Roberto Curti : horror italiano

 

horror italiano

Roberto Curti

Fantasmi d’amore. Il gotico italiano tra cinema, letteratura e tv
Lindau, 2011
Streghe bellissime, vampire seduttrici, sensuali spiriti tornati dall’oltretomba per vendicarsi. Con film come I vampiri di Riccardo Freda e La maschera del demonio di Mario Bava, il cinema gotico italiano offrì agli spettatori eccesso e trasgressione, incarnati negli anni ’60 da una vera e propria diva come Barbara Steele. Ma l’enfasi sulla violenza, la sfida alla censura e l’attenzione alla sessualità non pregiudicavano un approccio spesso sorprendente al fantastico e ai suoi miti. Fantasmi d’amore ripercorre la storia del genere dalle origini a oggi. Ne analizza i temi, lo stile, le avventure produttive e commerciali, il rapporto con le fonti letterarie e i legami con la storia, la cultura e il costume del nostro paese; passa in rassegna i capolavori e le opere più oscure, i registi che ne hanno fatto la storia, come Bava, Freda, Antonio Margheriti e Dario Argento, e quegli autori che con esso si sono cimentati in maniera imprevedibile e inusuale, come Federico Fellini, Dino Risi, Pupi Avati; esamina produzioni televisive quale il celeberrimo Il segno del comando e dedica spazio ai giovani cineasti indipendenti degli anni 2000. Tutto ciò fa del libro lo studio più esauriente e approfondito di un genere complesso e affascinante che ha segnato la storia del cinema italiano.

http://bub.ilcannocchiale.it/

 

Il Frankenstein italiano del 1920

 

Avete sentito parlare della nuova versione di Frankenstein? Sicuro! Si tratta di una nuova versione destinata alla televisione. In alcuni articoli si parla delle versioni d’altri tempi su questo mito letterario… e cinematografico. Ma nessuno, se mi sbaglio fatemi sapere, sembra ricordarsi della versione italiana dell’era del muto.

C’era una volta nel 1920, un attore italiano chiamato Luciano Albertini, alias Sansone, insieme alla moglie Linda, gli sceneggiatori Giovanni Bertinetti, Giovanni Dovetti, il regista Eugenio Testa, l’operatore Alvaro De Simone, senza dimenticare il prezioso aiuto di certo Umberto Guarracino nella parte del “mostro”. Tutti quanti, e molti altri di nome ignoto, si misero al lavoro per costruire un film dal famoso romanzo Frankenstein, opera di Mary Shelley, anno 1818.  Dimenticavo, tutto sotto la bandiera dell’Albertini Film e, purtroppo dell’Unione Cinematografica Italiana che… ma questo lo lascio per la prossima occasione.

Com’era questa versione? Buona! Anzi, una delle poche dove i critici più temibili sono tutti d’accordo, quasi…

«Per un caso stranissimo, gli scrittori della Albertini-film sono riusciti a mettere su un soggetto eccellente; e con ogni probabilità hanno dovuto offendersene, poiché si sono vendicati. Lo spunto è quanto di più cinematografico ci sia: la fabbricazione artificiale dell’uomo. Seguendo la novella inglese, i soggettisti ci presentano un chimico che riesce a fabbricare un uomo e che produce un tale mostro di ferocia e di idiozia che fa onore alla sua fatica. Ma nello svolgimento dello spunto, gli autori hanno perduto una meravigliosa occasione per fare un film eccellente, poiché non hanno tenuto in nessun conto il materiale formidabile di cui disponevano e non l’hanno utilizzato che a pezzi e a bocconi.
(…)
Invece, perdendo completamente il senso delle proporzioni, hanno mischiato il filosofico all’avventuroso, il sentimentale al religioso e ne è venuta fuori un’insalata russa di incoerenze. Il personaggio del mostro, benché interpretato eccellentemente da un attore che non è citato, è in perenne contrasto con i titoli. Mentre la didascalia lo definisce «idiota», più «cosa» che essere, noi vediamo la creatura spaventosa dimostrarsi provvista di sufficiente raziocinio, perché ha paura, sente il bisogno di fare quello che fanno gli altri (…) e –  dulcis in fundo  – possiede anche delle estese cognizioni di lotta greco-romana! (…). In ogni modo, è però tale la forza dello spunto che il film, anche così sconquassato, interessa moltissimo. Chi si indigna è l’artista che vede rovinare una chiesa per fare un sagrestia!».
(G. Giannini in «Kines», Roma, 10 settembre 1921)

Film perduto… al giorno d’oggi.

http://sempreinpenombra.com/2011/08/16/il-frankenstein-italiano-del-1920/

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