Esperanza

 

Lamentarsi della scena musicale italiana è come trovarsi davanti a un grandissimo e incasinatissimo mercato/suk e, piuttosto che avventurarcisi dentro, preferire andarsene dicendo, questo posto è una merda, non ci voglio mettere piede, non troverei nulla di ciò che cerco.

 

L’Italia sforna settimanalmente talenti, vecchi e giovani, che vanno poi a perdersi nel magma dell’underground senza quasi mai riuscire(a volte rimanerci è questione di dignità artistica) a uscirne.

 

Questa premessa, trita e ritrita ma ogni tanto bisogna ricordarlo ai meno curiosi, si applica perfettamente a questo pseudo-supergruppo che prende il nome di Esperanza.

 

Un progetto in cui confluiscono i talenti e le idee di tre differenti musicisti italiani, Carlo, Matteo e Sergio. Tre ragazzi con differenti visioni del mondo musicale e percorsi artistici differenti : Matteo è un bassista, Sergio è un songwriter ma anche produttore e Carlo ha studiato pianoforte ma è grazie al turntable e ai remix sotto il nome di Cècile che è diventato conosciuto nel panorama digitale con rielaborazioni di lavori dei Vampire Weekend, Amari, Automat e qualche produzione coi Bloody Beetroots (quando ancora avevano la testa a posto).

 

Un calderone di punti di vista differenti che si unisce sotto questo nome spagnoleggiante e dà vita all’album di debutto, omonimo, lanciato nel dicembre 2011.

Davvero difficile da definire e delineare sotto un unico genere, nei suoi lineamenti troviamo tracce di early techno, con kick e snares come i vecchi maestri di detroit insegnavano ma anche qualche rarefattissimo arpeggio di chitarra o assolo di synth che ricordano le recenti escursioni synth-pop dei Lali Puna (più in chiave armonica nel caso degli Esperanza) ma anche momenti molto Underworld nel periodo Oblivion Bells.

Un lavoro pulitissimo dal punto di vista stilistico, molto eclettico ma mai sfuggevole o disorientante.

Musica incredibilmente ispirata e ispirante, adatta a fumosi e misteriosi party londinesi e, allo stesso tempo a ascolti occasionali con le cuffie in autobus.

Finisce il disco che neanche te ne sei reso davvero conto, pensia sia passato un minuto ma è passata più di mezz’ora, questo grazie alla disposizione molto intelligente delle tracce (le più notevoli sicuramente ”Ink”, ”Sirena” e ”Aliante Giallo”) che tengono su il disco con armonia, mai monotonia.

 

Un lavoro di musica elettronica eccelso, sotto tutti i punti di vista.

 

Troviamo inoltre collaborazioni interessanti con piccoli grandi nomi dello sconfinato panorama underground elettronico come Banjo & the Freakout e Luke Abbott.

 

 

http://www.muromag.com/2012/01/esperanza-self-titled.html

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