L’ALIBI DELLA NON VIOLENZA

L’ALIBI DELLA NON VIOLENZA

PER ALCUNE COSE SONO

CAMBIATA IO

E’ CAMBIATA LA REALTA’

MA IL DISCORSO DI FONDO

QUELLO E’!

L’ALIBI DELLA

NON VIOLENZA

alcune considerazioni sulle conclusioni dell’incontro

di Massa e dintorni

Il Documento conclusivo dell’incontro di Massa pone una discriminante ben precisa: i soggetti o associazioni che intendono aderire alla Rete di Lilliput debbono dare un’adesione incondizionata alla pregiudiziale e teorica e pratica della non violenza.
Una tale pregiudiziale taglia di fatto fuori  noi dell’Avamposto degli Incompatibili, in quanto marxisti dalla rete di Lilliput.
Qual’è la posizione dei marxisti in merito alla violenza politica, visto che di questo si tratta, non di violenza personale e caratteriale, né della violenza degli elementi della natura, né della violenza nel furore artistico e creativo?
La storia ci ha insegnato e tuttora ci insegna che chi detiene il potere pratica sistematicamente la violenza, tale pratica è una necessità”imprescindibile” del dominio del capitale e si dispiega in tutti i campi: da quello economico, al disprezzo per la natura e all’asservimento degli esseri viventi umani e no. Se la violenza è strutturale al dominio del capitale per le vittime di questa violenza continuamente esercitata in tutte le forme, essa è semplicemente “uno stato di necessità per autodifesa”. Un esempio chiarificatore in America Latina uccisero sull’altare Monsignor Romero e insieme a lui altri preti  e Monsignori: cosa è giusto fare in questo caso? lasciar impunemente scannare monsignori e preti e indios, o far capire ai macellai che è meglio per loro che la smettano? In questo caso non ricorrere all’autodifesa e al contrattacco sarebbe di fatto avallare l’autorità della violenza di chi ha il  potere di esercitarla : in sostanza assumere un atteggiamento passivo verso la violenza del nemico diventa, di fatto,  un atteggiamento violento, e per di più con l’aggravante di giustificare la violenza esercitata contro la classe soggetta a cui si appartiene.
Credere di poter cambiare la storia senza rispondere alla violenza del potere è una mera illusione.
Anche le religioni e i miti riconoscono la necessità di questo passaggio per la trasformazione e l’evoluzione della storia: Mosè il primo atto politico che fece fu quello di uccidere un egiziano che stava vessando i lavoratori ebrei.
Gesù Cristo spacco’ a frustate quello che era il Mc Donalds dell’epoca, e trovate, se ci riuscite,  uno più pacifista di lui!
Per dirla chiara, i fautori della non violenza si riferiscono all’esperienza di Gandhi e Luther King. Riguardo a Gandhi, pur riconoscendo la sua coerenza, bisogna dire che di fatto è stato uno strumento, inconsapevole del colonialismo britannico, che scelse di concedere l’indipendenza politica all’India mantenendo il colonialismo economico del Commonwealt, sapendo benissimo che altrimenti con l’escalation militare avrebbe perso tutto. Sta di fatto che per le masse subalterne dell’India le cose sono rimaste come erano, le caste stanno ancora lì, gli intoccabili sono sempre intoccabili: questo è un esempio lampante che per attuare la non violenza si deve sempre venire a patti con chi è al potere, il quale in definitiva detta le leggi e i limiti entro cui ci si può muovere. E’ bisogna anche prendere atto che tutto si può dire oggi dell’India, tranne che sia un posto dove regni la non violenza.
In merito a Luther King, sempre con tutto il rispetto per la sua figura e per il fatto che ha pagato di persona la sua scelta, la sua azione non violenta ha avuto un solo effetto: quello di creare una borghesia nera ben integrata a livello economico e politico, mentre la massa degli afroamericani continuano ancora a vivere in uno stato di emarginazione e di degrado e a riempire i bracci della morte.
Questi due nobilissimi esempi, sono in effetti la testimonianza del fallimento, per la trasformazione storica, della  non violenza. Che ci piaccia o no, il ribaltamento delle posizioni, il passaggio da classe sfruttata a classe liberata avviene sempre in maniera violenta.
Questo non vuol dire che, in fase di transizione non debbano essere adoperate forme di lotta non violente: dalle battaglie sindacali, a quelle legali, a forme di boicottaggio e disobbedienza civile. Bisogna adoperarle, ma con la consapevolezza che quando si giungerà al nodo finale, i conti dovranno essere fatti in altri termini.
La storia ci ha insegnato e ci insegna ancora che gli oppressi ricorrono alla violenza quando tutte le altre strade o possibilità di riscatto sono precluse. La pazienza e mitezza degli oppressi è veramente grande, ciò non toglie che viene ripetutamente e pervicacemente messa alla prova.
Tattiche violente o no sono quindi semplici strumenti di lotta che non vanno né mitizzati né demonizzati. Ma scelti e adoperati secondo  le necessità oggettive del momento storico in cui si opera.
Alcuni sono convinti che questi discorsi possono essere validi per i paesi del terzo mondo, ma non per i paesi occidentali dove “vige la democrazia”. In merito a questo discorso c’è  da notare per prima cosa che nasconde un razzismo di fondo: in finale quelli del terzo mondo possono pure sporcarsi le mani, mentre noi civilissimi e “democratici” possiamo fare i ” signori” della politica. Ma la domanda fondamentale è: esiste la democrazia nel mondo occidentale? La vicenda delle elezioni americane, al di là delle barzellette e dell’ilarità che puo’ suscitare mette sotto gli occhi di tutti che la democrazia nel mondo occidentale è un mero simulacro, e la lotta politica è in pratica tornata a un livello di scontro tribale, e non solo in Amerika.  Il potere che conta è solo quello economico. FMI e BM continuano indisturbati i loro piani di mercato. Se così non fosse la crisi istituzionale del cuore dell’ Impero avrebbe gettato nel marasma non solo l’Amerika ma tutto l’occidente.
E’ sotto gli occhi di chi vuol vedere, che l’abolizione degli stati nazione, l’annullamento di fatto delle carte costituzionali, la ridefinizione dell’Europa attraverso quello che è diventato il vero strumento di democrazia per eccellenza la   GUERRA ha eliminato e sempre più eliminerà qualsiasi spazio “democratico”.
E’ fuor di dubbio che l’espansione del dominio capitalistico dell’impero unico si sviluppa attraverso le
“Zone Franche”: tali zone sono disseminate a macchia di leopardo sul pianeta intero e tendono ad allargarsi sempre di più: dalle maquilas, alle fabbrichette di scarpe del Salento dove lavorano i bambini le donne e
gli immigrati, ai campi di pomodoro e gli aranceti del sud Italia  in genere, all’edilizia che vede sempre più impegnata mano d’opera autoctona ed extracomunitaria in situazioni di sfruttamento che possono senza mezzi
termini definirsi schiavitù. Le Zone Franche della delocalizzazione della produzione sono stabilizzate in
paesi , come l’Amerika latina, dove sono mancanti i minimi diritti di democrazia, ma attraverso quello che è divenuto il principale vettore della loro diffusione LA GUERRA si stanno diffondendo nello stesso continente europeo
dai paesi dell’ex aerea dell’unione sovietica ai Balcani: in Europa queste “Zone Franche” vengono, invece acquisite col pretesto dell’instaurazione di una pelosa e falsa democrazia, che poi nella realtà vediamo che è criminalità legalizzata: dal traffico di droga ed armi, a quello degli esseri umani per lo schiavismo di questo tanto decantato nuovo millennio, per giungere fino al traffico di neonati come è stato denunciato da don Cesare Lodeserto del centro di accoglienza “Regina Pacis” di S. Foca.
E’ chiaro quindi che i destini degli sfruttati del Nord e del Sud del mondo sono intimamente legati, e che Nord e Sud sono diventati ormai dei termini trasversali, che non significano più luoghi geografici, ma situazioni di degrado abbrutimento e schiavitù per l’intero popolo dei diseredati del pianeta.
La distinzione fra mondo occidentale e paesi del terzo mondo, quindi per le classi subalterne diviene sempre più aleatoria, e aleatorio diviene di conseguenza il discorso di “possibilità di adoperare strumenti di lotta non violenti”. Da quanto  detto è chiaramente pretestuoso il discorso di chi dice che in Europa non si deve adoperare la violenza, in quanto in Europa c’è la democrazia. Occorre ribadire che l’uso o meno della violenza è legato alle  condizioni di
evoluzione della lotta, certo l’Europa non è  un’isola felice, ma tutt’altro: c’è una guerra in atto in un punto nodale: I Balcani, c’è una turchizzazione in atto destinata a portare gli stessi sfaceli che vediamo in Palestina, c’è uno sfaldamento degli stati nazionali, che sono sostituiti da una sovrapolizia europea a guida dei paesi forti e ricchi, c’è un rinascente nazismo e xenofobia. Questo è il quadro che abbiamo davanti, i fatti sono questi, fino a quando il nemico, l’impero totale ci consentirà di poter rispondere con armi pacifiche non lo possiamo dire.
Certo è che se non ci impegniamo su alcuni punti fondamentali la situazione può degenerare, verso forme di violenza difficilmente dominabili dalla ragione della politica.
 I punti che noi proponiamo sono:
Reddito di cittadinanza universale e generalizzato;
Cancellazione incondizionata di tutto il “debito” per i paesi del sud;
Equa ridistribuzione delle risorse;
Difesa del pianeta terra senza che questo comporti una ulteriore arretratezza dei paesi del terzo mondo;
Tutela della dignità del lavoro e abolizione dello sfruttamento minorile;
Chiusura dei centri di detenzione temporanea, smilitarizzazione dei confini, e inserimento dei migranti nei Paesi e Terre destinate all’abbandono al degrado;
Diritto all Patria per il popolo Palestinese;
Diritto alla patria per il popolo Kurdo.

Vittoria de

L’Avamposto degli Incompatibi

http://www.controappunto.org/documentipolitici

/politica%20nazionale/L.htm

15 Novembre 2000

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