russa feudale, la sua barbarie originaria. Ma l’inestinguibile odio di Gor’kij contro questa bar-barie non è fine a se stesso. Egli ama davvero il popolo, e mette in campo nel suo dramma le qualità umane necessa-rie al processo d’emancipazione degli uomini. Queste qualità sono l’intelligenza e l’altruismo, che si contrappongo-no all’isolamento e all’egoismo degli individui immersi nella soffocante atmosfera del sobborgo.
La prima parte del libro si sofferma a descrivere l’affinità crescente della madre con le idee del figlio operaio (Pavel Vlàsov) e degli amici che frequentano la loro casa. La seconda, invece, racconta gli eventi dopo l’incarcerazione del figlio. La madre si trasferisce in città e volontariamente inizia a distribuire materiale clandestino nei villaggi. Diven-ta membro a pieno titolo del circolo rivoluzionario, di cui il figlio fa parte, e quando Pavel è deportato in Siberia, ella assume il suo ruolo. La persecuzione della polizia zarista passa dal figlio alla madre. Un giorno, in cui Pelageja Vlàsova sta per recarsi in un’altra località per diffondere le idee per le quali Pavel è stato confinato, viene calpestata e ingiuriata, fino a che il martirio, che le strappa frasi di ribellione in mezzo alla folla circostante, fa di lei un vero e proprio simbolo dell’ideale rivoluzionario.
Per Gor’kij, la ricettività dello scrittore non deve affondare nella passività ma deve amalgamarsi con la vita e i suoi problemi. La ricerca della verità sta nel combattere l’elemento bestiale che è nell’uomo, liberando le sue energie so-pite, compresse e snaturate, ed esercitando su di lui, nel contempo, un’influenza profonda e catartica per restituirgli la pienezza e la dignità della vita. Questo è il fine di chi scrive, sostiene l’autore. Fine non perseguito da altri lettera-ti russi suoi contemporanei, a cui manca il cuore intelligente di questo scrittore, il suo “sguardo” e la sua sollecitu-dine per l’uomo per vivere operosamente il battito della loro epoca. Costoro parlano del popolo come di un moltitu-dine scomposta, per lo più amorfa. Agli albori della sua carriera di scrittore, anche Gor’kij è il poeta delle esplosioni spontanee del popolo generate da una disperazione distruttiva senza prospettive. Ma, poi, il legame sempre più in-timo con il movimento operaio assolve una funzione decisiva nel modo diverso di raffigurare le rivolte del movi-mento operaio. Nelle pagine de “La Madre”, il popolo russo è, infatti, rappresentato nella sua evoluzione. Esso as-surge man mano a “principio energico del processo storico capace non solo di spiegare la società, ma anche di rivo-luzionarla”. Con la storia di Pelageja Vlàsova, che attraverso il figlio emerge da un’antica rassegnazione e capisce il valore della ribellione, lo scrittore indica un’alternativa alla vana ricerca di libertà dei suoi precedenti bosjaki (strac-cioni).
Lo svolgersi dell’azione nel romanzo è filtrato attraverso gli occhi della Vlàsova, che, con il figlio, è il per-sonaggio chiave dell’allegoria, incarnando la prima il popolo, e il secondo il movimento rivoluzionario socialista, un’allegoria che, attingendo da fatti concreti, salda tra loro romanticismo e realismo. Tuttavia, il riflettore non è diretto principalmente su Pavel Vlàsov, ma su sua madre e sulla sua graduale e piena consapevole adesione alla causa rivoluzionaria. Con ciò Gor’kij valorizza non solo straordinarie figure rivoluzionarie di primo piano, ma anche personaggi semplici, “i più umili degli umili”, non per questo meno capaci di significative gesta eroiche. E poiché i soggetti rivoluzionari devono preparare la rivolu-zione, uno dei loro compiti è quello d’istruirsi. Gor’kij si sofferma ripetutamente sull’importanza dell’educazione dei lavoratori. Uno dei più importanti step della “conversione” di Pelageja alla causa ri-voluzionaria riguarda proprio la sua istruzione. Ella, recuperando alla memoria quei pochi rudimenti d’alfabeto che aveva appreso dalla scuola molti anni addietro, impara di nuovo a leggere. Il tema del pregiudizio religioso nei villaggi è ripreso più volte da Gor’kij. Descrivendo il cammino d’emancipazione di Pelageja, egli rimarca la liberazione della donna e, più in generale, dell’umanità, dai valori patriarcali e da ogni antico timore religioso. Senza offendere il sentimento religioso, l’autore concentra la sua critica sull’uso strumentale della fede, come mezzo di sottomissione dei popoli. La nuova società prefigurata da Gor’kij è permeata sì da valori spirituali e da una certa religiosità, ma il fervore religioso, limitatamente all’accettazione del “Dio giusto, buono e misericordioso” in cui crede Pelageja Nilovna, è stemperato dal “Dio di luce e di verità, Dio della ragione e del bene”. I critici letterari insistono molto sull’influenza della cristianità ortodossa sullo scrittore “del popolo”. Pure il tema della condizione delle campagne è affron-tato nel romanzo quanto quello della condizione operaia nelle fabbriche. Gor’kij anticipa qui la grande questione dell’alleanza e della solidarietà tra operai e contadini. Lo spietato sfruttamento degli operai, l’inasprimento dei rapporti tra contadini e proprietari fondiari, le sopravvivenze del servaggio e della pa-triarcalità feudale agevolano quest’alleanza e solidarietà. Il tema della fratellanza dei popoli, ripreso ne “La Madre”, s’inserisce nel clima politico della Russia all’inizio del XX secolo. Qui ci si richiama chiara-mente ai motti insurrezionali pietroburghesi e a quelli della Russia meridionale. È in corso in Russia la prima rivoluzione, quella del 1905-1907, che apre un periodo di aspre lotte interne, che culmineranno poi con la caduta dello zarismo nel 1917. Il romanzo, scritto proprio nel pieno svolgimento della prima rivo-luzione, circolerà molto presto in Europa con forti ripercussioni. Lo scrittore austriaco Stefan Zweig ave-va all’epoca affermato: “È difficile descrivere con quale forza naturale l’opera di Gor’kij avesse scosso l’Europa intera. È come se questa avesse squarciato una tenda o rotto un muro, e tutti avessero compreso con stupore, quasi impauriti, che per la prima volta prendeva la parola un’altra Russia sconosciuta, la cui voce proveniva dal petto oppresso e sofferente di un popolo intero”. Per quanto riguarda, infine, la veste letteraria del romanzo, bisogna dire che con “La Madre” Gor’kij introduce uno stile in cui il pathos posi-tivo della rappresentazione epica è estremamente dilatato. Come afferma G. Lukács: “Nei primi romanzi di Gor’kij, gli uomini ‘non possono più vivere come in passato’, ne ‘La Madre’, l’avanguardia degli ope-rai e dei contadini ‘non vuole più il passato’. Mutando la direzione fondamentale del movimento che ca-ratterizza uomini e vicende cambia pure, di conseguenza, la forma espressiva che l’accompagna. Ecco, al-lora, che “le singole scene, nonostante la grande stringatezza, pervengono ad un’ampiezza di respiro mai raggiunta altrove in Gorkij”.

http://www.noidonne.org/articolo.php?ID=02257

 Frases de ” La Madre”:

“Las exclamaciones roncas de las voces dormidas se encontraban unas con otras: injurias soeces desgarraban el aire. Había también otros sonidos: el ruido sordo de las máquinas, el silbido del vapor. Sombrías y adustas, las altas chimeneas negras se perfilaban, dominando el barrio como gruesas columnas… La fábrica había devorado su jornada: las máquinas habían succionado en los músculos de los hombres toda la fuerza que necesitaban”. 

“Extenuados por el trabajo, los hombres se embriagaban fácilmente: la bebida provocaba una irritación sin fundamento… Entonces, para liberarse, bajo un pretexto fútil, se lanzaban uno contra otro con furor bestial”.

“Los que hablaban de cosas nuevas, veían a las gentes del barrio huirles en silencio. Entonces desaparecían, volvían al camino, o si se quedaban en la fábrica, vivían al margen, sin lograr fundirse en la masa uniforme de los obreros… El hombre vivía así unos cincuenta años; después, moría”…

“La habían acostumbrado a escuchar un montón de palabras, terribles por su franqueza y su audacia, pero estas palabras no la herían ya con la misma violencia que la primera vez y había aprendido a defenderse de ellas…  Era la primera vez que oía hablar así de ella misma, de su vida, y aquellas palabras despertaban pensamientos vagos, dormidos hacía mucho tiempo; reavivaban dulcemente el sentir apagado de una insatisfacción oscura de la existencia, reanimaban las ideas e impresiones de una lejana juventud”.

“En la pequeña habitación, nacía el sentimiento del parentesco espiritual que unía a los trabajadores del mundo entero… Somos todos hijos de una sola madre, de un mismo pensamiento invencible: el de la fraternidad de los trabajadores de todos los países”.

“Conocía ya esta quietud que solía seguir a las grandes emociones. En otro tiempo, la alarmaba un poco, pero ahora parecía ensancharle el alma, afirmarla en un sentimiento grande y fuerte. La perplejidad se leía en los ojos que pestañeaban como cegados por una luz viva, de contornos indecisos e incomprensibles, pero generadora de fuerza. Y al no comprender aquel sentimiento de algo grande que se descubría bruscamente ante ellos, las gentes se apresuraban a prodigarse en pequeñas expresiones concretas y asequibles. La irritación que siempre duerme en los pechos fatigados, se despertaba ahora buscando una salida”.

“Todo rodaba en un torbellino de gritos, de aullidos, de sonar de silbatos… El suelo huyó bajo sus pies, se hundió; sus rodillas vacilaron y su cuerpo, estremecido por las quemaduras del dolor, se tambaleó sin fuerzas. Pero sus ojos brillaban aún, veían una multitud de otros ojos que ardían con un fuego vivo y osado que ella conocía bien”.

http://aquileana.wordpress.com/2008/03/24/maksim-gorki-la-madre/

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